Pirandello e la moglie Antonietta
E’ di scena il demone della gelosia
I PROTAGONISTI Quella miniera di zolfo all’ origine della rovina economica
Pirandello e la moglie Antonietta E’ di scena il demone della gelosia di GAETANO AFELTRA
La fredda disperazione, l’ angoscia di dover vivere, questi caratteri profondi dell’ opera di Luigi Pirandello hanno una radice nella sua storia personale; meglio, nella storia di una coppia, quella formata da Pirandello stesso e dalla moglie Antonietta. Sarebbe troppo facile riconoscere in questa vicenda una storia «pirandelliana»: passione e pazzia, mescolandosi, sconvolsero realmente due vite, anzi un’ intera famiglia. Si provi a guardare bene le fotografie di Pirandello. Il suo volto è quello di un pessimista disarmato. Non sorrideva mai e quando gli capitava di sorridere, stirava le labbra senza schiuderle e alzava di colpo le sopracciglia.
È stato uno degli uomini più tormentati della terra. Molti anni della sua vita furono un inferno. Era arrivato al punto di sperare di morire; più volte pensò anche di uccidersi. Lo trattenne la responsabilità di lasciare i tre figli – Stefano, Lietta e Fausto – soli con la madre, ormai smarrita nelle nebbie della follia. Corrado Alvaro che gli era stato molto vicino sosteneva che «nel fondo del suo animo, determinante di tutte le sue azioni, doveva essere presente la tragedia familiare che lo aveva colpito tra i quaranta e i cinquant’ anni. La moglie, Antonietta Portulano, ossessionata dalla gelosia, non vedeva intorno a sé che rivali anche nelle domestiche, al punto che molte volte Pirandello e i figli andavano a mangiare in trattoria.
A quella donna, a quanto si diceva, Pirandello era rimasto fedele fisicamente come se fosse segnato da un’ impronta indelebile. Comunque dovette essere un trauma sessuale da cui egli non si riprese mai, il cui mistero non è dato esplorare. È un trauma che si sente in tutta la sua opera». All’ amico Luigi Antonio Villari, scrittore e umanista, al quale era legato da stima e affetto, Pirandello scriveva, il 3 novembre 1904, una lettera sconsolata confidando le sue pene. È un documento che rivela la sua estrema disperazione. Prendendo spunto da un libro di Villari nel quale l’ autore ricorda scrittori scomparsi, Pirandello gli scrive: «Carissimo Villari, quasi quasi vorrei essere anch’ io un caro volto svanito per essere ricordato da voi in altre paginette come queste che m’ avete inviato. Vi giuro che n’ avrei desiderio: mi trovo in tristissime angustie. Non nego che queste, per un sincero umorista, siano la manna; tanto è vero che io, ringraziando il buon Dio che me le manda, scrivo e scrivo e scrivo, di questi tempi, con gran fervore e di gran lena; ma v’ assicuro che la grazia è troppa e volentieri vi rinunzierei. Sarebbe veramente piacevole, se Il fu Mattia Pascal, che uscirà in volumi sui primi del prossimo ottobre, uscisse con questo frontespizio: – “Il fu Mattia Pascal” romanzo del fu Luigi Pirandello -.
Figuratevi quanti elogi, la critica, e come andrebbe a ruba il volume…». La vita di Pirandello era cominciata male. Era nato il 28 giugno 1867 da Stefano Pirandello e da Caterina Ricci, in una villa di campagna detta il Caos nelle vicinanze di Girgenti, dove la famiglia si era rifugiata durante un’ epidemia di colera. L’ infanzia aveva voluto dire l’ assorbimento costante degli umori, delle reticenze, delle segretezze, delle allusività della propria terra. Cominciano gli studi: lascia l’ Istituto tecnico per il ginnasio. Da Girgenti passa a Palermo per gli studi classici, poi all’ università, prima a Roma, poi a Bonn. S’ innamora della cugina Lina, ma l’ amore dura poco. In Germania è affascinato da una fanciulla tedesca. Torna in Sicilia. A venticinque anni Pirandello era a Roma quando ricevette una lettera dal padre che gli proponeva di fidanzarsi con la figlia del suo socio d’ affari Calogero Portulano, che vedeva di buon occhio il «combino».
Anzi, approfittando di un viaggio in continente, Portulano aveva affidato, in caso di disgrazia, due buste al suo socio: una con il testamento, e l’ altra contenente settantamilalire con sopra scritto: «Dote di mia figlia Antonietta». Antonietta, rimasta senza la madre, era cresciuta col padre che l’ aveva affidata alle suore di San Vincenzo. In Calogero, uomo geloso per natura (aveva fatto inconsapevolmente morire di parto la moglie impedendo al medico di visitarla), cominciò a spuntare un’ avversione verso il futuro genero al pensiero che sua figlia dovesse, un giorno, finire tra le sue braccia. L’ assurdità è evidente: stava mandando a monte un matrimonio che aveva pazientemente preparato. Il fidanzato riuscì a vedere la futura sposa poche volte, parlandole a voce alta, e sempre alla presenza di tre o quattro persone. Al massimo una stretta di mano, ma non troppo forte. Antonietta era bella, bruna, un po’ misteriosa e dal fascino triste. Con i suoi lunghi capelli neri, emanava una femminilità innocentemente provocatoria. Pirandello, monogamo per natura, se ne innamorò con la testa e il cuore. Gli piaceva terribilmente.
