Il Graal, la coppa tanto cercata dai cavalieri di Re Artù in origine, come sappiamo dalla cronaca del monaco Elinando, è «un recipiente ampio e abbastanza profondo», cioè un vassoio usato per servire cibi durante i banchetti. Poi nelle opere di due scrittori francesi vissuti alla fine del XII secolo: Chrétien de Troyes e Robert de Boron diventa ben altro quel vassoio.
Chrétien, lo scrittore della leggende del mito arturiano, degli ideali cavallereschi della società cortese nel suo ultimo poema di Chrétien, composto attorno al 1180, descrive l’iniziazione alla cavalleria del giovane Perceval. In uno dei capitoli, Chrétien conduce l’eroe nel castello misterioso, del Re Pescatore, e lì durante un banchetto, arriva un paggio che porta una lancia macchiata ma soprattutto una fanciulla che porta un graal d’oro tempestato di pietre preziose, cioè un contenitore capace di contenere l’Ostia consacrata per il Re Pescatore.
Durante il banchetto Perceval apprenderà la lancia era la stessa con cui il soldato romano ferì Cristo Crocifisso al costato.
Chrétie Troyes muore lasciando il poema interrotto al verso 9234.
Nel poema “Giuseppe D’Arimatea” di Robert de Boron il Graal cambia forma e lo risentimatizza in chiave religiosa. Secondo la sua versione, Giuseppe d’Arimatea entra in possesso della coppa con cui Gesù ha consacrato il vino e utilizza il Graal, cioè la coppa, per raccogliere il sangue di Cristo. La sua famiglia portò poi il Graal ad Avalon, identificata con Glastonbury, dove lo custodirono fino all’ascesa di Artù e all’arrivo di Perceval.
Il romanzo Perlesvaus, composto tra il 1210 e il 1215, riprende le avventure di Perceval e ne fa discendente di Giuseppe d’Arimatea e il Graal è ormai identificato nella coppa che raccolse il sangue del Cristo. La storia si conclude con la conquista del castello del Graal da parte dell’eroe. Siamo ormai nell’epoca in cui le tradizioni
arturiane vengono risistemate intorno al nucleo centrale, basato sulla ricerca del Graal. Gli eroi arturiani sono tutti Lancillotto, Galvano, Bohort…ma nessuno, nemmeno Perceval, si mostra degno di conseguirla tranne il puro Galaad, figlio di Lancillotto, cavaliere di grande spiritualità e contrapposto alla cavalleria mondana. Avviene così la cristianizzazione del mito arturiano.
Esito del tutto particolare ebbe invece il mito del Graal in Germania. Intorno al 1190, il principe e mecenate Hermann di Turingia ospitò alla sua corte un cavaliere di pochi mezzi ma di molta cultura: Wolfram von Eschenbach.
E questi più tardi si dedicò a comporre il poema Parsifal, rielaborando il Perceval di Chrétien.
La coppa di Giuseppe d’Arimatea diventa piuttosto una pietra, dotata di magiche virtù. Quando Parsifal è ospite del Re Pescatore, la figlia di questi depone il Graal sulla tavola del banchetto e subito compaiono a non finire le vivande che più si desiderano grazie alla “virtù” del Graal che configura di origine divina e sembrerebbe caduta dal cielo, ma Wolfram rimane sul vago. Perceval poi nell’ultimo libro del poema, riesce a risanare il Re Pescatore e viene eletto “Re del Graal”.
di Elio Di Bella