Alleata dei Cartaginesi nella prima guerra punica, Akragas fu assediata dai Romani, i quali, nel 262 a.C., la conquistarono e dopo aver ucciso 30000 soldati fecero schiavi 25000 cittadini. Ma sette anni dopo i Cartaginesi rientrarono vittoriosi nella città e ne incendiarono e atterrarono le mura. Nonostante la vittoria dei Romani sui Cartaginesi alle Egadi (241), gli Agrigentini si schierarono contro Roma ed a fianco dei punici. Così nel 210 a.C. la città fu ancora una volta assediata e ferocemente saccheggiata dai Romani. Gran parte dei membri del Senato agrigentino vennero condannati a morte e tanti cittadini furono venduti come schiavi. Seguirono altri dolorosi eventi e durante la seconda guerra punica, Akragas passò definitivamente sotto il dominio romano.
Le vicende della città di Agrigento sotto la dominazione romana sono caratterizzate da fasi alterne, anche se nel complesso si può dire che fu trattata con molto favore dal governo romano e in alcuni periodi poté godere di molti privilegi. Agrigento venne inclusa tra le civitas decumanae (che erano obbligate a versare un decimo della loro produzione agricola).
Molto dipese dalla dispotica volontà dei Pretoriani di turno. Dopo l’occupazione della città da parte del console Levino, Agrigento perse gran parte della sua autonomia.
Scrive lo storico Picone che nel 209 a. C. Levinio, mentre andava arruolando i Siciliani, “presidiava quella parte dell’Isola che fu provincia Cartaginese, e distribuiva la flotta di settanta navi intorno alla costa; coi cavalli di Mutine correva pei nostri campi per lunghe guerre abbandonati, animando l’agricoltura, dal rifiorir della quale certo sarebbe tornata prosperità ai nostri e grande utilità a Roma”. Ma nello stesso anno venne riordinata la costituzione.
Tre anni dopo la sua conquista il pretore Mamilio vi stabilì un buon numero di nuovi cittadini dalle altre parti della Sicilia.
Così al tempo del valido e saggio Cornelio Scipione, al quale venne affidata dai Romani la Sicilia nel 205 a.C., avvenne la riorganizzazione del Senato e i diritti municipali vennero determinati in modo soddisfacente. Le leggi per l’elezione del Senato prevedevano che questo importante organismo dovesse essere costituito per metà da esponenti delle antiche famiglie della città e per l’altra metà dai membri delle nuove famiglie che erano stati condotti in città dal pretore Tito Mamilio.
Scipione inoltre “raccolse tutte le forze in Lilibeo per tradurle di repente nella prossima costa africana, gli Agrigentini concorsero a fornirgli i legni da carico” (Livio, XXIX,24).
Scipione Emiliano restituì alla città molti degli antichi tesori che erano stati trafugati dai Cartaginesi. Scrive Polibio che in questo periodo Agrigento tornò ad essere ammirata come una delle più belle città del Mediterraneo. Essa era splendida “per natura e per artificio e ritraeva dal vicino mare tutte le utilità”. Era ricca di magnifici delubri e di portici.
Ma di queste antiche testimonianze purtroppo non è rimasto nulla. Cicerone fa reiteratamente menzione di Agrigento come una delle più ricche e popolose città della Sicilia; la fertilità del suo territorio e la convenienza del suo porto l’avevano trasformata in uno degli empori principali del commercio granario. Le fu concesso di battere moneta con l’iscrizione latina Agrigentum sino ad Augusto. La città continuò quindi durante l’amministrazione romana una serena vita agricola ed industriale (estrazione dello zolfo). Anche la struttura urbana mutò sensibilmente rispetto al periodo greco.
In epoca romana molto probabilmente la città non conteneva più di 20 mila abitanti.
Durante la prima guerra servile, ad Agrigento la rivolta venne capeggiata da Cleone, uno schiavo venuto dalla Cilicia, che dopo aver saccheggiato e arso la città, si unì con suo fratello al re dei servi di Sicilia il condottiero Euno.
Il periodo più triste fu certamente quello in cui in città dominò Verre (72-71 a. C.) che spogliò palazzi e templi di molti beni. A nulla valsero le proteste degli Agrigentini che si affidarono alla difesa del concittadino Sofocle, il quale si recò a Roma e si presentò al console Gneo Pompeo; soltanto l’eloquenza e la perizia di Cicerone poterono più tardi avere la meglio sul potente Verre. Ai Siciliani vennero restituiti 750 mila sesterzi, assai poco andò agli Agrigentini.
Grazie alla lex Iulia de Siculis Agrigento (legge Giulia sulla Sicilia) intorno al 43 a.C. potè godere della cittadinanza romana. Risentì inoltre degli effetti della guerra tra Cesare e Pompeo. Dopo la disfatta di Filippi, in Sicilia sbarcò il figlio di Pompeo, Sesto, ma venne respinto dal pretore Pompeo Bitinico e cominciò a scorrazzare lungo le coste e ad affliggere tra le altre città anche Agrigento. Qualche anno dopo Sesto ebbe la meglio sul rivale Bitinico ed occupò Agrigento. Nell’anno 35 a.C. Ottaviano ebbe la meglio su Sesto e anche Agrigento cambiò padrone e dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) la città passò dal dispotismo dei pretori a quello imperiale.
Lo storico Strabone (VI, 2,5) la ricorda come uno dei pochi centri urbani ancora esistenti lungo la costa meridionale della Sicilia occidentale: “la costa che si estende da Pachino a Lilibeo è interamente deserta e conserva solo alcune vestigia degli antichi centri abitati… Agrigento, colonia di Gela, col suo porto, e Lilibeo esistono tuttora”.
Nel 70 dopo Cristo ospitò una numerosa colonia di Ebrei. Un po’ di tregua dopo tante tribolazioni la Sicilia l’ebbe sotto l’impero di Antonino Pio (138 d.C.) e sotto quello di Alessandro Severo (222-235).
Elio Di Bella