Come era Agrigento nel 1905 ?
“ Si arriva a Girgenti diretto da Palermo dopo circa cinque ore e mezza di penoso viaggio, dappoichè in certi punti, a cagione delle enormi difficoltà del terreno, il treno è costretto a rallentare la sua corsa.
La stazione di Girgenti è di secondo o terzo ordine, molto piccola e sempre ingombra di vagoni carichi di zolfo. Per salire dalla stazione alla città s’impiega una buona mezz’ora in carrozza, la città si stende su di una collina. Non vi sono mezzi di comunicazione, per cui i forestieri, che si recano a Girgenti, non vi si fermano che il tempo necessario per osservarvi i maestosi ruderi di quei stupendi templi pagani, che tuttavia resistono alle intemperie del tempo e d’una civiltà non meno devastatrice”.
Sono queste che abbiamo appena letto le prime sconsolate considerazioni che appena giunto a Girgenti il marchese di San Giorgio scriveva in ricordo del suo viaggio nella Valle dei Templi nel 1905. E concludeva quelle note sottolineando che la città “ non offre alcuna attrattiva, monotona, incomoda, niente commerciale, quantunque capoluogo di provincia”.
Considerazioni che devono avere molto amareggiato il Prefetto Sorge, siciliano, che pure si dava un gran da fare da quando si era insediato per migliorare l’aspetto del centro storico. Quell’anno istituì una commissione per i monumenti e scavi, che lui stesso presiedeva e dove un ruolo importante aveva anche il Vescovo Lagumina, insigne studioso di arte.
Le antiche colonne del Duomo di San Gerlando, che erano state ricoperte di intonaco, vennero riportate al loro originario splendore e nuovi restauri vennero realizzati per un’altra antica chiesetta agrigentina, quella di Santa Maria dei Greci, ridandole l’antica forma e scoprendo i resti di antichi affreschi. Ma l’evento culturale più importante fu certamente la nazionalizzazione del Museo archeologico comunale che in tal modo veniva riconosciuto dallo Stato italiano e avrebbe potuto ottenere in futuro cospicui finanziamenti.
Ma i partiti dell’opposizione allora polemizzavano duramente contro tali provvedimenti. Invece di spendere i soldi del Comune per dare lavoro alla povera gente che ridotta in misera abbandona la città per trovare lavoro in America, si buttano i soldi per restaurare chiese: dicevano i socialisti e i radicali di Girgenti.
Finirà come in Russia: minacciavano.
Sì perché proprio all’inizio di quel 1905 in Russia il popolo affamato era sceso in piazza per chiedere pane e lavoro, ma i soldati dello Zar avevano sparato contro quei poveretti. Il 22 gennaio del 1905 dinanzi al palazzo d’inverno di Pietroburgo caddero almeno mille dimostranti. Quella domenica di sangue colpì molto anche gli Agrigentini che il 27 gennaio con delibera comunale espressero un voto per la libertà del popolo russo e inviarono un saluto a quei martiri colpiti dal piombo cosacco.
Ma che non si facesse proprio nulla per lo sviluppo del territorio non era del tutto vero.
Ad esempio vennero appaltate in quell’anno alcune importanti opere come l’illuminazione notturna della borgata di Montaperto, s’intensificarono gli studi per la realizzazione dell’ospedale psichiatrico, si istituì il gabinetto comunale chimicobiomatologico e venne realizzato un locale per isolare coloro che erano colpiti da malattie infettive, per migliorare così le condizioni socio-sanitarie in città, venne nominato anche un comitato per la costruzione di nuove case popolari.
Ma certo era molto poco dinanzi alla gravissima crisi economica, che colpiva in quei mesi soprattutto quanti lavoravano nelle molte miniere che chiudevano perché non riuscivano più a reggere la forte concorrenza americana.
Negli Stati Uniti, infatti, grazie a nuovi metodi, lo zolfo veniva estratto più puro e in abbondanza e i prezzi erano migliori rispetto a quelli imposti dagli esercenti siciliani zolfo siciliano. Così i proprietari delle miniere in preda all’incertezza chiudevano le attività e gli operai a migliaia si trovavano disoccupati e partivano per terre lontane. La Sicilia non esportava più grano e zolfo ma emigrati.
Elio Di Bella