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Il dramma ” I Giuochi di Agrigento” inaugurò il teatro La Fenice di Venezia

10 Febbraio 2019 //  by Elio Di Bella

Che tra Agrigento e il Teatro La Fenice di Venezia esista uno stretto rapporto è cosa ben nota. L’architetto del tempo si ispirò, infatti, al bellissimo teatro veneziano per il progetto del Teatro oggi intitolato a Pirandello.

Un legame di natura stilistica e architettonico, che ancora oggi si può osservare nonostante entrambe le strutture abbiano subito nel corso del tempo gravi offese e successivi importanti interventi. Ma c’è un altro le-game, stavolta di natura storica e artistica, che merita di essere sottolineato. Si intitolava infatti «I giuochi di Agrigento» l’opera rappresentata in occasione dell’inaugurazione del Teatro La Fenice il 16 Maggio 1792. Si trattava di un “dramma per musica in tre atti” composto da Giovanni Paisiello su un libretto scritto dal conte Alessandro Pepoli, il quale fu anche il “direttore” dello spettacolo. Si trattò di una prima assoluta con “scene tutte nuove” di Francesco Fontanesi e “vestiario tutto nuovo” di Antonio Dian.

Pare che questa prima non abbia ricevuto l’accoglienza sperata e che aspre critiche siano venute sia dal pubblico sia da altri autori.

Di ciò il Pepoli rimase stupito ed indignato tanto da chiedere l’illuminata opinione dell’abate Francesco Boaretti in una lettera i cui dice che “alcuni Letterati da caffè, non meno di alcune Letteratelle da Casino si sono scatenati contro del mio povero Dramma trovandolo detestabile dalla prima all’ultima sillaba”. Il Pepoli è inoltre convinto di essere oggetto di invidia da parte di quei suoi colleghi che non erano stati “eletti alla composizione del Dramma che doveva servire all’apertura di questo Teatro”.

Le critiche mosse al dramma si focalizzavano principalmente su una supposta lentezza del primo atto, sulla mancanza di un “pezzo forte” e sul numero eccessivo dei cori. Osservazioni furono fatte anche sulla terminologia usata dal Pepoli nel dramma. In particolare un autore del tempo gli contestò l’uso dell’epiteto “Atabirio” riferito a Giove, nel cui tempio si svolge parte dell’azione. Il Pepoli controbattè citando Polibio e prendendo per ignorante l’incauto collega.

Le successive 11 repliche dello spettacolo furono però meglio accolte e il pubblico si dichiarò complessivamente soddisfatto. La cronaca degli eventi si trova sulla Gazzetta Urbana Veneta numero 42 del 26 Maggio 1792.

IL LIBRETTO

Una copia di questo libretto realizzato dalla stamperia Curti fa parte della collezione conservata dalla famiglia Querini ed è stato esposto assieme ad altri 42 libretti in una mostra allestita in occasione dell’ennesima riapertura della Fenice lo scorso Dicembre 2003, dopo il terribile incendio del 29 Gennaio 1996.

Si tratta di un esemplare che ha una sua importanza storica poiché per la prima volta vi sono riportati l’immagine della facciata del teatro e i ritratti sia del Paisiello che di alcuni dei principali cantanti, tra i quali spicca quello di Gasparo Pacchierotti.

Questi era uno dei più celebri cantanti dell’epoca, un castrato dalle sublimi doti vocali acclamato in tutta Europa. Ormai cinquantenne, il Pacchierotti pare abbia chiuso la sua trionfale carriera proprio interpretando la parte di Alceo ne I Giuochi di Agrigento alla Fenice.

La biblioteca comunale di Agrigento conserva un esemplare del libretto in fotocopia.

LA PARTITURA

Si ha notizia di due partiture manoscritte delle musiche de I giuochi di Agrigento composte dal Paisiello. Una sarebbe conservata alla biblioteca del Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze, un’altra presso la biblioteca della Fondazione “Ugo Levi a San Vidal” a Venezia.

TEMA DELL’OPERA

La storia, per nulla originale se non per l’ambientazione, narra del giovane Clearco, principe di Locri, che, giunto per caso ad Agrigento, vince i giochi e ha in premio la mano di Egesta, figlia del re Eraclide. Clearco è però innamorato di sua sorella Aspasia. Egli è fuggito da Locri proprio a causa di questo impossibile amore. Il complicato intreccio drammatico si risolve grazie alla classica lettera segretamente conservata da una nutrice e all’ancora più classico medaglione, che rivelano un terribile mistero.

Clearco altro non è che Alceo, il figlio di re Eraclide anni prima abbandonato tra le selve alle pendici dell’Etna e creduto morto. Cleone, sacerdote di Giove Atabirio, è al corrente dello scambio e può spiegare tutta la triste vicenda originatasi a causa di un terribile delitto per il quale gli dei avevano chiesto il sacrificio del piccolo Alceo.

Clearco/Alceo evita l’incestuosa unione con Egesta e può quindi felicemente sposare l’amata Aspasia che nel frattempo, trasportata dal fato e da una tempesta, è approdata sul lido di Agrigento.

I giuochi di Agrigento rimane un’o-pera minore sia nel repertorio del Paisiello che in quello del Pepoli.

Giovanni Paisiello ebbe i suoi natali a Taranto il 9 Maggio 1741. Visse e lavorò lungamente a Napoli e per otto anni fu anche alla corte di Caterina II a San Pietroburgo. Fu autore di un Barbiere di Siviglia da alcuni giudicato superiore a quello di Rossini. All’epoca de I giuochi di Agrigento rivestiva la carica di “Maestro di Cappella al servizio di S. M. il Re delle due Sicilie”. Nel 1802 fu invitato a trasferirsi a Parigi da Napoleone che lo trattò con grande munificenza preferendolo a Cherubini. Compose 94 opere e molta musica da chiesa. Morì il 5 Giugno 1816.

Alessandro Pepoli, poeta drammatico veneziano (1757-1796), viene ricordato anche per l’impegno politico. Definito “emulo dell’Alfieri”, non lo si deve però confondere con il Carlo Pepoli autore qualche decennio più tardi del libretto de I Puritani del catanese Vincenzo Bellini. Sarebbe veramente auspicabile attivare un progetto per il recupero e la riproposizione di quest’opera ormai caduta nell’oblio.

di Liborio Triassi in “Agrigento Nuove Ipotesi”, n. 1 gennaio/febbraio 2004

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

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