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LAMPEDUSA LA STORIA

26 Luglio 2015 //  by Elio Di Bella

LAMPEDUSA UNA PROCESSIONE
LAMPEDUSA UNA PROCESSIONE

Di Caterina Busetta e Gaetano Gaziano

“Che s’abbia a ritrovar con numer pare di cavallieri armati in Lipadusa

un’isoletta è questa, che dal mare medesmo che li cinge, è circonfusa”

Così l’Ariosto (1474-1533) nel quarantesimo canto dell’Orlando Furioso allorché mette in bocca ad Agrimante, re saraceno, la sfida per il conte Orlando, paladino cristiano. Duello decisivo che la feconda fantasia ariostesca, forse inseguendo una leggenda dura a morire, immagina svolgersi proprio a “Lipadusa”. Ancora oggi a Lampedusa esiste la contrada “Cavallo Bianco” (dove sorge l’aeroporto) in onore, sempre secondo la leggenda, del cavallo di Orlando.

Ma risale al mito l’origine e il nome di Lampedusa? E’ questa l’affascinante ipotesi, se si pensa a Lampethusa figlia del Sole assieme a Lampezie e Phetusa (le isole Pelagie?). E’ certo però che, passando dal mito alla storia, già Scillace (VI-V sec. a.c.) ne parla denominandola “Lampadusa” per i fuochi che si accendevano sulle torri a mo’ di fari per indirizzare i bastimenti.

Strabone (64 a.c. – 20 d.c.), Plinio (23 a.c. – 79 d.c.) e Tolomeo (138 180 d.c.) ne parlano chiamandola “Lipadusa”.

Mentre “Limpadusa” per il Fazello (1498 1570) e “Lampidusa” per il Nobili (XVII sec.) deriverebbero dal forte balenare di fulmini.

Lampethusa, Lampadusa, Lipadusa, Limpadusa, Lampidusa: quale scegliere? Quale nome preferire? Forse oggi conta poco. Importante è invece che Lampedusa rimanga una musa ispiratrice non di tenzoni ma di forti emozioni.

 

Questa breve ricerca sul nome di Lampedusa è tratta dalla rivista “Lo Specchio di Calipso” pubblicata nel 1987, in occasione del convegno svoltosi a Lampedusa e promosso da Legambiente di Agrigento, per chiedere l’istituzione della riserva naturale dell’ “Isola dei Conigli” che è stata poi istituita nell’anno 1994

Il 22 settembre 1843 Bernardo Sanvisente, ufficiale di marina del Re Ferdinando II di Borbone, con le navi “La Rondine” e “L’Antilope” sbarca a Lampedusa, per fondarvi una nuova colonia, di cui sarà primo governatore. Da quella data inizia la storia moderna di Lampedusa. Da questo numero “Punta Sottile”, convinta di fare cosa gradita ai propri lettori, inizia la pubblicazione dell’elenco dei primi coloni dell’isola, dando conto anche degli abitanti (26 in tutto) che il Sanvisente trova a Lampedusa, provenienti da Malta e stabilitisi sull’isola in qualità di enfitueti di alcuni terreni loro concessi dalla famiglia Tomasi di Lampedusa, fino ad allora proprietaria dell’isola.

