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Un grande pioniere degli studi su Akragas e i suoi templi: Julius Schubring

18 Giugno 2017 //  by Elio Di Bella

Federico Rausa:   Julius Schubring, pioniere degli studi sulla topografia storica di Akragas

 

 

  1. Il viaggio in Sicilia di Julius Schubring

Nel 1870, anno fatalmente decisivo per i destini del neonato stato italiano e di quello tedesco, appariva presso l’editore Wilhelm Engelmann di Lipsia l’opera intitolata Historische Topographie von Akragas in Sicilien während der klassischen Zeit. L’autore era Julius Schubring (1839-1914) .

 

Personalità ancora oggi poco nota nella sua stessa patria, in ombra rispetto al più noto omonimo padre, teologo, amico e corrispondente di Mendelssohn, e al figlio Walther, celebre indologo, Schubring, dopo gli studi ginnasiali nella natia Dessau e poi a Lübeck, negli anni tra il 1857 e il 1862 frequenta le università di Erlangen, Bonn e Göttingen, formandosi come filologo classico sotto la guida di Ernst Curtius (1814-1896)2 e maturando spiccati interessi per la geografia e la topografia del Mediterraneo antico.

 

Questi, con una decisa propensione verso la Sicilia, dovettero probabilmente risalire già agli anni degli studi ginnasiali a Lübeck, durante i quali Schubring ebbe l’occasione di seguire le lezioni dello storico Adolf Holm (1830-1900)3, il quale dopo la Promotion conseguita a Berlino nel 18514, aveva assunto l’incarico di docente presso il Realgymnasium Katharineum della città anseatica. Grazie a due delle sue principali opere di carattere generale, la Antike Geographie Siciliens (Lübeck 1866), e soprattutto i tre volumi della Geschichte Siciliens im Alterthum, apparsi rispettivamente nel 1870, 1874 e 1897, nonché a studi su singole città siciliane come Catania e Siracusa, Holm si accrediterà come il maggiore conoscitore della Sicilia antica del suo tempo.

 

Da qui l’alta considerazione e la fama delle quali fu oggetto anche in Italia, sancite dall’offerta, personalmente caldeggiata da Michele Amari, di una cattedra straordinaria di Storia presso l’Università di Palermo (1876), successivamente (1878) trasformata in ordinaria, seguita, nel 1884, da quella dell’ateneo napoletano per la cattedra di Storia Antica, conservata dallo studioso fino al 1894.

 

Il progetto di Holm di redigere una storia della «interessantesten Insel des Mittelmeeres» organizzata su basi geografiche ma con l’intento di delinearne un quadro politico e culturale, sottoponendo ad una serrata e sistemata revisione l’enorme quantità di dati desumibili dalle fonti antiche, dalla letteratura antiquaria e dalla memorialistica odeporica, incrociò gli interessi del collega e amico Schubring.

tomba di terone

L’idea infatti di una ricostruzione della storia della Sicilia non poteva essere disgiunta dalla revisione della sua topografia con la conseguente redazione di una nuova carta dell’isola nell’antichità. È questo il progetto della Berichtigung der Karte des alten Siciliens, redatto già alla fine del 1865 e che Holm espose pubblicamente nel marzo dell’anno successivo in occasione delle Öffentliche Prüfungen und Redeübungen der Schüler des Catharineums in Lübeck.

 

Il destinatario della dedica di questo suo contributo era proprio Julius Schubring, definito come «gründlichster Kenner» della Sicilia. Tale fama si giustificava con la ormai lunga e proficua permanenza nell’isola di Schubring, iniziata fin dal 1862 e durante la quale, per sostenere i propri studi, egli svolse l’attività di precettore privato a Messina.

 

L’interesse suscitato in Germania dalle ricerche di Schubring, indusse la Königlich Preussische Akademie der Wissenschaften zu Berlin, grazie alla mediazione di Curtius, ad assegnargli un Reisestipendium che copriva i costi del viaggio, mentre sul posto veniva garantita l’assistenza delle autorità e degli studiosi italiani .

 

Conseguentemente, nel 1864 Schubring riceveva la nomina di membro corrispondente dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica.

