
Cenni storici
Arrivati alla piazza Plebis Rea e proseguendo per via Duomo, al civico 73, si giunge al palazzo denominato “Del Carretto” o “Lo Vetere”. Il suo nome deriva dalla famiglia Del Carretto, conti di Racalmuto, che lo aveva commissionato e successivamente acquistato dalla famiglia Lo Vetere, con l’impegno del pagamento di un censo alla chiesa della Madonna del Monte di Racalmuto.
Questo edificio, la cui realizzazione ebbe inizio quasi sicuramente nella seconda metà del XVII° secolo, venne costruito forse per creare un effetto di alta scenografia trovandosi a fronteggiare altri due edifici contemporanei di notevole importanza per la città di Agrigento: il palazzo della curia Vescovile e la biblioteca Lucchesiana (donata da Mons. Lucchesi Palli a beneficio degli agrigentini).
Tale scenografia nasce da una concezione barocca, dove lo spazio urbano è visto ormai come una grande scena, ricca di variazioni illimitate, la cui nuova dimensione è raggiunta attraverso l’impiego di prospettive aperte, effetti dinamici, visuali impreviste, ed in cui i monumenti hanno la funzione di nuclei focalizzatori dei valori sia visivi che simbolici. Per questo la facciata dell’edificio barocco in questione è stata concepita più in funzione dell’ambiente circostante che dello spazio interno, tanto da diventare un elemento dell’arredo urbano.
La facciata perde, qui, il carattere di proiezione dell’organizzazione interna, caratteristica del Rinascimento, e acquista un nuovo significato in relazione al contesto urbano.
Caratteristiche stilistiche e strutturali
Gli architetti del periodo barocco non negano la continuità della tradizione classica; gli ordini architettonici sono ancora usati come elementi del linguaggio, anche se fatti oggetto di interpretazioni e modifiche. Cardine di questo processo innovativo è la nuova concezione dello spazio, luogo dell’esperienza umana, inteso non più come un continuum uniforme, suddiviso da elementi architettonici disposti geometricamente, ma come un qualcosa di corporeo, che può essere plasmato e modellato dall’azione delle più varie forze dell’involucro che lo contiene.
La connessione e la reciproca azione di spazio interno e spazio esterno, attraverso la parete di separazione, diventa il nodo cruciale dell’architettura. La rigorosa compostezza del profilo del Palazzo del Carretto viene smentita dalla giustapposizione, apparentemente casuale, di singoli elementi decorativi appartenenti al primo barocco siciliano influenzato dall’architettura spagnola, che celano in realtà una consapevolezza progettuale meno frivola e superficiale.
Il Palazzo del Carretto viene progettato in termini di visione assiale, una grande importanza in questa “esposizione” dell’immagine architettonica è assunta dalla decorazione specie scultorea, per la sua capacità di mediare il passaggio fra la solidità della massa muraria e la fluidità dello spazio atmosferico. L’impianto su cui si sviluppa l’intero edificio è a forma quadrangolare; il suo alzato originale era costituito da un piano terra, un piano seminterrato e il piano nobile. Il collegamento verticale veniva servito dalla scala d’onore, realizzata in pietra calcarea bianca e pietra nera, posta nell’androne coperto con una volta a botte lunettata e volte a crociera nei pianerottoli.
Il prospetto su via Duomo, carico di una ridondante decorazione, presenta una composizione ritmata delle aperture che costituisce in fondo l’espressione linguistica di questa facciata: in asse il portale a tutto sesto con ghiere aggettanti inquadrato da semicolonne sostenute da alti basamenti, concludentesi con un’unica mensola che sorregge il balcone posto in asse. A destra e a sinistra del portale, sul piano nobile, si sviluppano le aperture con il seguente ritmo: A, b, C, b, A. Dove “A” sta ad indicare il balcone, sostenuto da una mensola a goccia scolpita, decorato con mostre e timpano triangolare (un balcone simile lo si può trovare, sempre ad Agrigento, sulla Salita di Sant’Antonio in prossimità del palazzo denominato “Casa Filippazzo”); “b” é la finestra sempre decorata con mostre ma con timpano circolare; “C” il balcone in asse, con timpano mistilineo, sensibilmente più alto degli altri due; tutti i balconi presentano le ringhiere a petto d’oca. Al piano terra sicuramente esistevano esclusivamente finestre.
