Quarantasei anni fa una immane tragedia segnò per sempre la vita di trecento famiglie di Porto Empedocle e cambiò il volto del paese: l’alluvione del 29 settembre 1971.
E’ stata inaugurata nei giorni scorsi nella Torre Carlo V di Porto Empedocle la mostra fotografica “I giorni dell’alluvione”, su iniziativa dell’associazione “Oltre Vigata”, diretta da Danilo Verruso.
In una galleria di ottantacinque scatti in bianco e nero, del cronista empedoclino del Giornale di Sicilia Alfonso Verruso e del fotografo Nino Allegro, emergono storie, fatti, persone e quel mare di fango e di dolore che travolse e distrusse un intero centro storico ed oggi sono un monito, ricordando la necessità di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio.

“La sera del 29 settembre 1971, dopo otto ore di pioggia ininterrotta, Porto Empedocle venne sommersa da una “bomba” d’acqua e dal fango – dice Danilo Verruso – Il torrente Spinola s’ingrossò a dismisura uscendo dagli argini, abbattendo tutto ciò che incontrava, distruggendo il quartiere Forni ed invadendo la piazza Cappadona e via Roma. Mio padre, Alfonso, raccontò quella tragedia per i lettori del Giornale di Sicilia e alcune decine di splendide foto che riproponiamo nella mostra ”.
Tra i protagonisti di quella lunga giornata c’è anche un collega del cronista Verruso che ricorda ancora oggi molti particolari, è Filippo Carmina.
“Solo in serata riuscii a chiamare la redazione perché le comunicazioni rimasero a lungo interrotte – ricorda Carmina- Ma chi mi rispose non credette alla notizia della disastrosa alluvione. Pensò che stavo esagerando. Solo la mattina dopo, quando potei inviare le foto, mi presero sul serio. Fu un disastro. Vidi i bambini dell’asilo comunale portati in salvo sulle barche. I tetti spaccarsi. Arrivarono i soldati e centinaia di volontari spalarono quella montagna di fango per intere settimane”.
Tanti si misero in salvo salendo sui tetti, da dove vedevano le automobili travolte dal corso della marea di melma e finire anche in mare. Non morì nessuno perché la gente comprese il gravissimo pericolo e abbandonò le case. Ma almeno 300 le famiglie rimasero senza un tetto e vennero sistemate nelle scuole, nella palazzina dei ferrovieri e, i più fortunati, furono ospitati da parenti e amici. Molti persero anche il lavoro perché avevano in quelle strade negozi e botteghe artigianali.
“Nella mostra evidenziamo anche che la tragedia accadde per l’espansione urbanistica del paese, con le costruzioni di Piano Lanterna che negli anni Sessanta modificarono profondamente l’orografia dei luoghi senza calcolare certi interventi privi di criterio. Da questa zona, una cascata di acqua, raccolta a monte, precipitò travolgendo con energia abbattendo un muro che è stato sfondato e ogni cosa si è riversata sul rione Forni, su via Garibaldi, su via Roma e sino alla ferrovia”, dice Verruso.
Porto Empedocle, quel giorno, ebbe i suoi eroi, come Felice Amodio e il figlio Andrea, protagonisti del salvataggio della famiglia di Giosuele Castelli che, rimasta intrappolata in casa, sarebbe stata seppellita da fango e detriti. Venne abbattuto circa il 60% degli edifici che subirono dei danni. Porto Empedocle cambiò il suo antico volto. Sparirono le costruzioni dapprima inerpicate sulla marna, il rione Forni da allora non c’è più. Per dare una casa a chi quel giorno l’ha persa, con “Grandi Lavori”, nacque il quartiere di Contrada Inficherna.
Elio Di Bella