 

Grazie al sostegno finanziario stanziato in patria, lo studioso aveva dunque intrapreso, dall’aprile 1865 fino al principio del giugno 1866, un viaggio di studio in Sicilia del cui percorso e delle principali novità si darà conto nel corso della Gesamtsitzung dell’Accademia delle Scienze del 1 novembre 1866 con un Vortrag pronunciato da Theodor Mommsen, poi pubblicato nei Monatsberichte di quell’anno. Al viaggio di Schubring e ai primi suoi risultati che pervenivano in Germania, alludeva evidentemente anche un passo dell’elogiativo preambolo di Holm, quando riferiva «auf längeren Reisen den grössten Theil Siciliens mit eigenen Augen zu schauen».

tempio di castore e polluce

 

Il soggiorno di Schubring era iniziato dalla parte occidentale dell’isola: partendo da Palermo e procedendo in senso antiorario, lo studioso tedesco, percorrendo le strade dell’isola, in parte teatro solo qualche anno prima della marcia di Garibaldi e dei Mille verso la capitale dell’isola, aveva raggiunto Siracusa all’inizio del giugno 1865, con numerose tappe lungo il percorso, sia lungo la costa che nell’interno: Partinico, Carini, Segesta, S. Giuliano (Erice), Trapani, Mozia, Marsala, Salemi, Entella, Caltabellotta, S. Anna, Selinunte, Sciacca, Capo Bianco (Herakleia Minoa), Girgenti (Agrigento).

Ad ottobre Schubring dimora a Palermo per approfondire aspetti della topografia della città e visitar ne i musei. Gran parte del mese successivo venne speso in una seconda e più lunga sosta a Girgenti da dove si sposta verso i siti della costa meridionale della Sicilia tra Licata (ant. Phintias) e Pachino (ant. Pachynum): Terranova (Gela), Camarina, capo Scalambri, Scicli, Modica, Ragusa, Spaccaforno con la valle di Ispica, Noto, Eloro, Vindicari.

I primi mesi del 1866, fino al marzo, vedono Schubring percorrere i distretti orientali e nord-orientali dell’isola, tra Catania e Messina e le rispettive aree dell’entroterra. Nell’aprile è la volta degli antichi centri siculi come Paternò, Civita, Adernò, Centuripe ecc., alcune località delle Madonie e dell’area centrale dell’isola, come Castrogiovanni (Enna) e il lago di Pergusa. Da qui il percorso si sposta verso ovest, nuovamente in direzione di Palermo, per poi risalire la costa settentrionale verso lo stretto, toccando, tra i vari siti, Solunto, con la visita agli scavi allora intrapresi, Bonfornello (ant. Himera), Cefalù, Tusa, Mistretta, Tindari e Milazzo. Il lungo soggiorno si conclude con un tour per l’arcipelago delle Eolie all’inizio di giugno.

L’iniziativa di Schubring si inscrive in una nuova prospettiva di indagine del territorio siciliano adottata da studiosi stranieri sbarcati nell’isola all’indomani dell’unità d’Italia, come si evince dalle opere di Hittorf e Zanth su Segesta e Selinunte, dello stesso Holm a Siracusa in collaborazione con Francesco Saverio Cavallari e, in un più ampio contesto geografico l’impresa di Nissen e Schöne a Pompei, Roma e nella stessa Sicilia.

Il viaggio dello studioso tedesco aveva finalità eminentemente scientifiche, distanti ormai dalle motivazioni degli ultimi viaggiatori tardo-romantici del Grand Tour, peraltro ancora presenti in Sicilia, poco prima e poco dopo l’Unità d’Italia, come Barlett, von Löher e von Hoffweiler e Metzener; questi ultimi pubblicarono il loro Sicilien nello stesso 1870. Nessuna delle spedizioni scientifiche ricordate ebbe, tuttavia, un carattere di sistematica ricognizione del territorio e dei suoi monumenti paragonabile al viaggio di Schubring che, in tal senso, può a buon diritto essere considerato un pioniere. La collaborazione con i funzionari del governo italiano, come si è detto, e che troverà concreta applicazione nello studio su Akragas, rese del tutto nuova la sua esperienza di ricerca.