Mai aveva provato un desiderio così forte. Da Roma, dove era andato per preparare la casa, le scriveva lettere d’ amore bellissime. Antonietta, educata dalle suore di San Vincenzo, leggeva e si sentiva smarrita di fronte a tanto ardore. Lui le parlava d’ amore. E lei rispondeva in tono scontroso, rivelando la radicale diversità dei due caratteri. Tornato a Girgenti per le nozze, Pirandello si sposa il 27 gennaio 1894, in Municipio e nella chiesa della Madonna d’ Itria. Ventisei anni lui, ventidue lei. Dopo gli evviva, il banchetto di nozze, i dolci e i confetti, gli invitati accompagnano in carrozza gli sposi alla villa del Caos. Luigi si trovò per la prima volta solo con Antonietta. Non si erano mai dati un bacio. Quella sera Pirandello baciò la sposa e le disse parole dolci. Ma con estrema delicatezza la prima notte, e anche per altre notti ancora, non volle andare oltre. Fu una luna di miele bianca, piena di baci e di tenerezze. Dopo una settimana gli sposi lasciarono il Caos e andarono a Roma. Le cose si aggiustarono. La vita coniugale filava benissimo. Una dolce serenità, insieme all’ agio economico, rendeva gli sposi felici. Pirandello lavorava tranquillo.
La casa era accogliente. Un anno e mezzo dopo il matrimonio nacque Stefano, poi nel 1897 Lietta e due anni dopo Fausto. Proprio alla nascita di Fausto, Antonietta ebbe una crisi nervosa. Pirandello si allarmò ma fortunatamente, in breve tempo, tutto si risolse per il meglio. E ancora anni belli, in pieno amore, con i bambini piccoli. Poi, dopo quattro anni di benessere familiare, improvvisamente la situazione si capovolse. La grande zolfara di Aragona, in cui Stefano Pirandello aveva investito tutto il patrimonio, compresa la dote di Antonietta, si allagò, provocando il disastro economico della famiglia. La notizia arrivò per posta da Girgenti. Pirandello era fuori casa per una passeggiata. Al ritorno trovò la moglie a letto semiparalizzata alle gambe dallo choc. Non aveva retto al colpo. Delirava: «Come faremo, come faremo!». Pirandello si avvilì, cadde in una terribile depressione. Il problema del sostentamento della famiglia l’ angustiava. Aveva impegnato al Monte di Pietà tutti gli ori di casa. Ma non bastava. Fece domanda al Magistero di Roma per un incarico.
Fu preso come supplente. Dava lezioni private di italiano agli stranieri a cinque lire l’ ora. In Antonietta esplose la follia, l’ antico male dei Portulano. Gelosa di chi? In principio Pirandello rideva. Erano stati insieme tanti anni d’ amore e d’ accordo senza la minima ombra, e ora? Come poteva dunque Antonietta ossessionarlo con la sua gelosia? Eppure egli era amoroso, paziente. Con le cure più attente e costanti riuscì a farla guarire dalla paresi. Ma l’ altro male, quello indomabile, progrediva. Il demone della gelosia si era impadronito di lei: con scenate terribili accusava il marito di avventure immaginarie. E lui, Pirandello, subiva, con la forza dei suoi sentimenti di amore e di pietà insieme. Antonietta lo rimproverava persino di tenere ancora il ritratto di lei giovane e bella ed egli rispondeva: «Lo tengo perché lei, e non tu, lei mi ha reso felice». Antonietta si placava ma poi riprendeva. Lo spiava all’ uscita dal Magistero dove insegnava. Era gelosa delle sue allieve. Si nascondeva dietro agli alberi di piazza delle Terme. In lei il tarlo della gelosia non aveva mai quiete: rodeva di continuo. Antonietta controllava le uscite di casa del marito, gli contava i soldi per il tram, per i giornali e per i sigari. Non un soldo di più.
