Esperto di grecità d’ Occidente, Braccesi ha accettato di accompagnarci in una passeggiata virtuale per le vie di Akragas, complice un Dvd-Rom ideato dalla ditta Altair4 per la Provincia di Agrigento. Valle, templi, acropoli, quartieri, mura: tutto rivive in 3D che pare davvero di camminarci dentro.
Essere proprio lì, ai tempi del tiranno Terone. I tempi così d’ oro che più non si può. Specie dopo la grande vittoria di Himera sui Cartaginesi. Akragas era città di frontiera e Terone il suo “baluardo”, come cantò il poeta Pindaro. Oltre i suoi confini era il West barbaro e si viaggiava armati fino ai denti. Ma nel 480 a. C. Terone riuscì a sbaragliare il suo avversario più acerrimo e conquistare con Himera anche l’ affaccio sul Tirreno. «Gli storici antichi, penne al soldo dei tiranni di Siracusa, attribuiscono la vittoria soprattutto ai Siracusani. Sulle loro pagine Terone è poco più di una comparsa ma non andò affatto così», commenta Braccesi. Tant’ è vero che ad arricchirsi dopo la battaglia fu soprattutto Terone.
Fiumi di denaro cominciarono a scorrere per Akragas, frutto del bottino di guerra. E arrivarono prigionieri da destinare ai lavori forzati. Veri e propri schiavi messi al lavoro su “grandi opere” che il ponte sullo stretto impallidisce al confronto. La città era un cantiere perenne. Più o meno ogni dieci anni spuntava un nuovo tempio, tutti più o meno simili per dimensioni, struttura, stile. Era la fabbrica dei templi. Mentre sottoterra nasceva un dedalo tentacolare di acquedotti sotterranei. E tutti sfociavano nel lago artificiale dove i templi si specchiavano tra i pesci e i cigni bianchi, la Kolymbetra. E poi nasceva lui, l’ Olympieion, il parto più vero della megalomania di Terone.
Il tempio più grande di tutto l’ occidente greco a celebrare la vittoria più grande, Himera. Tempio mai finito. Era troppo anche per chi non conosceva limite. Troppo davvero. Quelle statue di Telamoni che lo sostenevano paiono sorreggere il mondo intero.
Giganti grossi, pesanti, possenti. Persino terrificanti per i mortali. Eppure ancora piccoli rispetto alle spropositate dimensioni del tempio. «Ma bisogna capirli, questi Akragantini. Stavano alla frontiera, sempre in prima fila. Erano quasi obbligati a ostentare la proprio grecità», riflette Braccesi. Con i templi più solenni e monumentali di tutta la Sicilia.
I soldi per farlo non mancarono mai. Akragas vendeva i prodotti della sua ricca valle (specie vino e olio) a tutti nel Mediterraneo e si arricchiva a dismisura. Soprattutto durante le guerre come quella tra Siracusa e Atene, quando Akragas rimase neutrale e rifornì gli eserciti di entrambe. O decenni prima quando era fornitore ufficiale della nemica Cartagine. Akragas opportunista. Mentre Terone faceva la bella vita deliziandosi con i versi di Simonide e Pindaro. «Fu un mecenate, un po’ come i principi del Rinascimento. Aveva capito che la tirannide vive di immagine, sapeva far leva sulla forza della propaganda. Sapeva come guadagnare il favore del popolo, e persino suscitare nel popolo sentimenti di pietà», continua Braccesi. «E poi, poteva permettersi di dare a Pindaro così tanto denaro da fargli dire che Akragas era “la più bella delle città dei mortali”. Poche altre città greche hanno lasciato il segno in letteratura come Akragas». E nelle arti tutte. Poeti e mimi, danzatori e attori. Tutti a ricevimento, a corte o altrove, tra fanciulle che vivevano tra ogni lusso come le single di “Sex and the City”.
Fatti gli opportuni distinguo. Non rinunciavano a nulla fino all’ ultimo decolleté di Manolo Blahnik. O chi per esso. O a predisporre tomba e corredo persino per il proprio uccellino. Oltre a quello proprio, fatto con i più bei vasi di Sicilia. Mentre i loro compagni, per non essere da meno, innalzavano monumenti persino ai propri cavalli. Forse con un pizzico di ragione in più. Erano cavalli bellissimi. Eleganti e velocissimi. Messi in quadriga spopolavano alle Olimpiadi. Imbattibili come le Ferrari. Erano davvero una grande squadra con un “presidente”, Terone, che nelle quadrighe investiva tantissimo e con fiuto. E Pindaro cantava le sue ripetute vittorie. E le quadrighe celebravano i trionfi sfilando a festa per le vie della città. Si ricordano fino a seicento candidi destrieri che sfilarono tutti assieme per le ampie e ariose vie della città. Perché Akragas era città pensata in grande, sin dai suoi esordi. Non è di Terone l’ ambizioso piano regolatore ma già di chi lo precedette parecchi decenni prima. Quel Falaride che diede la spinta iniziale alla città. Chiamato anche lui “tiranno” ma lontano anni luce dal principe illuminato Terone. Piuttosto uno sceriffo di quello che era davvero un rischiosissimo avamposto nel Far West. Sceriffo autoritario quanto serviva a mantenere l’ ordine in città e difenderla. Aggressivo al punto da estendere i confini anche a spese della madrepatria Gela. Dinamico da bruciare in men che non si dica tutte le tappe. Spregiudicato da disegnare sulla pianta una metropoli quando ancora non c’ era. Ma che ci sarebbe stata, di lì a poco. Akragas fu l’ ultima a vedere la luce tra le grandi di Sicilia ma tra le prime a splendere. Anche se per poco.