Circa il rapporto con l’ambiente degli studiosi italiani è opportuno, per meglio comprendere il contesto nel quale il tedesco operò, ricordare i suoi due principali interlocutori sui problemi topografici di Siracusa, Selinunte e Agrigento: Francesco Saverio Cavallari (1810-1896)17 e Raffaello Politi (1783-1870)18, entrambi ex-funzionari dell’amministra-zione borbonica preposta alla tutela delle antichità e ancora ampiamente attivi dopo il passaggio della Sicilia al Regno d’Italia. Il primo nel 1864 assumeva, grazie ai buoni uffici di Michele Amari, all’epoca Ministro dell’Istruzione Pubblica sotto il governo Farini-Minghetti (1862-1864), la carica di Direttore delle Antichità della Sicilia. Il rapporto con Cavallari era certamente facilitato dalla personale esperienza di studio in Germania, risalente agli anni anteriori al 1848, quando, grazie alla mediazione del duca di Serradifalco, del quale era stato stretto collaboratore, poté frequentare l’università di Göttingen e addottorarsi in archeologia. Tali pregresse esperienze giovanili favorirono più tardi anche la collaborazione con Adolf Holm nella stesura dell’opera storico-topografica su Siracusa.

Diversa la personalità di Politi, al quale Schubring, nell’introduzione alla Historische Topographie, tributa un sincero riconoscimento di stima «durch Patriotismus, Umsicht, Kunstsinn und Hospitalität». Si tratta di una figura chiave per comprendere l’ambiente artistico e antiquario della Girgenti ottocentesca tardo-borbonica e proto-unitaria. Nativo di Siracusa, ma trapiantato ad Agrigento, dove morirà nello stesso anno 1870, Politi fu una personalità singolarmente poliedrica. Nel necrologio pubblicato nella I dispensa della seconda annata delle Nuove Effemeridi Siciliane, apparse nell’aprile del 1870, egli è detto «(…) autore di oltre a settanta pubblicazioni di materie letterarie e archeologiche. Amico di Giovanni Meli, che nella gioventù di lui dedicògli una delle sue migliori poesie, fu poeta facile, spiritoso e vivace: essendo ad un tempo valoroso pittore, incisore e archeologo». Dal medesimo profilo intellettuale dell’artista emergono inoltre le sue importanti funzioni pubbliche, come Regio Custode delle Antichità del Val di Girgenti, diplomatiche, come console onorario di Baviera, oltre che le illustri onorificenze accademiche, tra le quali l’appartenenza al Royal Institut of British Architects di Londra e all’Institute de France.

Sul piano dello studio e della tutela delle antichità agrigentine, materia che aveva acceso un’aspra polemica tra Politi e Giuseppe Lo Presti, suo predecessore nella regia custodia, il suo operato si segnala sia per la pubblicazione di varie opere su monumenti e reperti dell’antica Akragas, sia per la ricomposizione, nel 1825, di uno dei colossali telamoni, giacenti in pezzi e occultati tra le macerie del gigantesco Olympieion

L’interesse per le antichità e la competenza in materia archeologica fecero del Politi il referente imprescindibile per studiosi e viaggiatori colti tedeschi, come attestano le sue ripetute menzioni nello Handbuch für Reisende in Italien, pubblicato a Monaco nel 1866 da Ernst Förstner. A conferma dei solidi rapporti con il mondo dell’archeologia tedesca, è ben noto il suo coinvolgimento nell’acquisto per le collezioni reali bavaresi, operazione avvenuta per il tramite di Leo von Klenze, della ricca raccolta di vasi greci e sicelioti del “Ciantro” Giuseppe Panitteri, oggi importante nucleo delle Antiken Sammlungen di Monaco. Nel 1826 Politi aveva pubblicato un’opera di carattere antiquario dal curioso titolo Il viaggiatore in Girgenti e il cicerone di piazza con la quale esponeva, ricorrendo alla finzione del dialogo tra un “milord” inglese – prototipo del viaggiatore del Grand-Tour – e una guida locale, le proprie opinioni sulle antichità della città. L’opera, percorsa qua e là da una gustosa vena satirica e da accenti marcatamente polemici, era certamente nota a Schubring che ne fa cenno a proposito della menzione dei vasi esistenti nelle collezioni di Giuseppe Panitteri e dello stesso Politi.

