
Il tempio di Esculapio (o Asclepiade) risale alla seconda metà del V secolo a.C. Ci è stato descritto da Polibio che racconta che i consoli romani M. Valerio e Q. Ottacilio, nell’assedio di Akragas (263 a.C.), avevano diviso l’esercito romano in due parti, una delle quali era posta presso il tempio di Esculapio e così furono piantati gli alloggiamenti e tutto l’apparato bellico. Grazie allo storico greco, dunque, alcuni studiosi ritengono che vi siano pochi dubbi sull’esatto nome del tempio e sulla sua ubicazione.
Non solo da Polibio era conosciuto ed apprezzato il tempio di Esculapio, ma anche da Cicerone che nelle sue Verrine descrive con ammirazione una statua di Apollo (il padre del dio Esculapio), capolavoro del celebre scultore Mirone. Cartaginesi e Romani cercarono di sottrarla agli Agrigentini. Si narra infatti che i punici l’avevano portata a Cartagine come bottino di guerra e che venne riportata ad Agrigento da Scipione dopo la vittoria romana su Cartagine. Ma anche il pretore Verre tentò di rubare la statua – come ricorda Cicerone – e solo con molta fortuna gli Agrigentini riuscirono a scoprire il tentativo e da allora fecero guardare a vista, notte e giorno, i templi della città da attenti sorveglianti.
Ancora Cicerone ci dice che il tempio di Esculapio era un “famosissimum fanum”, cioè un famoso santuario. Esso infatti aveva la duplice funzione di ospedaletto e di santuario. Esculapio era il dio della medicina e i suoi santuari erano meta di incessante pellegrinaggio di molti ammalati che cercavano nuove cure e di pellegrini che invocavano l’intervento divino o ringraziavano il dio per la guarigione ottenuta, lasciando poi nel santuario un ex-voto a testimonianza della grazia ottenuta.
Si alternavano quindi giorno e notte devoti che compivano rituali abluzioni, sacrifici e recitavano preghiere prima di ascoltare le indicazioni dei medici per ottenere o conservare la salute.
Certamente qui si praticava anche la medicina empirica di cui l’agrigentino Acrone fu uno dei maggiori esponenti.
Anche l’ubicazione del tempio non è casuale. Esso sorge nel piano di San Gregorio, in luogo basso e piuttosto isolato proprio perché qui meglio ci si poteva difendere dalle epidemie, specie quelle di colera.
E’ certamente uno dei templi agrigentini più piccoli (lungo metri 22,14 e largo 11,18), ma è stato assai ben concepito ed è completo di cella con naos, pronaos e finto opistodom, con la scaletta interna per raggiungere il tetto.
E’ un tempio di ordine dorico in antis, ossia con la sola cella, con la porta ad est e ad ovest è in piedi un portone dell’ante, dove si vedono due mezze colonne striate senza capitelli, impegnate nel muro, fra i pilastri angolari. Ci sono note anche alcune parti della trabeazione che presentano caratteristiche grondaie a testa leonina, fregio e geison frontale.
Manca di peristasi che è stata sostituita da un muro, in parte ancora in piedi.
DI ELIO DI BELLA