Quando il marito era fuori pensava che fosse uscito per tradirla. Il male continuava a peggiorare, ma lui copriva tutto con il silenzio. La parola pazzia non l’ aveva mai chiaramente scritta. Appena accenni «all’ albero insanabile attossicato». Ne trattava solo nelle novelle e nei racconti. Un giorno Antonietta lesse una pagina scritta dal marito e capì che era ispirata a lei. Si offese della trasposizione, pianse come una bambina. Pirandello cercò di calmarla, baciandola e carezzandola. Ma la bambina folle continuava a piangere. Pirandello dovette attraversare proprio un momento di grande sconforto se dette libero sfogo alle sue pene. Lo fece nel 1914, in una lettera all’ amico Ojetti: «Mio caro Ugo, forse da un pezzo ti sarà arrivata agli orecchi la notizia delle mie immeritatamente sciagurate condizioni familiari. Non è vero? Ho la moglie, caro Ugo, da molti anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io – il che dimostra senz’ altro che è una vera pazzia – io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente per il mio lavoro, esiliato del tutto dal consorzio umano, per non dare a lei, alla sua pazzia, il minimo pretesto d’ adombrarsi. Ma non è giovato a nulla, purtroppo: perché nulla può giovare! I medici hanno dichiarato, che è una forma irrimediabile di paranoja, del resto ereditaria della sua famiglia».
Con lo scoppio della guerra del ‘ 15 Stefano fu chiamato alle armi. Antonietta si sentì strappare il figlio dalle viscere. Accusò il marito di averlo fatto partire. Molte notti Pirandello svegliandosi scopriva la moglie china su di lui che lo guardava con gli occhi fissi, paurosamente allucinati. Stefano, di ritorno dal fronte, capì che la sofferenza del padre era arrivata oltre ogni limite umano. Padre e figlio pensarono di fare ricoverare la malata in una casa di cura. Per questo si ricorse a uno stratagemma. Stefano convinse la madre, ostinata a volersi dividere, che per ottenere la separazione dal tribunale occorreva risultasse sana di mente. Per questo doveva sottoporsi ad alcuni esami in una clinica psichiatrica. Lei acconsentì, pur di fare dispetto al marito. Era il 1919. La casa di cura era in via Nomentana. Antonietta vi rimase per quarant’ anni. Morì il 20 dicembre 1959. L’ Accademia, il Premio Nobel, la gloria, non hanno contato nulla per Pirandello.
Aveva solo sete d’ amore, lui che era vissuto per tanti anni accanto a una fonte arida. Pirandello si ammalò nel novembre del 1936. Rientrò a casa dopo aver assistito in un teatro di posa alle riprese di un film tratto da un suo romanzo. Aveva i brividi. Aspettò che gli preparassero il letto, e in quel letto, una quindicina di giorni dopo, morì. Al medico che all’ alba dell’ ultimo giorno era venuto a visitarlo e lo confortava, disse: «Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire». Poche ore dopo era morto, disteso sul suo piccolo letto, tutto coperto da un sudario che gli nascondeva anche il volto. Se ne andò solo com’ era sempre stato. Era un mattino di nebbia l’ 11 dicembre del 1936. In via Bosio 15 sostava un povero cavallo al quale era attaccato un carro poverissimo. Vi fu collocata la bara di abete. Il carro si mosse e quei pochi amici che erano lì a dirgli addio rimasero fermi al cancello mentre il carro partiva.
I PROTAGONISTI
Quella miniera di zolfo all’ origine della rovina economica Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nei pressi di Girgenti (oggi Agrigento) nella villa di famiglia chiamata Caos. Dopo la laurea in Lettere a Bonn, nel 1892 si trasferisce a Roma dove inizia a collaborare con diverse riviste letterarie e scrive il suo primo romanzo, «L’ esclusa». Il 27 gennaio 1894 sposa la figlia di un socio del padre, Maria Antonietta Portulano. Dal matrimonio nascono tre figli: Stefano (1895), romanziere e drammaturgo, Lietta (1897) e Fausto (1899), pittore. Dal 1897 comincia a insegnare presso l’ Istituto Superiore di Magistero a Roma. Nel 1903 l’ allagamento di una miniera di zolfo manda in rovina la famiglia. In Maria Antonietta, già debole di nervi, si manifestano i primi segni della paranoia. Pirandello medita il suicidio ma nella scrittura trova le risorse per uscire dalla crisi: nel 1904 esce Il fu Mattia Pascal. Nel 1909 inizia la sua collaborazione con il «Corriere della Sera», su cui appaiono via via le sue novelle. Nel 1915 la vita familiare è scossa dalla partenza per la guerra del figlio Stefano: la malattia mentale di Antonietta si aggrava al punto che nel 1919 la donna sarà definitivamente ricoverata in clinica, dove morirà il 20 dicembre 1959.
Proprio negli anni della Grande Guerra Pirandello inizia la sua prodigiosa attività teatrale. Il 1921 è l’ anno della consacrazione internazionale con Sei personaggi in cerca d’ autore. Nel 1924 Pirandello s’ iscrive al partito fascista. Nel 1934 giunge il premio Nobel. Durante le riprese cinematografiche di Il fu Mattia Pascal si ammala di polmonite. Muore nella sua casa di Roma la mattina del 10 dicembre 1936.
Afeltra Gaetano
Pagina 25
(30 luglio 2000) – Corriere della Sera