I risultati della permanenza in Sicilia di Schubring furono fondamentali per una conoscenza diretta della topografia antica della Sicilia. Holm, la cui opera geografica apparve al rientro del collega in Germania, se ne avvalse ampiamente, come ricorda nel già menzionato preambolo alla Berichtigung. Essi costituirono poi materia della produzione scientifica di Schubring nella quale egli affrontò problemi topografici di Siracusa e del suo territorio, di Megara, di Selinunte, di Mozia e capo Lilibeo, di Gela e Phintias, Camarina, Palermo, Leontinoi e quindi Agrigento. La ricca bibliografia dello studioso, distribuita nel decennio 1864-1874, è la diretta conseguenza della sua intensa opera di indagine, ispezione e riscontro sul suolo siciliano.

 

  1. Julius Schubring a Girgenti e la sua opera su Akragas

 

A Girgenti Schubring dedicò un duplice soggiorno dedicato allo studio delle vestigia monumentali dell’antica Akragas. Il primo incontro con la città avvenne nella primavera del 1865, trascorso tra le rovine dei templi e le locali raccolte vascolari. Una più lunga sosta è del novembre successivo, funzionale soprattutto all’esplorazione degli «unterirdischen Denkmäler» di Akragas, i condotti idrici sotterranei, detti «acquedotti feaci».

Date la natura e la finalità della sua opera, i mesi di soggiorno di Schubring a Girgenti trascorsero in una quasi febbrile attività di studio e ricerca sul campo che avrebbero avuto come esito un’opera destinata a marcare un preciso spartiacque tra le trattazioni antiquarie e i resoconti dei viaggiatori del Grand-Tour settecentesco e del primo Ottocento da una parte e la successiva letteratura archeologica dall’altro, alla quale il contributo di Schubring può a buon diritto dirsi appartenente. A differenza di tentativi precedenti tentativi di opere di sintesi sull’antica Akragas, come quella di un altro studioso tedesco, Otto Siefert apparsa nel 184527, il contributo di Schubring oltre che per la conoscenza della letteratura antiquaria – Arezzo, Fazello, Cluverius, d’Orville, ecc. -, della memorialistica di viaggio – da Hoüel a von Riedesel, da Saint-Non a Denon – e delle più recen¬ti sintesi storico-antiquarie di studiosi locali, come le Memorie Storiche Agrigentine, edite da Giuseppe Picone nel 1866, e consultate fresche di stampa, si fa apprezzare per l’anali-si sistematica e scrupolosa del sito. Un’anticipazione dell’opera fu offerta al mondo degli studiosi nel corso della seduta del 28 settembre 1869 delle Verhandlungen der . Versammlung Deutscher Philologen und Schulmänner di Kiel, della quale Schubring era membro, con un intervento dal titolo Über Akragas. La disamina dei principali elementi topografici della città e del suo territorio, contiene resoconti delle personali indagini dello studioso, come nel caso dell’ispezione di uno dei condotti d’acqua sotterranei: «mit Proviant und Licht versehen machten wir uns unten auf den Weg und gingen zwei Stunden nach Norden immer bergan, fortwährend im Wasser tappend».

Logica conseguenza della presenza dello studioso tedesco a Girgenti fu la redazione di una nuova ed aggiornata carta dell’antica Akragas. Come egli stesso dichiara nell’introduzione, la possibilità di redigere una nuova carta che contenesse tutti i resti delle antichità della città e del suo suburbio costituiva un aspetto indispensabile del suo lavoro 29. L’occasione si offriva in concomitanza con le operazioni di triangolazione geodetica della Sicilia intraprese dallo Stato Maggiore dell’Esercito italiano subito dopo l’Unità del paese.

A questo proposito Holm, in un passaggio dell’introduzione della Geschichte Siciliens , ricorda di essersi avvalso, per il tramite di Schubring, della conoscenza della carta aggiornata della Sicilia, redatta dall’Ufficio Tecnico dello Stato Maggiore del Regio Esercito italiano sotto la guida del direttore, il colonnello Ezio De Vecchi (1824-1897), dal 1872 primo direttore dell’Istituto Topografico Militare (poi Istituto Geografico Militare)31.

