
Della Porta Aurea, che metteva al porto, restano alcune tracce.
Fuor della cinta, verso il lido, si vedono i resti del tempio d’Esculapio e le rovine della tomba di Terone, i quali si dicono poco importanti.
Dentro la cinta della città antica v’è una spianata, presso la porta Aurea, coperta di frammenti del tempio dei Giganti

Il solo che resti di quei colossi, Atlante o Telamone, è ora disteso nella polvere. I tre giganti, alti 8 metri, caddero il 9 dicembre 1401. La città di Girgenti li rappresenta ancora nella propria arme e il motto della divisa pure è: Signat Agrigentum mirabilis aula gigantum.
In conclusione però la maggior parte dei resti di quel prodigioso edifizio è scomparsa; si dice che un ingegnere se ne impadronisse per costruire il molo di Porto Empedocle.
Poco lontano un frammento del tempio di Castore e Polluce disegna superbamente sul cielo quattro colonne d’angolo col cornicione d’un bel colore caldo; e ciò è quanto resta di quel, santuario.
Il custode che incontrai mi condusse sull’orlo d’ un profondo burrone; egli mi disse che in quel luogo v’era un’antica piscina di 7 stadi di circuito, e di 20 cubiti di profondità, la quale fu scavata dai prigionieri cartaginesi dopo la battaglia d’Imera. Il numero di quei prigionieri fu tale che ad alcuno dei cittadini ne toccarono in sorte persino cinquecento. Fu con l’aiuto di tanti schiavi che Agrigento potè abbellirsi d’una tal quantità d’edifizi.
Lasciammo l’orlo del burrone e andammo a riposarci all’ ombra d’un folto carrubo; i massi del tempio di Giove Olimpico erano ammonticchiati intorno a noi, e di là dagli , ulivi, stentati e sottili, si stendeva il mare infinito e fremente. Nessun rumore turbava quella solitudine; solo di quando in quando le cavallette, facendo del fruscio fra le erbe secche, richiamavano la nostra attenzione.
— Questi griddi, mi diceva il custode, sono un vero castigo di Dio; la Sicilia ne è stata danneggiata tante volte! Ci vengono di laggiù, dall’Affrica, e qualche volta si gettano a nuvoli sulle nostre coste ; ma i preti stanno in guardia, li maledicono e il flagello non tarda ad essere scongiurato.
— Una volta tali invasioni erano tremende, ci sgomentavano. Si vedevano fin gli arcivescovi e i vescovi delle nostre città grandi, cogli abiti pontificali, assistiti dagl’interi capitoli ed anche dallo stesso Senato, esorcizzare quelle bestie orrende che minacciavano di carestia la Sicilia.
E quando le processioni, gli altari costruiti in onore de’ Santi, le litanie cantate dal clero e dal senato, gli esorcismi e le maledizioni erano inutili si ricorreva ad un altro mezzo certo. S’inviavano uomini a Mineo, i quali raccattavano la polvere nel luogo preciso dove fu seppellita Santa Agrippina, e la spargevano poi sui luoghi più colpiti dal flagello.
AI giorno d’oggi il danno è minore: voialtri Francesi impedite in Affrica o che le uova si schiudano o che le cavallette si diffondano. Adesso le maledizioni della Chiesa, fatte in pompa magna, con l’intervento dei vescovi e dei Santi non occorrono più ; generalmente bastano gli scongiuri dei nostri preti di campagna.
Allorché il custode pronunziò le ultime parole risuonò nell’aria il fischio acuto d’una locomotiva; era il treno di Porto Empedocle che passava come un uragano sul gran borro, inalzando verso il cielo il suo denso pennacchio di fumo che lentamente si sparpagliava.
Poi tutto ricadde nel più profondo silenzio, e quel richiamo inaspettato alla moderna civiltà, in mezzo alla solitudine, alle rovine e alle tombe dell’antica Agrigento, mi fece provare una ben singolare sensazione!…
Gustavo Chiesi in Sicilia Illustrata Milano 1892