Nel settembre dell’anno 1889, Luigi Pirandello, studente universitario, scrive al suo professore di Filologìa dell’Università di Roma, Ernesto Monaci, che lo aveva incaricato di recarsi presso la Biblioteca Lucchesiana di Girgenti, fondata dal vescovo Monsignor Andrea Lucchesi Palli nel 1765, per cercarvi dei manoscritti arabi. Nella lettera Pirandello fa una descrizione dello stato di abbandono e di degrado in cui si era ridotta quell’istituzione.
“… Molti di fatti ne trovai, e alcuni, stimo io, di qualche valore. La biblioteca affidata a un prete Schifano, “presso che illetterato”, va in perdizione, che i manoscritti antichi, “circa cento, sono ridotti a tale da non poterne in alcuni casi più far conto e copia”, mentre tale immobile è sempre conteso sull’appartenenza tra il Comune e la Curia Vescovile.
Poi racconta: “…vidi nella penombra fresca che teneva l’ampio salone rettangolare, presso un tavolo polveroso, cinque preti della vicina Cattedrale e tre carabinieri dell’attigua caserma in maniche di camicia, tutti intenti a divorare un’insalata di cocomeri e pomodori.
Restai ammirato.

I commensali stupiti levarono gli occhi dal piatto e me li confìssero addosso. Evidentemente io ero per loro una bestia rara e insieme molesta. Mi apprestai rispettosamente (perché no?) e domandai del bibliotecario”. – “Sono io”,- mi rispose uno degli otto, con voce afflitta dal boccone non bene inghiottito; “Io vengo a chiederLe il permesso di vedere se in questa… (non dissi taverna ma biblioteca) sono dei manoscritti”.
“Là giù, là giù, in quello scaffale in fondo”, mi interruppe la stessa voce impolpata di un nuovo boccone, e gli otto bibliotecari si rimisero a mangiare. O Marius De Maria, sospirai io, pittore bizzarro e fratei mio d’elezione! Lo scaffale accennatomi era aperto: chi ne avesse avuto voglia avrebbe potuto servirsi a comodo; ma quei libri non conoscono altri visitatori che i topi e gli scarafaggi…”.
Luigi Pirandello, laureatosi quindi in Bonn, ritorna a Roma e si afferma prima come poeta poi come scrittore di romanzi, novelle, commedie e saggi.
Nell’affollato stuolo di personaggi che interpretano il romanzo “I vecchi e i giovani” vi sono due fratelli: Nini e Vincente De Vincentis, il primo giovane amico di casa di Don Ippolito e Don Cosmo Laurentano, … “dall’elegantissima barbetta nera”, il secondo Vincente, arabista, bibliotecario, sempre intento a studiare nella biblioteca di Itria, vicina al palazzo vescovile, … “quei quattordici volumi d’arabo manoscritti che dovrebbero pesare come tanti macigni, nel mondo al di là, sull’anima del conte Lucchesi Palli che volle farne dono morendo alla nostra biblioteca per rovinare codesto figliolo”!
Vincente De Vincentis del romanzo corrisponderebbe nella realtà girgentana a Michele De Gubernatis, studioso, ellenista, arabista, topo di biblioteca alla Lucchesi Palli e bibliotecario delle scuole pubbliche, mentre Nini De Vincentis altro non era che Antonio De Gubernatis, letterato folclorista, bibliotecario, poeta estemporaneo, detto Nini dagli amici, … “compagno di Ginnasio e confidente di Pirandello nei periodi estivi di questi a Girgenti, finiti tutti e due in miseria per la inettitudine propria e per la speculazione degli altri sui loro beni, uno in un essere dal “corpicciolo ossuto, sparuto, convulso. Gli occhi duri dietro le lenti fortissime, nel volto scavato avevano la fissità della pazzia”, l’altro in un essere introverso ma che destava pietà.
Nell’altro romanzo di Pirandello “Il fu Mattia Pascal” riscopriamo le immagini di un bibliotecario e della Lucchesiana.
Non c’è chi non veda in quest’opera come l’Autore sia stato capace di trasferire, in un comune della Liguria denominato Miragno, l’ambiente nel quale Mattia Pascal lavora come a Vincente De Vincentis, nella polverosa biblioteca di Santa Maria Liberale, invasa da topi e ragni, che un bel giorno abbandona definitivamente, fuggendo da casa, non lasciando più traccia di sé, mutando perfino il proprio nome in quello di Adriano Meis, creandosi una nuova storia, cominciando una nuova esistenza, gravida di casi ancor più strani e più tristi, prima trascorsi.