Uomo di lunga esperienza militare – si distinse con onore in vari momenti della storia risorgimentale italiana, tra i quali la presa di Roma -, ma anche esperto studioso di geodesia, De Vecchi aveva partecipato ai lavori dell’Associazione internazionale per la misurazione dei gradi d’Europa, tenutesi a Berlino nel 1864 ed era stato nominato, dal Ministero dell’Istruzione Pubblica, membro della commissione nazionale di geodesia. Nel 1865, la triangolazione dell’isola era stata completata, le operazioni dei cartografi militari su Agrigento e il suo territorio avevano prodotto la «carta di Girgenti e i suoi templi» in scala 1:10.000, documento che tuttavia non incontrava pienamente le aspettative di Schubring per contenere solo i 2/3 del territorio dell’antica Akragas. Due anni dopo egli ottenne («auf meinem Wünsch»)32 l’elaborazione di una carta più ampia che includesse tutto il territorio urbano incluso tra i fiumi S. Biagio e S. Anna, poi pubblicata, «durch Liberalität der italienischen Behörden», in una libera riduzione scalare a 1:15.000 (fig. 2).

La stretta collaborazione tra Schubring e i cartografi militari italiani, con un coinvolgimento diretto, forse, dello stesso De Vecchi, consentì allo studioso tedesco di conoscere tra i primi i fogli della nuova carta della Sicilia, elaborata nel 1868, e renderla nota al collega Holm.

La documentazione cartografica dell’antica Akragas elaborata da Schubring ha rappresentato un caposaldo degli studi di topografia akragantina, almeno fino alle nuove piante redatte nel Novecento da Schmidt e Griffo, con l’ausilio della fotografia aerea. La nuova pianta permetteva così la correzione delle numerose distorsioni che avevano caratterizzato la cartografia di Akragas fino al quel momento, verificabili ancora in opere di poco anteriori al viaggio di Schubring, come mostra la pianta della città pubblicata dal francese Augustin Joseph Du Pays nel suo Itinéraire descriptif, historique et artistique de l’Italie et de la Sicile apparso nel 1855.

Non meno interessanti risultano le interpretazioni dell’evidenza archeologica e dei dati delle fonti antiche contenute nell’opera del tedesco. Grazie ad essa egli fornì la prima sintesi sistematica della topografia dell’antica Akragas dall’età della fondazione greca a quella romana, fornendo agli studiosi successivi un utile e fondamentale strumento critico. Alto prestigio le ricerche di Schubring godettero presso gli studiosi italiani della generazione successiva. Nel 1929 la sua opera era infatti reputata “ottima” da uno dei maggiori studiosi di Akragas, Pirro Marconi, sebbene superata in rapporto alle nuove acquisizioni di scavo, e nel 1935, Biagio Pace stimava i suoi studi «… di alta importanza per la più acuta capacità di correlazione tra i testi esaminati criticamente e il terreno percorso con fine intuito» 35.

E ancora in tempi più recenti, un altro illustre studioso di Agrigento antica, Jozef Arthur de Waele, ad un secolo di distanza, definiva lo studio di Schubring «eine Monographie … die alle früheren weit übertraf»36. Ed anche se, a fronte di un’impresa di poco posteriore come la Topografia archeologica di Siracusa di Holm e Cavallari, all’opera di Schubring può essere mossa l’obiezione di non avere contemplato, nella sua con¬cezione, l’apporto dello scavo archeologico con lo scopo di arricchire la documentazione esistente, tuttavia la serrata verifica dei dati sul terreno e il costante riscontro con le fonti restano un’imprescindibile tappa nello studio della storia dell’antica Akragas.

La ricognizione sistematica della realtà monumentale consentì infatti a Schubring di fissare dei punti fermi nella ricostruzione della topografia dell’antica città greca della quale, nel già ricordato intervento nel corso delle Verhandlungen di Kiel, egli pose in evi denza, sulla scorta del noto passo polibiano, i tre punti basilari della discussione topografica, cui la nuova carta della città forniva peraltro illuminanti spunti di riflessione: l’ubicazione del porto, la denominazione e l’identificazione dei fiumi di Akragas, ed infine la cinta muraria37.