Lampedusa, per la sua posizione geografica in mezzo al Mediterraneo e perché dotata di un porto naturale, ha offerto approdo e rifugio agli audaci naviganti dell’antichità: Fenici, Cartaginesi, Greci e Romani. Pare accertato, ad esempio, che ai tempi delle guerre puniche vi si rifugiavano, con i loro bastimenti, sia i Romani che i Cartaginesi e che i Romani, in particolare, se ne servirono come base navale per le spedizioni contro Cartagine. A testimonianza di ciò, ci sono le molte diverse monete di rame, argento ma anche d’oro rinvenute in diversi siti lampedusani, oltre alle circa 150 cisterne d’acqua d’epoca romana. Ma per avere documenti e notizie certe su Lampedusa bisogna arrivare al XV secolo quando Alfonso V di Aragona, primo re di Napoli, in data 10 febbraio 1436 diede a Giovanni De Caro dei baroni di Montechiaro e ai suoi eredi il privilegio della concessione in perpetuo dell’isola di Lampedusa con tutte le sue pertinenze e con la facoltà di fabbricarvi case e fortezze. Ultima discendente di tale casato fu Francesca De Caro che andò in sposa a Ferdinando Tommasi, portandogli in dote la baronia di Montechiaro e l’isola di Lampedusa. Nel 1667 Carlo II, re di Spagna di Napoli e Sicilia, concederà ai Tommasi il titolo di principe di Lampedusa. Dopo circa un secolo, esattamente nel 1776, il principe Giulio Maria Tommasi, antenato di Giuseppe Tomasi, autore del “Gattopardo”, dichiara al re la sua “impotenza a mantenere l’isola a  causa della pirateria dei barbareschi e di coloro che in parte l’avevano occupata” e perciò la offre al sovrano, perché la fortificasse e la popolasse. Passarono molti anni e bisognò arrivare al 1790 e al re Ferdinando IV che tentò la colonizzazione dell’isola dopo quella riuscita di Ustica e di Ventotene. Venne costruito in quegli anni, di fronte al porto, un castelletto dove alloggiò un piccolo presidio militare.

Si scavarono pozzi per l’acqua potabile, si coltivarono alcuni appezzamenti di terreno, ma nonostante ciò la colonizzazione non riuscì, probabilmente per la difficoltà delle comunicazioni e per le incursioni dei pirati, che continuavano ad infestare l’isola, anche se già nel lontano 1520 l’ammiraglio genovese Andrea Doria, al servizio di Carlo V, aveva sconfitto Dragut a Mahdia in Tunisia, tentando di debellare il fenomeno della pirateria. Si racconta che proprio durante la navigazione di ritorno la flotta dell’ammiraglio Doria, nella notte del 4 luglio, incappò in una furiosa tempesta nei pressi di Lampedusa; le perdite furono enormi e i superstiti si salvarono riparandosi a cala Pisana.

Successivamente a interessarsi di Lampedusa fu l’Inghilterra che, non potendola ottenere né per azione diplomatica né per trattati, fece chiedere ai Tomasi da certo Salvatore Gatt, maltese, l’isola di Lampedusa in enfiteusi. Il Gatt, stipulato il contratto, si trasferì sull’isola con tale Alessandro Fernandez, dividendosi l’isola con un muro di pietra a secco in direzione nord-sud, detto muro vecchio, disboscandola e coltivandola. Successivamente cedettero l’isola a tale Fortunato Frenda, anch’esso maltese loro parente, che ne rilevò il contratto di enfiteusi. Il Frenda fece trasferire in Lampedusa alcuni muratori e contadini, e vi fece costruire una grande casa con cisterna e aia. Le pretese inglesi di acquisire l’isola vennero vanificate, perché Ferdinando II, da accorto politico qual era, pensò di acquistare l’isola per colonizzarla. La vendita si concluse per la somma di 12000 ducati, ma i Tomasi mantennero il titolo di principi di Lampedusa. Dopo di ciò il governo borbonico pensò di colonizzare l’isola, dando l’incarico al tenente di vascello Bernardo Sanvisente dei marchesi di Villacarillos di organizzare la spedizione. Il 22 settembre 1843 la spedizione sbarca a Lampedusa con le navi “La Rondine” e “L’Antilope”.

I protagonisti della colonizzazione dell’isola furono 3. A Palermo il Cavaliere di Gran Croce Don Marcello Fardella, duca di Cumia, Procuratore Generale presso la gran Corte dei Conti, che nel 1842 era stato nominato dal re delegato per la colonizzazione delle isole di Lampedusa e Linosa. A Girgenti l’Intendente della Provincia Silvio Speciale di S.Andrea ed infine il tenenente di vascello Bernardo Maria Sanvisente, dei Marchesi di Villacarillos.

Il Duca di Cumia dal 1842 fino al 1847, anno in cui morì, seguì passo passo le vicende della colonizzazione delle due isole, dando i finanziamenti richiesti dal Sanvisente con cui andò d’accordo. Sanvisente riferiva a Cumia che, a sua volta, riferiva al re.

