GAETANO RIGGIO
Un vecchio agrigentino, che, dopo avere attraversato, in auto naturalmente, la via Minerva, giunge nel pianoro sottostante la rupe Atenea e vede prima il Campo delle Forche e subito dopo la chiesa del Signore (anche Lui) delle Forche e la Polveriera non può non recuperare memorialmente un passato, che, sepolto sotto la coltre stesa da più di mezzo secolo, riemerge con una inaspettata-gradevole-violenza.In rapida sequenza si scandiranno immagini di gaia festosità e cupe visioni di morte.
Le prime sollecitate dalla vicina Rupe le seconde dal Campo delle Forche e della Chiesa dedicata al Signore(anche Lui) delle Forche: E vien fatto di pensare ad una antica cultura di morte-e che morte!- supplicante Dio a proteggere le forche, funzionanti a tempo pieno nel corso dei secoli. La Polveriera,soprattutto,gli restituirà il sapore di un tempo granguignolesco tartarinesco e smorzerà la tristezza suscitata dal ricordo di tanti morti-ammazzati-dalla mano pubblica e privata.La fabbrica è massiccia.
Il muro ad occidente mostra una arcata di cui non si comprende la funzione. Infatti malgrado ogni tentativo posto in essere al fine di avere precise notizie non siamo venuti a capo di nulla. Non esiste nessuna documentazione. L’aspetto marziale l’è conferito da due garitte:una a ridosso dell’angolatura occidentale e di quella orientale l’altra.Posta a perpendicolo sul burrone a nord,assume l’aspetto di un torrione normanno,soprattutto per chi guarda dal fondo valle. Lo sfondo su cui si proietta è fascinosamente selvaggio. Al ruolo di polveriera, è opinabile, sarà stata destinata sin dalla istituzione del reggimento di fanteria a Girgenti, dopo l’Unità, e fino allo sbarco anglo-americano del ’43.
Per molti agrigentini fu un mito. Meta addirittura di pellegrinaggio; perchè valido baluardo della patria-specie negli anni ’30-’40 perennemente in arme.E di questo decennio ci occuperemo.Era una gran fatica arrivarvi ,a piedi, così si camminava allora.Si doveva attraversare una sorta di trazzera impervia, polverosa d’estate ,fangosa d’inverno. Spettacolo “eccitante” quello offerto dal cambio della guardia,”corroborante “l’altolà intimato dalle sentinelle che spesso impedivano ai passanti di continuare a salire. Per un raggio di cento metri era rigorosamente vietato di fumare. Si diceva-eccoci nella dimensione del mito-che una scintilla avrebbe potuto far divampare la polveriera e distruggere la città.
chiesa delle forcheI militari di stanza erano una diecina;trascorrevano le ore giocando a carte e,paradossalmente,fumando. Rapporti cordiali stabilivano con i pastori che, nelle vicinanze ,andavano a pascolare. Si creava così un quadro più idillico che guerresco. Nelle giornate primaverili era punto di arrivo delle passeggiate scolastiche. In quelle occasioni le sentinelle venivano gratificate del grido patriottico di eja eja alalà. Si discendeva “rinfrancati”,più disponibili alle adunate,alle lezioni di cultura militare.E figuriamoci!Il militarismo era di casa.Una città,sostanzialmente,sonnacchiosa si ridestava al suono delle fanfare ed al canto dei soldati in marcia.Si era in sintonia con lo “spirito” della Polveriera:si esplodeva in permanenza,e per fortuna, metaforicamente.Uno spirito che era riuscito a permeare di sè persino un clochard a cui era stato dato lo strano nomignolo di “Piombo”.
Indossava smesse uniformi militari.Era impareggiabile nel dare i comandi.Una volta in occasione di una sfilata impartì un poderoso alt che bloccò all’istante una compagnia,lasciando allibito il colonnello Tavella che non si rese conto dell’accaduto.Redarguiva poi i soldati che non avevano le fasce a posto;sotto questo aspetto nessuna differenza si poneva con gli ufficiali di carriera.I circoli e i caffè erano centri di considerevole progettazione strategica.E,tutto sommato,era un militarismo pacioccone,come pacioccona era la Polveriera.E per un momento vogliamo personificarla,trattare come persona viva.E molto male-come persona viva-dovette restarci,negli anni trenta,quando,per due volte,vide degli uomini in uniforme nera,che, al Campo delle Forche,fucilarono un pastore licatese,certo Porrello,nel ’34 e,nel’37 certo Ferrigno palermitano.Non era lei a far danno.
E si trattò in effetti di due brutte vicende.Per il primo va detto :era stato condannato un bruto ed era stato mandato a morte un uomo -e di nobile sentire.Dopo l’introduzione della pena di morte,questa era la prima esecuzione-in assoluto-per tutto il territorio nazionale.Il Porrello era un giovane pastore licatese,si è già detto:per futili motivi aveva ucciso un compaesano ed aveva sgozzato un povero dodicenne,che, involontariamente,aveva assistito al delitto.Rinchiuso nel carcere di San Vito,inizialmente,riterrà di avere agito secondo norma.Nessuna differenza infatti faceva tra scannare un bambino o un agnello.Successivamente per opera del pio cappellano della casa di pena si renderà conto del gravissimo misfatto.
