Agrigento, città famosa in tutto il mondo per il cielo limpido ed il suo paesaggio sereno, per i suoi vetusti monumenti, per avere dato i natali ad illustri personaggi quali Empedocle e Pirandello, non ha serbato memoria di una tradizione musicale, che pure dovette esservi. Dell’Akragas dei Greci, dell’Agrigentum dei Romani, della Kirkent degli Arabi, della vecchia Girgenti restano ruderi inerti di un remoto passato… ma qui hanno vissuto uomini che pensavano, amavano, soffrivano, gioivano e perché no? danzavano, cantavano e suonavano.
Le doriche colonne incantate del tempio di Hera Lacinia, protettrice delle nozze, conservano gli odori dell’agnella immolata per il sacrificio sponsale e i suoni di canti corali e di auloi, mentre ancora risuona il canto che Pindaro nell’ Ode Pitica XII (vv. 1-2) dedicò a Mida d’Agrigento, vincitore con l’aulos a Pito (1):
«Te invoco, città di Persefone, città la più bella fra quante albergo son d’uomini…»
Il suono dell’aulos ritmava gli esercizi dei giovani atleti, come ci mostra il cratere con scena dionisiaca del Pittore del Louvre (2), e allietava il simposio, che seguiva il pranzo, come si può vedere nei crateri dei pittori di Dinos (3) e di Pantoxena (4). Canti di dolore accompagnavano i defunti avvolti di doppi sudari, che venivano deposti nei loculi della necropoli paleocristiana. Con il fumo degli incensi, sommessi, si levavano i canti dei monaci cistercensi nella chiesa di caldo tufo di S. Nicola. Una chiesa, che alla fine del XV secolo fu costruita in onore di Santa Cecilia (5), protettrice della musica, ci porta a congetturare l’esistenza di una schiera organizzata di musici; sappiamo anche che la festa e la processione in onore della Santa si celebrarono fino alla fine del 1700 accompagnate dal suono di strumenti a corda e di tamburi (6).
I tamburi siciliani, introdotti dagli Arabi, erano utilizzati in tantissime feste processionali (per la festa di S. Giovanni, per quella di S. Giuseppe, per quella di Santa Lucia) (7) e ancora oggi chi abita nel centro storico viene svegliato dal festoso frastuono di questo strumento «lacerator di ben costrutti orecchi» durante la settimana compresa tra la prima e la seconda domenica di Luglio, quando si festeggia «U santuzzu miraculusu»: San Calogero. Allora, quando ancora il tamburo non era ancora strumento sancalogeriano, anche in altre occasioni si poteva ascoltare la «diana» (8), chiamata così perché all’origine veniva eseguita al mattino, quando brilla nel cielo la stella «diana», per svegliare i militari.
Il canonico Giusepe Russo in una nota manoscritta all’opuscolo del Pitrè, intitolato Tre feste popolari in Sicilia (Palermo, 1896. p. 10), parla della diana in questi termini:
«I tamburinai, riuniti in un gran cerchio, dipendono da un capo tamburo che scelgono e riguardano in tal punto come il loro maestro di cappella. Costui, posto al centro del cerchio, fa moti da energumeno battendo la sua gran cassa or con le bacchette da tamburo, or coi gomiti e tal fiata anche con la testa, mentre gli altri, a cadenze determinate, battono il loro tamburo e formano un’armonia per quanto stridula altrettanto piacevole specie in quel giorno. Il capo non si contenta della sua cassa ma, con una perizia che ti desta ammirazione, batte or questa or quella di coloro che lo accerchiano. Ad un tratto tutti sospendono di battere sulla tesa pelle; alzano le mazzuole in alto, le intrecciano, le fanno scricchiolare, poi un colpo sul cerchio del tamburo, un altro o due sulla lato testa e tutto questo con tanta esattezza di tempo e di armonia…» (9). Lo studioso Salvatore La Rocca (10) ed altri sono convinti che i ritmi dei tamburi nella festa di San Calogero ripropongono l’antica metrica greca; ed in effetti nell’onomatopeico
«bràbbiti, bràbbiti, babbitabbrà»
è evidente il dimetro dattilico dicatelettico.