I personali rilievi e i dati forniti dalla nuova cartografia permisero così a Schubring di fissare, ribadendo le posizioni del duca di Serradifalco38, l’esatta posizione dei fiumi Akragas, (poi S. Biagio) e Hypsas (poi Drago o S. Anna), rispettivamente a est e a ovest della città, così come indicava Polibio, ponendo fine ad una ridda di errate supposizioni che si erano susseguite dal XVII secolo, con il Cluverius, fino al Pancrazi, nel 1751-1752. Un’altra falsa deduzione topografica, l’esistenza cioè di una Neapolis akra-gantina frutto di una errata e pedissequa interpretazione di un passo plutarcheo della vita di Dione (Plut., Dion 49), fu definitivamente smantellata dalle indagini di Schubring. Tale entità topografica, da molti immaginata come un’estensione extramuranea dell’abitato verso oriente fu da lui fermamente negata («… existierte eine Neapolis von Akragas nicht …»), a ragione, poiché completamente ingiustificata dai riscontri archeologici e dalla con¬formazione del territorio. Schubring ritenne piuttosto che la fonte antica ricordasse una polis di nome Nea, sita nella chora orientale akragantina, priva tuttavia di riscontri archeologici.

Un tema specifico della topografia di Akragas, in sé di primario interesse storico e archeologico e più strettamente legato alla figura di Schubring, è quello dell’ubicazione dell’acropoli della città. La questione, ancora oggi sostanzialmente priva di una soluzione definitiva e convincente, è sempre stata di capitale importanza per la storia e la topografia della città e l’opera di Schubring ha segnato in proposito una svolta nella storia degli studi. Lo studioso prese le mosse, naturalmente, dal noto passo di Polibio (IX 27, 6) che così descriveva l’acropoli di Akragas: «La rocca sovrasta la città proprio in direzione della levata estiva del sole, circondata sul lato esterno da un burrone inaccessibile e con un solo accesso dalla città sul lato interno. Sulla sommità sono stati identificati i santuari di Atena e di Zeus Atabirio, come anche a Rodi».

Ora, la tradizione di studi anteriore, ribadita dall’autorevole duca di Serradifalco43, intendeva il passo polibiano come un chiaro riferimento alla cd. Rupe Atenea, toponimo probabilmente derivante dalla tradizione umanistica e da lungo tempo ormai pienamente radicato nella toponomastica della città, l’altura più eminente della città (m 351 s.l.m.) ed orientata verso est. L’autorità dello storico greco consentiva così di escludere come sito dell’acropoli il colle di Girgenti, la seconda altura inferiore come quota alla prima (m 326 s.l.m.) ed orientata verso ovest, dove si era sviluppata la città medievale e moderna, dopo la contrazione della polis antica. Si giustificava così la collocazione sul colle della capitale dei Sicani, Kamikos o Omphake a seconda degli autori, sede del re Kokalos.

Lo studioso tedesco, procedendo dai dati delle fonti storiche e dalla disamina della esigua, e labile, documentazione archeologica disponibile all’epoca e consistente nella presenza, da tempo accertata, di un tempio dorico sotto la chiesa di S. Maria dei Greci sul colle di Girgenti, giunse alla conclusione che l’acropoli fosse da identificare in questo settore della città antica, con il tempio di Zeus Atabyrios (coincidente con lo Zeus Polieus menzionato da Polieno, V 1,1) in posizione eminente, eretto nel luogo dove nel Medioevo fu edificata la cattedrale di S. Gerlando.

Per l’Athenaion, il tempio sotto S. Maria dei Greci costituiva invece un eccellente candidato47. La Rupe Atenea, secondo Schubring, rimaneva invece fuori da tale contesto di localizzazione («Die Rupe Atenea muss hier gänzlich aus dem Spiel bleiben …»), dal momento che ad essa, per la sua morfologia ed i caratteri di area spoglia e rocciosa, egli non riconosceva alcun ruolo significativo nell’im-pianto urbanistico della città antica. Nell’acropoli, situata dunque sul colle occidentale, Schubring riconosceva, inoltre sia l’Atabyrion siciliano, citato da Stefano di Bisanzio, sia il lòphos Athenaios di Diodoro. A sostegno della sua teoria, egli dovette, è doveroso ammetterlo, derogare al suo consueto rigore filologico, attribuendo un grossolano errore a Polibio, quello cioè di avere confuso l’oriente con l’occidente, ovvero ipotizzando una corruzione del testo ed emendando, in modo non proprio ortodosso, l’indicazione “anatolàs” in “dýseis”.

