Sulla febbre Epidemica petecchiale regnata in Girgenti nell’
anno 1833 del dott. D. PAOLO VASSALLO e CARUSO di
la relazione del medico che curò i molti malati
Favara.
Eccomi finalmente a portata di esporre questo mio benchè tenue travaglio, ma pure sostenuto da quelle autorità, che nelle mie occupazioni ho potuto meglio raccogliere; per così far conoscere a questo colto pubblico da quale epidemia in quest’anno sia stato afflitto: ma a gloria della medicina, e de’ professori di tal facoltà , non si può negare, che dopo aver conosciuta la venefica, e maligna indole della regnante malattia, e delle cause che l’han prodotta, non chè favorita, si è pur trovato modo a debellarla, e quasi spegnerla nel suo terribile sviluppo. Si noterà tra li trofei dell’ arte salutare, che una malattia la quale, di lunghissima durata nei paesi ove ha spinto il suo fuoco divoratore, sia stata arrestata fra noi, e ormai si puoi dire liberi essere di tanta sciagura.
Non vi ha dubbio, che alla riuscita di tale importantissimo oggetto han messo in opera i miei saggi colleghi tutti i mezzi atti ad esterminarla, tenuto precipualmente di mira, e messo a profitto ciò che il Divino Ippocrate ricorda nel libro de fiere aquis, et locis.
» Quicurnque artem medicam integre assegni velit, primum quidem temporum anni rationem habere debet, quantum
po-tentia quodlibet eorum valenti dein ventorurn, qui in unaquaque regione sunt indigeni, postea aquarum facultates cognoscere debet; deinde urbium situs, et natura aquarum nota sit. Porro conside-randa terra ipsa nuda ne sit, et aestuosa, vel alta, et frigida.
Hominum insuper dieta perquirenda , qua maxime capian-tur, an bibuli sint, lucrones, et olio dediti, aut esercitiis variis utentes, et tolentes laborum, ciborumque plus appetentes quam poculorum ; ex his enim singula sunt investiganda. Nam qui luiec omnia probe , et quantum fieri potest , cognoverit , aut horum plurima eum non latere possunt cum in urbem, etiant cibi ignotarn venerit., neque Morbi regione peculiares, et patrii ueque communia regionis natura, quecumque tandem ea fuerit ut non possit in coguoscendis dubiis herere, et errare, sic ubi ad morborum medicationem adhibeatur a.
Nel presentarvi questo mio qualunquesiasi lavoro, io spero che mi sia dato l’onore di venire accolto in segno di quel rispetto, che per tutti i versi io debbo a questo rispettabilissimo pubblico.
la Girgenti li 30 Novembre 1833
STORIA DEL MALE.
È da più anni, che in Sicilia il morbo petecchiale ha invaso or l’uno, or l’ altro Comune, e fatta della strage per dove è passato, molti infatti sono stati i paesi a questo capo valle vicini, che hanno presentato tale tragica scena, e questa si è fin dall’anno scorso 1832 rinnovata fra noi; quanti in fatti de’ compaesani sono stati vittima di un tal terribile morbo?
Non vi ha dubbio, che è assai difficile impresa il voler dettagliare non solo la storia, e l’indole sua propria, ma i segni patognomonici che lo caratterizzano, la differenza di grado che gli appartiene, le varie complicazioni, e le cause che viemaggiormente ne hanno suscitato la forza diffusibile, il metodo curativo, ed il piano profilattico, allo stesso appartenenti. Ma qual piacere sarebbe il mio nel veder compatite le mie riflessioni sul morbo in quistione, voglio dire su quel morbo che ha attirato sino dal secolo XV 1’attenzione degli uomini i più cospicui, ed ha dato campo a varie quistioni sulla natura primigenia, e secondaria dello stesso, sul suo corso sporadico, endermico, o epidemico, e se alla famiglia dei morbi contagiosi, o infettivi come epidemici per l’influenza atmosferica appartenga?
E mio scopo intanto dimostrare 1′ origine della malattia in discorso, e suo andamento, le cause che l’ hanno sviluppato, non che la natura sua primigenia , entrando nel dettaglio de sintomi generali, e caratteristici della stessa, come della intensità di grado, che le appartiene, e stadi che percorre. Noterò bensì di passaggio alcune delle diverse regioni che ha invaso dietro lo sviluppo fatto nell’Italia sino ai nostri tempi, per come meglio potrò, trattando precipuamente di quella che è regnata, come è mio assunto, sino a questo punto nella nostra belle Girgenti.