Durante le processioni venivano utilizzati anche strumenti a fiato. Il 5 Aprile 1598, sotto il vescovo COVARRUVIAS, nella processione di S. Gerlando, dopo le confraternite della Pietà, del Rosario, di S. Girolamo, di S. Michele, del Crocifisso, della Madonna delI’Itria, c’era anche quella di S. Calogero, che portava « carro sopra del quale vi era un monte con una bella arte fatto, tutto questo essendo pieno di diavoli quali si mostravano uscire da molte parti e dentro si vedeva una ruota ingegnosamente fatta che voltava, diversi diavoli, i quali tormentavano diversamente le anime, scorgendosi anche di sopra il predetto monte una bella figura dell’istesso Santo, passando quattro trombettieri, vestiti di livrea di colore giallo et alleonato…». (11)
Girgenti era anche la sede di una tradizione musicale sacra: a partire del XVII secolo, probabilmente il fulcro di questa tradizione fu il Seminario, dato che non esistevano altre scuole e i docenti più preparati venivano chiamati a curare in tutti gli aspetti la formazione culturale dei chierici. È ovvio che tale cultura musicale, funzionale esclusivamente alla liturgia, influì poco nel contesto cittadino, mentre si potrebbe ipotizzare resistenza di una tradizione profana a partire da un periodo precedente alla prima metà dell’Ottocento: pur non conoscendone l’ubicazione e la proprietà sappiamo del funzionamento a quell’epoca di un teatro. Oltre questo primo, Girgenti, ebbe alcuni piccoli teatri (12): uno all’interno dell’abitazione di Raffaello Politi (13) (1783-1870) che si dedicava anche alla fabbrica di organi a manubrio con cilindri, sui quali poi dipingeva scene e paesaggi per farne oggetti da salotto; un altro era quello che si trovava in piano Barone di proprietà della famiglia Bonfiglio. Sicuramente in questi si esibivano compagnie di attori comici e filodrammatici, mentre non abbiamo notizia nelle fonti manoscritte di esecuzioni musicali, anche se non è improbabile che queste avvenissero (le ricerche in questo senso non sono state approfondite). Una compagnia di musici sappiamo fu ad Agrigento nel luglio del 1848, compagnia che eseguì vari concerti: i primi finanziati dal Comune, gli altri da cittadini amatori che fecero da impresari. (14)
Alfonso Sollano (15)
Fu negli anni cinquanta dell’Ottocento che nacque Alfonso Sollano, di cui non erano noti neppure il nome e l’opera, fino a quando lo studioso Settimio Biondi non ha scoperto delle partiture (16), recanti la sua firma, tra una «catasta di cartacce». Sollano (cognome tipicamente agrigentino) era sacerdote, beneficiario (canonico minore), sottociantro della cattedrale e «cantore ammirevole ricercato in tutte le chiese della città»; pertanto si inserisce in quella cultura musicale sacra, che potrebbe essere rappresentata dall’attività della Cappella del Seminario. Sebbene il sacerdote Sollano fosse ricordato come «ammirevole cantore» era anche un valido compositore di musica sacra, che, essendo funzionale alla liturgia, veniva eseguita non più d’una volta all’anno: ne consegue una fama secondaria del Sollano «compositore».
Dovette scrivere numerose composizioni, ma si conserva memoria solo di tre di esse: una Messa di S. Giuseppe, composta nel 1889 dedicata a suor Epifania Zirafa, fondatrice del «Pio Istituto Zirafa del Sacro Cuore di Gesù», dove le monache «si dedicavano al bel canto ed avevano raggiunto una destrezza notevole di lettura e di vocalizzo tenico che le metteva in condizione di eseguire pagine polifoniche e solistiche impegnative» (17); un Credo a quattro voci e un Inno al Sacro Cuore di Gesù.
Alfonso Sodano coltivò rapporti di amicizia con diversi musicisti della città e della provincia: Balletti, Lauria e l’aragonese Di Stefano, di cui introdusse a Girgenti la marcia funebre “Ah sì versate lagrime”, che, ancora oggi, nel giorno del Venerdì Santo, viene eseguita dalla confraternita dietro l’urna di Cristo morto.
Il teatro Regina Margherita.
È durante questo periodo che Girgenti vede l’edificazione del suo unico teatro stabile. A causa di vicissitudini varie, manca totalmente il materiale, che ci permetterebbe una ricostruzione storica dell’attività artistica di questo teatro; ma la studiosa Magda Bocchino Sambito ne ha tracciato un quadro in un articolo (18), attraverso lo studio attento della documentazione giornalistica. Il desiderio di un teatro vero e proprio, dove rappresentare opere in prosa o musicali di un certo livello, si era fatto sentire già a metà degli anni sessanta. Solo dopo aver risolto non pochi problemi di carattere finanziario, nel 1870, secondo il progetto di Dionisio Sciascia, si iniziò a costruire il nuovo teatro. Per la costruzione trascorsero dieci anni e il 24 Aprile 1880 avvenne l’inaugurazione solenne con due compagnie liriche, che rappresentarono Ruy Blas, La forza del destino, L’Africana, Faust, Emani. Il teatro prese il nome di Regina Margherita il 21 Gennaio 1881, quando proprio per questa occasione giunsero le loro maestà Umberto I e Margherita. Il nuovo teatro, con la sua illuminazione a gas, che gli conferiva un aspetto più suggestivo di quello creato successivamente dall’illuminazione elettrica, era divenuto anche un luogo di incontro, di sfoggio di eleganza; ma fu impossibile mantenerlo con il fasto dei primi anni: le scarse entrate impedirono al municipio di sovvenzionare buone compagnie e, sempre più spesso, il teatro era utilizzato per feste di beneficenza, per conferenze, per incontri politici alla vigilia delle elezioni, per manifestazioni commemorative… Solo dopo l’apertura del teatro Regina Margherita, poi (dal 1946) Pirandello, si è fatta sentire l’esigenza di un corpo di musica e di canto, di un’orchestrina della città.