Affronterà serenamente la morte considerandola giusto e meritato castigo.Profondamente commosso il cappellano avrà parole di sdegno nei confronti di alcune signore venute,alle prime luci dell’alba,a godersi lo spettacolo.Ferrigno,accusato di strage in pregiudizio di cinque persone,era stato condannato all’ergastolo dalla Corte di assise di Palermo.Essendosi appellato il Pubblico Ministero la causa veniva trattata ad Agrigento ed esitata con la condanna a morte. Va sottolineato che in entrambi i casi fungeva da presidente il consigliere Malaguti.
I due, come si è rilevato, furono fucilati al Campo delle Forche Nomina sunt consequentia rerum.E meno male che non fu aperta un’altra chiesa dedicata al Signore delle fucilazioni. Giù in città la vita scorreva pigramente e talvolta con qualche distrazione: come quella offerta dalla raccolta delle figurine della Perugina.La Polveriera si poteva declinare in termini brancatiani.Un po’ Aldo Piscitello,un po’ il Bell’Antonio.Aveva,però,più del primo che del secondo.Ho già detto all’inizio di non sapere quale funzione abbia avuta al momento della sua costruzione.Ho,però,l’impressione che non debba essere stata quella a cui successivamente fu assegnata.E stando così le cose,se fu,alle sue origini,un edificio finalizzato ad intenti pacifici,con il compito che le fu conferito dopo l’Unità ed in particolare negli anni trenta per il clima politico di quel periodo-mi pare chiaro l’accostamento ai due personaggi dello scrittore siciliano.
Come Piscitello sarà epurata,ma più drasticamente,più ferocemente,la si volle cancellare dal ricordo come se potesse suscitare pensieri che una cattiva coscienza collettiva non permetteva venissero fuori.Uno dei motivi di questa violenta soffocazione della memoria è da ritrovare,forse,a parer mio,nell’esigenza di espungere la delusione di un documento a cui furono attribuite le connotazioni di un mito.Come se fosse stata l’autrice di una solenne presa in giro.Negli anni ruggenti–infatti,ma si seppe a fascismo liquidato e a guerra finita-conservava pochissima quantità di polvere.Tant’è che i militari di guardia potevano all’interno della stessa,fumare mentre all’esterno dovevano marzialmente intimare ai passanti di spegnere le sigarette.Non c’era,quindi,nessun pericolo.Si trattava di un bluff.
Può darsi che le cose siano spiegabili con una diversa chiave di lettura e siano più semplici di quanto non si vuole che appaiano.Ma è una tesi che ci convince-seduce-poco.La sua parabola discende,comunque,con lo sbarco anglo -americano.E si potrebbe istituire una analogia-ma fino ad un certo punto-con taluni personaggi del vecchio regime che, proprio in quel tempo,smettono la grinta consueta sostituendola con un atteggiamento di massaia,di chi si dedica per vocazione naturale alle arti domestiche. Era finito il Granguignol .E non c’era da rammaricarsene.Ma era tramontata un’epoca.Non mi riferisco a quella fascista di cui non c’è da avere nostalgia alcuna,ritengo,ma ad una sorta di bell’epoque agrigentina in sintonia,ripeto ancora,con la Polveriera e si potrebbe aggiungere nel bene e nel male.Finisce il periodo delle gite,organizzate dal Touring Club e proprio in direzione della Polveriera ,e per una mescolanza di “turismo e patriottismo”.
Il tutto a testimonianza però di una esistenza raccolta,familiare che ci faceva chiamare gita una semplice passeggiata richiedente una “puntigliosa programmazione”con l’epigrafe d’obbligo:”tempo permettente”.Se ogni cosa procedeva come previsto si “partiva”all’incirca alle dieci del giorno festivo,colazione al sacco “prima tappa” la villetta Restivo ritenuta “l’ultima spiaggia “della città.E sarebbe interessante vedere le foto scattate per la circostanza:saranno stati ripresi giovanotti in tenuta sportiva:pantaloni alla zuava,giacca con l’immancabile martingala e probabilmente nel momento del saluto al tricolore de Touring.Era un rituale della cui assoluta inconsistenza non c’era consapevolezza alcuna ed in ciò stava il fascino del momento in cui si mescolavano truculenza ed ingenuità.Le tragedie del cavalier Gelo-i cui titoli,ne ricordo qualcuno,”Il Farabutto”,Il maledetto”,”Giuda”ne davano ampia testimonianza.Era una società di facciata come la Polveriera.
E non vogliamo guardarvi dietro.Anche perchè, nessuno lo faceva,per lo meno è presumibile.Ci si svagava senza quella febbre ,quell’ansia di divertirsi che oggi rende nervosi e pronti alla rissa.Così quest’articolo-che si sarebbe dovuto incentrare sul rapporto documento-territorio e con piglio rigoroso-si è risolto in una divagazione che ci ha consentito,forse peccando di presunzione,di cogliere il senso di ciò che fu.Una divagazione che ci induce alla tristezza derivante dal constatare una sorta di censura della memoria cui da più parti si concorre.Ancora una volta la Polveriera ne dà conferma.Ne è rimasta la struttura esterna ed è già tanto.Il paesaggio è lo stesso di prima.Speriamo non sia inghiottito dal cemento come è avvenuto recentemente della meravigliosa villla Malogioglio-Cottalorda a poca distanza dai posti di cui stiamo parlando.Il timore è legittimo.A tali considerazioni arriverà il vecchio agrigentino con cui a queste note si è dato avvio.