
Valenciennes Pierre Henri de (1750-1819)
Paris, musée du Louvre, D.A.G.
Le ombre de’ templi si allungavano; una gran pace era scesa su tutte le cose e solo una cicala strideva di tratto in tratto sopra un ulivo vicino.
Ci avviammo di nuovo verso la città per la strada scoscesa, al mormorio d’una salmodia che il vetturino interrompeva ogni tanto per incitare la sua fiacca bestia. Lasciai il legno presso l’ albergo dei Templi, e prendendo a destra mi arrampicai, attraverso i sassi, sulle erte coste della Rupe Atenea.
Dall’alta vetta che raggiunsi abbracciavo con lo sguardo il suolo leggermente ineguale, ove s’inalzava un tempo la grande città antica. Accanto a me un fico d’india spiegava le pale spinose e contorceva i vellosi rami; sembrava la visione paurosa d’un incubo, o qualche fosca divinità del male librantesi su quelle rovine. Il feroce cactus squarciava il cielo col profilo convulso e con i rami pesanti armati di stiletti. Più giù, nella quieta pianura, i mandorli e gli ulivi tremolando leggermente alla brezza carezzevole della sera, pareva che cullassero gli antichi templi nel sereno pallore del crepuscolo. Quei monumenti sparsi per la pianura, con le loro bronzee colonne, conservavano quasi un riflesso ardente dei soli che li avevano lungamente illuminati.
Davanti all’ immenso mare di Libia si stendeva la spiaggia solitaria, dove 262 anni prima di Cristo, fu data la più importante battaglia della prima guerra punica, la quale fece cadere Agrigento in potere dei Romani. I templi d’Agrigento segnarono l’apogèo dell’arte ellenica nel tempo che seguì le vittorie di Salamina e di Platea.
Secondo Diodoro, quella sponda che avevo sotto gli occhi fu un tempo il più felice soggiorno della terra.
La magnifica città era contornata di piantagioni meravigliose ; ora, l’uliva matura stentatamente nella pianura, e Cartagine, che ebbe un destino anche peggiore, non ne caricherebbe più le sue navi.
Platone, Empedocle e Diodoro parlano del lusso sconfinato degli Agrigentini. Pindaro dice Agrigento la “ regina delle città „ fondata da una colonia venuta da Gela su quella costa. Gela è sparita e non si è d’accordo neppure sul luogo ov’era situata; d’Agrigento non ci resta altro che un campo di rovine.
Gli abitanti d’Agrigento spinsero il lusso a tale da innalzar tombe di marmo ai cavalli vincitori alle corse, e anche ad uccelli domestici. Tutti i tesori dell’Affrica venivano portati dal commercio in quella città; l’oro e l’avorio erano impiegati a profusione in tutti i monumenti Le vestimenta dei cittadini erano di tessuti finissimi, ricamati d’ oro. Gli Agrigentini si facevano trasportare per la città e nei dintorni su lettighe d’avorio. I finimenti da tavola ed anche tutti gli utensili casalinghi erano d’oro e d’argento cesellati. Nelle splendide case c’era sempre una splendida sala riservata ai grandi banchetti ; Empedocle diceva che
“ essi fabbricavano come se avessero dovuto vivere eternamente e mangiavano come se avessero dovuto morire il giorno dopo. „
Exanete, vincitore nei giuochi Olimpici, fece la sua entrata in città con un gran seguito di carri, trecento dei quali erano tirati dà due cavalli bianchi.
Gellia, il più ricco abitante d’Agrigento, nella 92.“ olimpiade, che precede quella in cui scrisse Diodoro, faceva stare in permanenza, alle porte della città, dei servi con l’incarico d’invitare tutti i forestieri a prendere alloggio in casa del loro padrone.
Anche al presente, a Santa Croce, per la festa di San Giuseppe, c’è un ricordo di quella ospitalità, e forse è una vecchia tradizione dell’antica Agrigento.
Gli abitanti di Santa Croce sì credono onorati accogliendo nelle loro case i molti pellegrini che accorrono in quel giorno dalle città circonvicine. Si vede per le strade la gente disputarsi i forestieri; ogni famiglia ha un ospite; gli stessi accattoni sono ricercati. In ogni dimora, benché povera, si fa quello che si può per ricever bene l’ignoto viaggiatore, mandato, si dice, dallo sposo della Vergine.
Ma torniamo all’antica Agrigento: Cinquecento cavalieri di Gela che traversavano la città, d’inverno, furono accolti tutti e spesati in casa di Gelia, il quale poi, quando partirono, donò loro una tunica ed una veste.
Al dire di Policlito, storico. siciliano, nella cantina di Gellia c’erano ordinariamente trecento botti di vino squisito, ognuna delle quali conteneva cento anfore; in occasione di pubbliche feste egli apriva le sue cantine ai propri concittadini.
Venne peraltro il giorno in cui furono profanate le are; Gellia si rifugiò nel tempio di Giove Atabyrios, trasportandovi le sue ricchezze, le quali, come lui e come un capolavoro di Fidia, furono preda delle fiamme.
Nè egli fu il solo possessore di sì immenso patrimonio : Antistene, soprannominato il Rodico, celebrandosi le nozze di sua figlia, imbandisce sulla via delle mense per tutti gli abitanti d’Agrigento, ed illumina tanto sfarzosamente e maravigliosamente la città, da far credere che tutto il paese sia in fiamme. Il corteo della sposa si compone di ottocento carri e di milleseicento cavalieri dei dintorni, tutti invitati.
Questo lusso inaudito fecè cadere gli abitanti d’Agrigento in un mollezza tale che durante l’assedio funesto della città, un editto dovè proibire a quei cittadini, che montavano la guardia nella cittadella, dr portar seco più di una materassa, d’una coperta, d’ un capezzale e di due guanciali!… Figuriamoci che vita facevano in tempi quieti e felici ! (Diodoro lib. XIII).
Elio e Ateneo ci conservarono il ricordo d’ un’ orgia nella quale i giovani agrigentini, ebbri di vino e di chiasso, sentendosi barcollanti, credono che la sala del festino sia sopra una nave in balìa della tempesta ; e presi da spavento, convinti d’essere in pericolo, vogliono alleggerire la nave e buttano dalle finestre tutti gli oggetti che capitano loro alle mani: vasellame prezioso, anfore, tavolini d’avorio, ecc.
Si dice anzi, che da quel giorno i Greci e i Romani chiamassero triremi le sale del convito.
Gustavo Chiesi in Sicilia Illustrata 1892 Milano