Ugualmente controverse appaiono le deduzione di Schubring sul piano dell’evidenza archeologica quando ritenne di riconoscere nella cattedrale agrigentina di S. Gerlando l’edificio insistente sul tempio di Zeus, sui resti del quale essa venne costruita, riutilizzandone anche i materiali di spoglio. Si trattava di affermazioni di enorme peso, purtroppo non sostenute da indagini archeologiche nel sito, condotte invece negli anni ’20 del XX secolo e i cui esiti servirono a Pirro Marconi per affermare che «si credette che il tempio di Zeus fosse al posto dell’attuale Cattedrale; ma questa notizia è ora smentita dai risultati dei lavori eseguiti in questa chiesa: nei numerosi sondaggi fatti nelle fondazioni non venne trovato un solo concio greco o un solo coccio; i muri medievali si prolungano fino alla roccia».

L’ipotesi di Schubring, già oggetto di attento dibattito nel colloquio di Kiel del 1869, trovò ampio consenso fino ad oltre la seconda metà del Novecento51. Negli anni ’70, la serie di campagne di scavo (1970-75, 1978) condotte da de Waele, parevano offrire la tanto sperata occasione di confermare i dati delle fonti antiche e sconfessare finalmente la teoria di Schubring, che l’archeologo olandese decisamente respingeva, malgrado la stima verso il suo propositore. I risultati, importanti, non parvero tuttavia raggiungere pienamente lo scopo.

Le strutture chiaramente leggibili che emersero furono un muro di terrazzamento e forse di fortificazione, poi parzialmente utilizzato, nella metà del IV secolo a.C., come basamento di un frantoio, resti di una torre di avvistamento della fine del V secolo a.C. collegati ad un muro di terrazzamento, quest’ultimo solo ipotizzato come parte della struttura di una cella di un tempio ad oikos.

Troppo poco per ricostruire una situazione che attraverso le fonti dobbiamo pensare di ampia monumentalità e grande impegno architettonico. Ogni ipotesi sull’argomento fu pertanto sospesa in attesa di nuovi dati di scavo, con la certezza tuttavia che, citando letteralmente de Waele, «il tempio di Zeus Atabyrios fosse sul terreno oggetto dei nostri lavori è da escludere come hanno dimostrato gli scavi 1970-1978». Lo studioso ritenne inoltre che il passo di Polibio contenesse, sulla scorta della perduta opera di Philinos di Akragas, la descrizione dell’acropoli militare della città al tempo della prima guerra punica, in un contesto storico e topografico ben diverso dall’età classica. Per questo periodo si riteneva plausibile che l’acropoli includesse entrambe le sommità, così come già Serradifalco aveva proposto nel 1836.

Ma un elemento appariva certo e sostanzialmente concordante con le osservazioni pubblicate da Schubring un secolo prima, secondo il quale, come esplicitamente osservava, il luogo, per sua naturale conformazione, difficilmente poteva avere accolto l’impian-to dei due principali templi cittadini: «Der oberste Felsknopf selbs (…) hat eine so gerin-ge wenn auch rechteckige Fläche, dass er kaum einen kleinen Tempel, etwa ein Templum in antis, tragen konnte (…) geschweige denn zwei, besonders wenn der eine von ihnen so prächtig war». I più recenti studi topografici su Akragas sembrano tuttavia avere decisamente abbandonato l’ipotesi di Schubring, sostenendo l’esistenza di un’originaria acropoli sulla Rupe Atenea – dove alle pendici SE è stato posto in luce un santuario delle divinità ctonie includente anche il culto di importazione rodia di Athena Lindia – estesasi poi, nel V secolo, anche all’altura occidentale, dove sarebbe sorto il tempio di Zeus Polieus a seguito della vittoria di Himera (480 a.C.).

