
I PORTI, LA GUERRA E IL GRANO
La mattina del 26 dicembre 1798, dopo una burrascosa fuga e un tempestoso viaggio, nel porto di Palermo sbarcava, su un vascello di guerra inglese comandato dall’ammiraglio Nelson, la famiglia reale borbonica in fuga da Napoli. La penisola ormai era in mano alle truppe francesi del generale Championnet e la Sicilia così diventava uno strategico teatro di guerra nel Mediterraneo. Il principe De Luzzi già nel maggio di quel fatidico 1798, aveva incominciato ad organizzare, nella sua altissima carica di viceré di Sicilia, la «milizia urbana e la gente armata dei baroni» per difendere l’isola – ormai posta sotto il protettorato militare inglese – dall’attacco delle truppe francesi. La situazione era drammatica : venivano requisiti e confiscati tutti i bastimenti e le proprietà dei mercati francesi o genovesi, si ordinava la costruzione di nuove navi da guerra, si acquistavano fucili e cannoni, si impiantavano fabbriche belliche, si cercava di preparare ed equipaggiare alla meno peggio un esercito raccogliticcio e, infine, si fortificavano i porti e le coste.
Il nemico poteva arrivare da un momento all’altro. La Calabria era distante un braccio di mare e, come se non bastasse, i francesi occupavano l’isola di Malta. La difesa dei porti diventava la priorità del governo. Al marescialli Persichelli veniva affidato il compito di fortificarne le difese. Il 6 febbraio inviava gli ordini per «provvedere efficacemente alla valida difesa di questo Regno della Sicilia, onde renderlo immune da qualunque attacco ostile». Si ordinava il riarmo delle piazze di Messina, Palermo, Milazzo, Patti, Trapani e Palermo; ma prima di tutto veniva dato ordine di «impedire uno sbarco nei Caricatori di Termini, Girgenti, Licata, e Sciacca. Dove si formi una batteria provvisionale di cannoni per ciascuno nei siti convenienti in modo che tali caricatori siano guardati dagli attacchi marittimi dell’inimico ».
La grande politica europea, la rivoluzione, il teatro di guerra, i ruolo geo-politico della Sicilia : cosa univa i caricatori a tutto questo, tanto da doverli difendere con «batterie di cannoni»? La risposta era antica e nuova allo stesso tempo. I caricatori custodivano da secoli il grano, la risorsa, materiale e simbolica, più importanti dell’isola. In Sicilia la politica, così come la guerra, ha sempre parlato il linguaggio del grano.
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