Prima della spedizione, esattamente il 17 luglio 1843, il duca di Cumia diede al Sanvisente molte e dettagliate istruzioni per la buona riuscita dell’impresa,

tra le quali quella di risolvere, nel miglior modo possibile, il problema rappresentato dai maltesi, i Frenda, ormai rimasti gli unici abitanti dell’isola con i familiari e gli operai.

Sanvisente riuscì, con una abilissima opera di persuasione, a fare sloggiare la famiglia Frenda, dopo aver dichiarata decaduta e sciolta l’enfiteusi, per mancanza di pagamento del canone al principe Tomasi e l’acquisizione dell’isola da parte del governo borbonico che ne assumeva subito il possesso. Venne così ammainata la bandiera inglese, che sventolava sul “castello”, abitazione di Fortunato Frenda, ed issata quella con i gigli dei Borboni.

Il 6 marzo 1844 il Frenda e i suoi lasciarono per sempre l’isola, rifugiandosi a Sfax, in Tunisia; i maltesi al suo servizio tornarono, invece, a Malta, tranne due giovani Giuseppe De Battista e Giuseppe Caruana, che insistettero per restare sull’isola perchè vi erano arrivati in tenera età. A loro furono assegnate terre e case.

Alcuni giorni dopo lo sbarco del Sanvisente (22 settembre 1843) giunsero nell’isola le nuove famiglie, tra questi ricordiamo Don Pietro Codiglione da Palermo, sindaco; Dott. Calogero De Castro da Girgenti, medico; Don Eugenio Sanfilippo cappellano; fra’ Salvatore Montana, sacrista; Don Giovan Battista Dotto dei Dauli, cancelliere, e altre famiglie i cui nomi possono ricavarsi dall’elenco allegato al presente articolo e alle precedenti puntate della storia.

Prima della partenza tutti i funzionari della spedizione prestano giuramento di fedeltà al re, nelle mani dell’intendente Silvio Speciale, che anticipa loro la paga di un mese.

Mappa di Lampedusa disegnata dalo Cap. di Fregata Bernardo Sanvisente governatore dell'isola
Mappa di Lampedusa disegnata dalo Cap. di Fregata Bernardo Sanvisente governatore dell’isola

Allo sbarco a Lampedusa, i coloni e le loro famiglie si trovarono subito di fronte alle difficoltà derivanti dalla mancanza di ogni conforto. Il medico Calogero De Castro assieme alle guardie sanitarie, urbane e militari, sbarcarono per primi per visitare persone, grotte e magazzini, al fine di evitare brutte sorprese.

In alcuni vi trovarono orzo e frumento e una certa quantità di lana, prodotta dal gregge di Frenda. Le navi Antilope e Rondine, che avevano trasportato i coloni, non ebbero contatto con alcuno e anche la relazione del Sanvisente fu disinfettata. Dalle corrispondenze del Sanvisente apprendiamo i disagi dei coloni per la precarietà dei luoghi oltre che per la mancanza di mezzi e di viveri. Dopo aver praticato delle riparazioni alla meglio al “castello”, che avevano trovato in condizioni malandate, vi alloggiano, oltre al Governatore, anche il sindaco il medico e il cancelliere. Gli altri coloni inizialmente vengono sistemati alla meglio nei magazzini e nelle grotte esistenti.

Solo il buon senso e la capacità del Sanvisente danno ai coloni un po’ di sicurezza e speranza. Il Sanvisente, infatti, era uomo di buon cuore e aiutava tutti; era anche severo nel pretendere onestà e moralità, per cui i suoi circa 10 anni di governo si caratterizzeranno per un periodo tranquillo, senza fatti di criminalità.