Il tutto risulta impaginato dalle paraste che creano una intelaiatura quasi strutturale collegate in alto dal cornicione, con modanature, leggermente aggettante. In opposizione al cornicione una fascia basamentale corre lungo tutto il prospetto principale, interrotta solo dal portale, creando l’ancoraggio ideale con il suolo. La suddivisione dei piani fuoriterra viene individuata dalla fascia marcapiano. Le lesene o paraste che delimitano i prospetti sono arricchite da decorazioni a motivi floreali (tema ricorrente in quasi tutti gli elementi decorativi dell’edificio) in prossimità dei basamenti, della fascia marcapiano (che si sovrappone alle paraste) e sotto il cornicione. Il prospetto su via Gallina risulta meno decorato, anche perché meno visibile da via Duomo; due mensole, forse originariamente tre, poste sullo stipite sinistro delle due finestre prospicienti su via Gallina, sembra dovessero servire come protezione da occhi indiscreti, presumibilmente gli ambienti dai quali ci si affacciava erano camere da letto. La copertura originaria dell’edificio era a tetto piano. I solai in legno e i muri, dello spessore di m.0,75, sono costituiti da conci squadrati di calcarenite arenaria.
Stato attuale dell’edificio
Gli sconvolgimenti interni al corpo dell’edificio (legati a suddivisione in diverse unità immobiliari ristrutturazioni di solai, modifiche di tramezzi e pavimenti) non hanno di molto variato il linguaggio della facciata prospiciente su via Duomo. Tuttavia le esigenze abitative moderne, si sa, creano delle incompatibilità con strutture realizzate circa seicento anni or sono, da cui la comparsa di nuove aperture (sopra il balcone e sopra la finestra del piano nobile a destra del portale), balconi al piano terra, magazzini a quota della strada e piccoli forellini di areazione disposti qua e la.
Come se non bastasse l’alzato dell’edificio agli inizi del XX° secolo acquista un ulteriore piano attico, realizzato su quella terrazza da dove gli antichi padroni del Palazzo del Carretto affacciandosi ammiravano lo spettacolare paesaggio che si apriva alla Valle dei Templi prolungandosi fino a raggiungere il mar Mediterraneo.
Le dimensioni dell’apertura, posta in asse sul portale, sono state notevolmente contenute forse per creare un ulteriore piano ammezzato. L’androne, sicuramente un tempo di apprezzabile ampiezza, venne successivamente ridotto, per dar spazio agli appartamenti a piano terra. Ed in effetti la volta di copertura risulta dimezzata. Si può dire, certo a vista d’occhio, che la stabilità complessiva dell’edificio non è in procinto di collasso, grazie anche a quelle opere di manutenzione e ristrutturazione interna operate dagli attuali proprietari. Ma di degrado si può parlare: sono infatti visibili lesioni, sul prospetto ovest e sul cantonale nord-ovest, dovute alla crescita indisturbata di finestre e balconcini e al peso proprio della nuova elevazione, gravante sull’intera struttura. Degrado di tipo erosivo e fessurativo si può notare su tutti gli elementi decorativi, che si sviluppano dal basamento fino al cornicione, favorendo la crescita di vegetazione, che in questo caso non è certamente un bene. Totalmente sgretolato risulta essere l’intonaco del prospetto ovest e in parte l’intonaco del prospetto nord, anche se successivamente rigenerato.
Ipotesi di restauro architettonico
Il recupero del Palazzo Del Carretto potrebbe svilupparsi secondo le seguenti direttrici:
eliminazione tempestiva delle superfetazioni di tipo strutturale; ripristino delle originali aperture per ridare all’edificio quel senso logico secondo il quale è stato progettato; restauro laddove possibile, degli elementi decorativi deteriorati (quali mensole, timpani, mostre delle finestre, basamenti delle colonne del portale e delle paraste, cornicione e colonne); ricostituzione dell’androne di ingresso; sostituzione dei conci deteriorati; pulizia dei prospetti e rifacimento dell’intonaco con colore originario.
di Daniele Volpe
in Città Nuova periodico stampato ad Agrigento n. 0
8 marzo 1994