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colera

Colera e rivolte in Sicilia nel 1837

18 Luglio 2018 //  by Elio Di Bella

Nel 1835 arriva nelle città italiane il colera e si ripresentano le angosce e le paure conosciute al tempo della peste.  L’epidemia arriva dall’India bei porti italiani attraverso i traffici commerciali.

I primi casi a Genova e a Livorno tra giugno e luglio

Arriva con le  navi provenienti da Tolone e Marsiglia.   Il vibrione del colera si diffonde con facilità.  Solo nel 1882 verrà individuato da Robert Koch, e si saprà che era favorito dalle pessime condizioni igieniche dei centri urbani e dalla mancanza di un adeguato sistema idrico. Ma  l’indigenza estrema in cui molti vivevano aveva il suo peso. I dati sono allarmanti: a Genova, dall’agosto all’ottobre 1835, su una popolazione di 90.000 abitanti si registrano 6006 casi, di cui 2889 mortali. A Livorno, su 76.000 abitanti si registrano 2042 casi con 1168 morti.

La scienza medica è divisa tra   medici “contagionisti”, che adottano come unico provvedimento l’isolamento e l’allontanamento di malati veri o sospetti; ed “epidemiologi” che ritengono che la malattia si diffonde grazie alla scarsa igiene ambientale e si combatte, dunque, risanando ambienti sporchi e degradati. La maggior parte degli Stati italiani crede soprattutto ai contagionisti e  che mantiene inalterato lo status quo. Isolamento e lunghe quarantene forzate divengono la norma. La Chiesa l’igiene dell’anima: in una notificazione del gennaio 1835 eseguita da Gennaro Sisto, prelato di giustizia di Gregorio XVI, oltre a sane norme igieniche, si danno consigli di ordine morale: «Premurosi del debito che ci corre verso gli abitanti della Provincia, li esortiamo, e loro inculchiamo con tutto il calore ad allontanarsi dai disordini della crapula, dello stravizio e della gozzoviglia, che fatali e micidiali sono alla umana salute che più facilmente alligna ove ne trova più coerente la disposizione».

Le cose si mettono peggio quando l’epidemia raggiunge in Sud. La risposta dei governi è insufficiente:  si   mettono in atto provvedimenti e norme profilattiche quali la creazione di lazzaretti, la formazione di personale medico adeguato, blocchi e cordoni sanitari che isolano del tutto centri di commercio e traffici con l’esterno e poco altro.

Tornano nell’immaginazione collettiva vecchie superstizioni: l’aria infetta e ammorbante,  l’untore e l’avvelenatore d’acqua, incaricati dal cattivo governo di uccidere il popolo.  Così nel Regno di Sicilia  nel 1837 si verificano tumulti e rivolte popolari contro il governo borbonico.   «La paura divenne furore» annota Luigi Settembrini nelle Ricordanze .   Ferdinando II vuole una dura repressione.

Nel 1837 il «morbo asiatico» o «colera» invase Napoli ; ma le precauzioni di cordoni sanitari, di contumacie, prese dal Governo, non poterono impedire che si propagasse fino in Sicilia.

Alla rovina che esso apportava si aggiunse lo sgomento generale perchè si credeva che mani scellerate lo spargessero nel popolo. La miseria delle classi popolari aiutò lo spargersi del morbo.

Il 25 giugno era giunta a Messina, da Palermo, una speronara (nave da guerra), e gli uomini erano sbarcati senza fare la quarantena. Allora fu pubblicato un violentissimo proclama che incitava a difendersi dal morbo colla spada in pugno. II 12 luglio giunse da Napoli un battello con i vestiti per le truppe e non subì la quarantena : allora il popolo non seppe più contenersi e in massa corse agli uffici della sanità dove disperse e bruciò tutto, calpestando anche lo stemma regio.

A questo moto non successe nessuna reazione perchè il luogotenente non aveva a sua disposizione la truppa necessaria a fronteggiare una eventuale rivolta più grave.