 

Nato a Trani nel 1793, era sposato con Enrichetta Chalamel con cui ebbe sei figli: Edoardo, Nicola, Fanny, Ernesto, Eugenio e Isabella. Di questi figli ben quattro morirono in giovane età. Fanny, sposata con Giuseppe Messineo costruttore di Palermo venuto a Lampedusa per costruire anche i sette palazzi, morì all’età di 28 anni lasciando orfani due figlioletti. Moriranno giovani anche Ernesto, Eugenio e Isabella. Della moglie Enrichetta si sa che partecipava a tutte le feste religiose e civili e consegnava i premi agli alunni più bravi e che nel 1847 ricevette in dono dal re Ferdinado II, che aveva già visitato due volte Lampedusa nel 1844 e nel 1846 assieme alla moglie Maria Teresa d’Austria , una carrozza per non camminare a piedi per le strade dissestate dell’isola.

Sanvisente visitò subito l’isola per terra e per mare per averne ampia conoscenza e per preparare le relazioni da inviare al re. In una sua relazione descrive la vegetazione di Lampedusa composta prevalentemente da macchia mediterranea: olivastro, carrubo, ginepro, corbezzolo, lentisco, pino d’aleppo eccetera. Il Sanvisente osserva che la macchia verde era piegata verso sud per i venti del nord. C’era inoltre molta fauna selvatica, come i conigli; a ponente c’erano i cervi e infine molti uccelli migratori. Fattosi un esatto concetto dell’isola, sulla scorta delle relazioni e delle proposte del Sanvisente, il governo decretò: 1) un servizio settimanale di due legni a vela, dal molo di Girgenti a Lampedusa e viceversa, 2) un fondo di 12000 ducati per le provviste e per i sussidi ai coloni; 3) di far scavare pozzi per acqua sorgiva e di costruire cisterne per l’acqua piovana; 4) di costruire mulini, le cui mole venivano tirate dai muli; 5) di concedere il porto franco per dieci anni all’isola per qualunque genere importato; 6) di assegnare tre salme di terreno ai coloni provenienti da Pantelleria e Ustica; 7) di bandire l’appalto per la fabbricazione delle case che fu aggiudicata ai palermitani Verane e Messineo.

A Lampedusa arrivarono infatti architetti, capi mastri, falegnami, tagliapietre e più di 500 operai.

In seguito alla rivoluzione del ’48 che aveva interessato anche la Sicilia, il Sanvisente lascia l’isola e ritorna a Napoli dove scrive il libro “L’isola di Lampedusa eretta a colonia da Ferdinado” stampato in 500 copie dalla tipografia militare di Napoli.

Ritornato a Lampedusa nel 1850, riprese la carica di governatore, ma trovò a Lampedusa un ambiente a lui ostile. Ciò nonostante, spinse il governo ad attuare la costruzione di una barriera all’imboccatura del porto per renderlo sicuro, la costruzione di una salina, l’innalzamento di un faro, malgrado il governo borbonico non fosse più disposto a investire su Lampedusa, vista la crescente pretesa della Francia e del Piemonte che, infatti, solo alcuni anni dopo unificherà l’Italia a discapito dei Borboni.Sottoposto ad inchiesta, per la sua gestione con accuse più formali che sostanziali, fu fatto rientrare nel 1854 a Napoli, dove mori qualche anno dopo, a soli 60 anni.

 

L’amministrazione e il governo dell’isola furono affidati allora ad una commissione di cinque persone di cui facevano anche parte il sindaco e il curato.

Abitatori dell’isola al momento dello sbarco del Sanvisente:

Famiglia Frenda; Famiglia Gatt e relativi figli e congiunti.

Presso queste famiglie lavoravano:

Giovanni, Giuseppe e Salvatore Di Battista; Francesco Schirif; Michele Sfeer; Michele e Andrea Zambito; Giovannie Galia. Tutti maltesi.

Di questi alcuni, anche perché “incoraggiati” dal Sanvisente, tornarono a Malta; mentre altri, come i De Battista rimasero; e ancora oggi i loro eredi sono presenti a Lampedusa .