La possibilità che la Rupe abbia potuto accogliere i templi ricordati da Polibio ci porta alla fine del XIX secolo, quando gli scavi promossi nel sito da Salvatore Bonfiglio, farmacista agrigentino e dilettante di archeologia, riaprirono la questione definita da Schubring quasi venti anni prima. I risultati furono riassunti in un’opera, Su l’acropoli akragantina, pubblicata nel 1897 – oggetto di una dura recensione di Holm nella Berliner Philologische Wochenschrift del 1899 che, come osserva ancora de Waele, ne decretò il quasi totale oblio nella letteratura sul tema55. Nel 1902, Bonfiglio ritornò sull’argomento, dando conto nelle Notizie degli Scavi di antichità delle sue ulteriori esplorazioni che misero in luce una galleria di ca. m 18 ed un muro in tecnica isodoma di m 12,50.

Probabilmente erano le stesse strutture avvistate, ma non precisamente localizzate, già da Serradifalco. Le ipotesi del Bonfiglio, che del tutto arbitrariamente riconosceva sotto il colle di Girgenti l’antica Omphake sicana, trovarono conforto nell’opuscolo del poeta Gabriello Dara, Sulla topografia d’Agrigento del prof. Saverio Francesco Cavallari: lettera dell’avv. Gabriello Dara a Giovanni Picone (1883), nel quale si attribuiva la contrazione della superficie utile della sommità della Rupe all’azione progressiva, dai tempi antichi ad oggi, dell’erosione del suolo «per la diuturna coltivazione, per gli scoscendimenti, per le piogge e per ogni altra azione distruttrice»56. L’idea che i due massimi templi urbani fossero esistiti in quel luogo resisteva dunque tenacemente.

Il dibattito topografico nella Girgenti tardo ottocentesca riconduce inevitabilmente alla biografia intellettuale di Schubring dalla quale il presente contributo ha preso le mosse. Nel 1887 la sua fondamentale opera storico-topografica viene pubblicata nella traduzione italiana di Guglielmo Toniazzo, consentendo così la divulgazione delle sue idee presso un pubblico più ampio. Ma a quell’epoca lo studioso, il celebrato “gründlichster Kenner” della Sicilia, viveva ormai lontano dal mondo degli studi di antichità e archeologici. Il distacco dal mondo dell’archeologia sembra essere avvenuto dopo il 1881, anno in cui Schubring lascia la carica di Schatzmeister della Archäologische Gesellschaft di Berlino che aveva tenuto dal 1874.

I suoi interessi si rivolsero all’insegnamento ginnasiale, praticato fin dal 1867 tra Berlino e Lübeck, dove dal 1880 al 1904 divenne direttore del Katharineum. E in questa veste egli fu il primo ad introdurre in Germania l’ora scolastica di 45 minuti e, nel 1882, le competizioni annuali di pentathlon degli allievi concepite secondo l’antico modello olimpico. Insieme a scritti di carattere pedagogico, l’opera di maggiore impegno durante questi anni fu l’edizione del ricco epistolario del padre con Felix Mendelssohn Bartholdy, completato nel 1892.

Il progressivo estraniamento dal mondo archeologico non gli impedì tuttavia di replicare ai risultati degli scavi di Bonfiglio attraverso una lettera, redatta del 1897 e pubblicata su Il Cittadino del 26 agosto 1906, nella quale ammetteva, con un atteggiamento di rara autocritica e con limpida onestà intellettuale, i suoi errori di valutazione nell’identificazione dell’acropoli dell’antica Akragas proposta anni prima. Non ci è dato conoscere le ragioni di questa pubblica ammissione di errore, ma come si è osservato, sondaggi e scavi scientificamente ben più attrezzati di quelli dilettanteschi di Bonfiglio, sembrano con ogni evidenza restituire a Schubring almeno la verosimiglianza delle sue ipotesi.

Julius Schubring si spense a Lübeck nel 1914, prima che la prima grande catastrofe del Novecento sconvolgesse quell’Europa largamente percorsa da rapporti e scambi intessuti tra studiosi di diversa provenienza e formazione, specialmente tedeschi, e di cui Schubring può essere considerato una delle «nobili figure», secondo la definizione di Arnaldo Momigliano. Con i suoi studi egli aprì la strada alle indagini dell’archeologia moderna in Sicilia che trovarono il migliore interprete in Paolo Orsi.

 

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RAUSA, F. (2014) – Julius Schubring pioniere degli studi sulla topografia storica di Akragas

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, akragas

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