La scuola comunale di musica
Nel giornale cittadino «La Rupe Atenea» in un articolo non firmato del 23 marzo 1884, riguardo a Ignazio Lauria (che diverrà certamente la figura musicale più rappresentativa tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento), leggiamo:
«Gli auguriamo una prospera ed onorata carriera, anzi, che è più, vorremmo vederlo a dirigere qualche scuola di canto di cui si sente imperioso il bisogno, tanto per preparare un certo numero di coristi e coriste per le possibili evenienze… se no, a che il vanto di avere un magnifico teatro quando non si possa avere il piacere di sentire, non che altro, «Il Trovatore», o lo si debba sentire a prezzo salato e straziato da maledetti cani, alias coristi e coriste?…». Le aspettative dei cittadini rivolte tutte al giovane maestro, che aveva mostrato già eccellenti doti, non furono deluse.
Nel giornale «Il Dovere» (Girgenti 2 giugno 1889) viene pubblicato un bando di concorso per l’ammissione alla scuola comunale di musica (19), grazie all’appoggio del sindaco comm. De Luca, dell’avv. Raimondo Costa, dell’assessore della pubblica istruzione cav. Francesco Paolo Diana, che organizzarono una commissione di cittadini competenti: oltre il Lauria, maestro di canto e di concerto corale, i maestri Terranova (che ne divenne direttore), Balletti (direttore della banda), l’insegnante di violino Pietro Russo e suo fratello Rosario, insegnante di contrabasso. Gli allievi della nuova scuola, si esibirono nel Duomo(20) solo dopo dieci mesi l’apertura dell’istituzione musicale, eseguendo una Messa del Lauria ed un Inno di Terranova, e nel Maggio 1891 debuttarono al teatro Regina Margherita, eseguendo il coro de I Lombardi, il coro del Duchino, la preghiera del Mosè, le due romanze per baritono «Se fossi» del Quaranta ed «Eri tu» del Ballo in maschera, eseguite dall’alunno Saieva (21).
Negli anni seguenti non sappiamo cosa sia avvenuto della scuola; ma il fatto che nel 1902 il maestro Lauria sia stato chiamato a dirigere la scuola di musica dell’Istituto Gioeni (22), ci fa pensare ad una scomparsa della scuola comunale
di Lilia Cavaleri
Note
1) Nino Agnello, Agrigento in versi, Agrigento, Editor Press, 1985, p. 17.
2) Cfr. Giuseppe Di Giovanni, Agrigento, San Cataldo (CL), Ed. Nocera, 1985, p. 80.
3) Ibidem, p. 81.
4) Ibidem, p. 81.
5) Settimio Biondi, La cultura musicale agrigentina tra la fine dell ’Ottocento e i primi del Novecento, Agrigento, Comune di Agrigento, 1984, p. 64-65.
6) Ibidem, p. 65.
7) Ibidem, p. 76.
8) Domenico De Gregorio, S. Calogero,
9) Ibidem, p. 123.
10) Ibidem, p, 123.
11) G. Sicomo e Morelli, istorìa… S. Gerlando, manoscritto dell’Archivio Capitolare di Agrigento.
12) Settimio Biondi, op. cit., pp. 70-71.
13) Ibidem, pp. 67-69.
14) Ibidem, p .71 -72.
15) Ibidem, pp. 49-62.
16) Oggi si trovano presso il Museo Civico di Agrigento.
17) Settimio Biondi, op. cit., p. 45.
18) Magda Bocchino Sambito, II Teatro Regina Margherita ~ Pirandello di Agrigento, estratto da «Archivio storico siciliano», serie IV, voi. Vili, Società Siciliana per la storia, Palermo, 1982, pp. 303-314.
19) Scuola di Musica, «Il Dovere», Girgenti, 24 Febbraio 1889.
20) Gelisio, Musica sacra, «Corriere di Napoli», Napoli, 29-30 Aprile 1890.
21) «Corriere di Napoli», 15 Maggio 1891.
22) L’Istituto Gioeni, sorto nel XVIII secolo, accoglieva i fanciulli bisognosi e gli orfani, assicurando loro una istruzione adeguata, che, attraverso l’apprendimento di alcuni mestieri, potesse servire per la vita. Si avviavano, inoltre, allo studio della musica gli allievi, che si esercitavano sugli strumenti a fiato, in modo da potere avere, oltre ai loro lavori poco redditizii, un’altra fonte di sostentamento.