Elenco dei nominativi dei primi coloni di Lampedusa, tratti dagli atti del Sanvisente e da successivi provvedimenti amministratvi, quali concessioni di terreni o abitazioni (prima parte):

Almanzo Sigismondo, contadino; Billardello Giovanni, marinaio; Bartolo Domenico, contadino; Brignone Giacomo e Giuseppe, commercianti;

Caserta Giovanni, contadino; Caruana Giuseppe, contadino; Coppolino Antonino, falegname; D’Aietti Francesco e Giovambattista, contadini; D’Amore Rosario, commerciante; De Castro Calogero, medico;

Di Malta Giovanni, contadino; D’Ippolito Giovanni, contadino; Errera Stefano, contadino; Famularo Felice, contadino; Favaloro Giovanni, pescatore; Giardina Salvatore, contadino; Greco Giuseppe, contadino; Licciardi Giuseppe, contadino; Lombardo Giuseppe e Giovanni, pescatori;

Luca Angelo, marinaio;

Maggiore Giovanni, contadino; Maraventano Antonio e Giuseppe, marammieri;

Martello Emanuele, contadino; Montana Salvatore, sacrista; Palmeri Vito, marinaio;

Palmisano Antonino e Caterina, contadini;

Pavia Francesco, contadino; Policardi Salvatore, contadino; Pucillo Pasquale, contadino;

Rizzo Girolamo, farmacista;

Rizzo Paolo, sacrista;

Rizzo Carlo, contadino;

Russo Pietro, contadino; Sanguedolci Antonio, contadino; Scozzari Giuseppe, salassatore; Sferlazza Calogero, guardia sanitaria;

Silvia Aurelio, marinaio;

Silvia Salvatore, contadino; Sparma Carmelo, guardia sanitaria; Strazzera Girolamo, contadino; Taranto Giuseppe, contadino; Teresa Felice e Giuseppe, contadini;

Tuccio Giuseppe, contadino;

Alaimo Francesco, contadino; Bonetti Francesco, ferraio;

Caci Filippo e Gaetano, falegnami; Cavallaro Calogero, marammiere; Casaceli Salvatore, guardaboschi; Ciotta Antonio, sarto;

De Castro Giuseppe e Salvatore; Del Volgo Domenico, contadino; Diana Salvatore, sarto;

Di Benedetto Calogero, marammiere;

Fiorentino Pasquale, beccaio; Gallo Vito, contadino;

Garufo Biagio, guardia sanitaria;

Gentile Giovanni, contadino; Grisafi Calogero, maniscalco;

La Porta Domenico, guardaporto; Lauricella Gaetano, contadino; Leotta Sandro, fornaio;

Lupo Salvatore, falegname; Marchetta Giuseppe, crivaio;

Matina Salvatore, contadino; Mattiolo Salvatore, ferraio; Palermo Vincenzo, ufficiale postale;

Paino Bartolomeo, contadino; Polverino Grazia, contadina; Quarantino Filippo, falegname; Rizzo Maria, levatrice;

Sanfratello Antonio, pecoraio; Sanfratello Ignazio, bottaio; Sanfilippo Eugenio, cappellano;

Sarni Andrea, pescatore;

Scaglia Gaetano, giardiniere; Spalma Antonio, marinaio; Valenza Giovanni, marinaio; Zambuto Angelo, barbiere;

Elenco dei primi coloni lampedusani (3^ parte)

 

Ajlara Salvatore

Belviso Antonio

Belviso Salvatore

Bonomo Bernardo

Ciranna Calogero

Conti Antonino

Diana Alfonso

Garito Carmelo e Salvatore

Garufo Baldassare

Greco Giacomo e Santi

Ingargiola Francesco

La Barbera Antonino

La Rosa Domenico

Lo Pinto Giovanni

La Greca Antonino

Mafera Carmelo e Giuseppe (sacerdoti)

Martello Natale

Matina Giuseppe e Vincenzo

Meli Giorlando e Girolamo

Palmisano Carmelo, Felice, Francesco e Pasquale

Polverino Francesco

Randazzo Andrea, Domenico e Vincenza

Rizzo Giovanni e Francesco

Rizzuto Antonino e Ignazio

Sanfratello Ignazio e Giuseppe

Strazzeri Girolamo

Tuccio Domenico

 

Fonte

 

 

 

Categoria: Attualità, Storia ComuniTag: lampedusa

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