Intanto a Palermo il colera mieteva gran numero di vittime, fra le quali lo scienziato palermitano Domenico Scinà, professore all’Università di Palermo. Si distinsero per le cure apprestate agli ammalati il padre Ugo Bassi e il pretore di Palermo, Pietro Lanza, principe di Scordia.

Il 15, il 16 e il 17 luglio si solleva Siracusa : viene arrestato uno straniero che si trovava a Siracusa con un cosmorama (la prima forma di lanterna magica), perchè sospettato spargitore di veleno: si arresta anche sua moglie. Il popolo si abbandona ad eccessi; e lo straniero finisce col dichiarare (per aver salva la vita) che egli è proprio lo spargitore del veleno; però è in possesso del contraveleno. Tutti allora accorrono a lui per aver le ricette contro il colera ; ed egli le distribuisce a destra e a sinistra.

Per questa sollevazione Siracusa fu punita col trasferimento a Noto del suo comando di Valle.

Il 23 agosto, alla notizia di ciò che succedeva a Siracusa, si solleva Catania. I soldati sono costretti a chiudersi nel castello. Il popolo si elegge una nuova Giunta di ventun componenti.

Il 30 gli eccessi diventano più violenti. Ai generosi che vogliono liberarsi dai tiranni si son mescolati i fanatici che vogliono vendicarsi del colera. Si abbatte la statua di Ferdinando; s’innalza una bandiera; si sitarono salve di gioia.

Il Governo allora, impensierito dall’accrescersi dei tumulti, manda In Sicilia il feroce Del Carretto che già altrove si era macchiato d’infamia. Il Del Carretto aveva avuta l’autorità dell’alter ego reale; ed egli venne in Sicilia e compì orribili misfatti che infamarono sempre lui e il suo padrone. Catania, Siracusa, troppo caro pagaste il generoso tentativo di liberarvi!

Catania, lo ricorda per te la piazza dei Martiri, dove caddero Barbagallo, Pittà, Pinnetta, Caudullo, Sgroi, Pensabene, Nicotra, Gulli, Mazzaglla, Sciuto.

Siracusa, lo ricorda per te Piazza Duomo, dove caddero Mario e Carmelo Adorno e Concetto Danza !

Al Pinnetta, mentre si difendeva, fu imposto di tacere perchè dieci palle lo avrebbero cercato nel petto; ed egli rispose : « Per me basta una palla ; serbate le altre nove pel petto del vostro re Ferdinando II ».

Lo Sgroi lasciò memoria sublime del suo eroismo. «All’avvicinare del nemico prese il fuoco colle mani e correva a fare esplodere un cannone: il fuoco gli consumava le carni, ma egli non lo lasciava e lottava animosissimo coi traditori »,  cosi scrisse Atto Vannucci nel suo libro su « I martiri della Libertà Italiana ».

Mario Adorno chiese di assistere al supplizio del figlio e l’ottenne. Mentre lo rincorava, il figlio gli disse : « Padre, da chi la sventurata famiglia trarrà aiuto e consiglio? », ed egli con animo intrepido rispose :« Dalla vita che qui lasciamo, senza delitto e senza rimorso ! ». Poi, comandato il fuoco contro il proprio figliolo, cadde dopo di lui, confondendo il suo coll’ultimo respiro del giovinetto.

Scrisse Francesco Guardione nel suo libro « Il dominio dei Borboni in Sicilia », dal quale pigliamo queste notizie: «Qual funesto ricordo pe’ Borboni ! Il nome di Mario Adorno si legò tra i primi a una storia di terribili sventure ! Quel giorno Siracusa si mutò in un cimitero ».

Pensiamo noi: come morivano intrepidamente i nostri nonni per donarci una Patria e un nome !

Categoria: Storia SiciliaTag: colera, fedinando secondi, sucilia

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