Era il morbo petecchiale nei primi tempi sconosciuto in Europa, quando nel secolo XV. Fracastoro fu il primo a parlarne ed ad osservarne in Italia la sua comparsa, ed i rapidi fattisi progressi; infatti viene dallo stesso chiamato Morbo nuovo, non essendo stato pell’ addietro conosciuto, e parendo che da altre parti vi sia stato trasportato (Lib. 2 tract. de morb. contag. Morbus novus turo ih Ita-lia habitus est, et ex plagis orientalibus speciatimque eir ironia Cypro ad nos perlatus. Disceptatum quidem a nonnullis est, ar veteribus mediai csset eognitua , nee ne. Comminar salatoti fuit apud veteres nulla vestigia ejusmodi morbi reperiri.). Ma dopo percorso avere or questa, or quella provincia si rese così noto in tutta l’Europa che non vi ha persona che senta nominar petecchie, e non or pia di che si parli.
Bisogna però rammentare che, prima della descrizione del morbo petecchiale fatta dagli Italiani, erisi osservata la sopradetta malattia da Jacopo de Partibus, celeberrimo medico presso i francesi , il quale morto nel 1463, o come altri vogliono nel 1465 ha notato le sopracennate macchie petecchiali (In convent. ad Aviceu prim. quart. tract. 4, c. 2. Is enim maculas quac febribus acutis supervenitua pulicum
inorsibus similes commemorava.) come leggesi in una nota di Borsieri ; mentre pure l’ illustre Lindio non dubita che si siano descritte da Aezio nelle febbri maligne delle macchie simili al morso delle pulci (Anglus Lindius, Memor. stu. Ies fievr. p. 144.): ma dopo la descrizione di Fracastoro fu la petecchiale notata dal Ramazzini nel 1691 e dal Moreali nel 1734; due costituzioni epidemiche di febbri maligne petecchiali sono dal Sydenam citate (Obser. Medie. sect. 2 ct 3.), avvenute ambedue in Londra, 1′ una nel 1665, che fu d’indole assai perniciosa, 1’altra nel 1667 che fu grave, e molesta, ma non mortale, oltre a molte altre regnate in Germania, ed Ungheria dallo stesso descritte: così in Parigi da Ballonio fu osservata nel 1577 (Epidem. et ephemer. lib. 2.), altre due dal celebre Offmanno, la prima in Alla nel 1697, la seconda nel 1728 che fu nell’ anno stesso molesta alla Germania, Olanda , ed Inghilterra (Modic. ratiou. syst. toin. 4, par. 1, p. 2, C. X, XI.); nel supplemento poi all’opera di Sydenam vedesi registrata quella epidemia regnata in Ungheria, e propriamente nella costituzione epidemica Semproniense dell’anno 1697 (Supl. oper. medie. Thuinaa Sydeu. epist. de murb. petec. pag. 38q.), e quella regnata in Posonio nel 1683, quella che alla Sicilia fu molesta nel 1647, e 1648, descritta dal Borelli (Discorso sulle febbri maligne di Sicilia.), come quella che afflisse Napoli nel 1764 registrata da Sarcone (Tratt. istor. ragion. de mal. osservati in Napoli, Costit. epidem. tauriueusis 1720), così quella che regnò in Torino nel 1722 vergata da Carolo Riche (Costit epidem. tauriueusis 1720.), e quella finalmente che fu funesta alli tre Abruzzi nel 1816, e 1817 descritta da Liberatore. Ma senza che più mi trattenga nel dettaglio delle epidemie che si sono sviluppate in diversi tempi, e delli autori che ne hanno fatta menzione (sicuro che ogni medico versato nell’ esercizio dell’ arte salutare sia informato di tali materie) passo a descrivere come ho segnato, quella che febbre epidemica petecchiale infettiva — potrebbe dirsi regnata nella città di Girgenti.
Prima però di venire alla narrazione de’ sintomi che hanno accompagnato tal febbre tanto d’indole mite , come d’indole grave, e delle sue varie complicazioni, parmi indispensabile notare alcune riflessioni sulla costituzione atmosferica dell’anno scorso ultimo 1832 e principalmente della stagione autunnale, non che di alcune altre circostanze che hanno favorito lo sviluppo della malattia in quistione.
CAUSE.
Furono tali le vicissitudini dell’ atmosfera, e le dirotte piogge in quel tempo accompagnate da dense nebbie, non che l’alternativa di caldo umido, di caldo secco, di freddo umido, di freddo secco, che cagionarono in quel tempo uno sviluppo di miasmi, e di puzzolente lezzo al comparir che faceva qualche giorno di cocente sole, verità che molti autori hanno saggiamente notata,e molto più 1’ha considerato il celebre Riverio (De feb. pesi. lib. pag. 438. cap. I. Inaequalitates tcmporum /nem febrium causae esse cense& verunt, quando seilicet modo calor, modo frigus, modo siccitasi modo humiditas sibi invicern succedunt, vel frequenter reciteresti vel diutius durant.): essendo stato pria di tutto un tale sviluppo miasmafico favorito dalle cavallette che in gran copia tanto nei nostri dintorni, che nei paesi vicini depositando le uova, morie ne restarono, per come confermato ci viene dal celebre Latreille (Continuazione all’opera di Bultin v. 36 storia degr insetti fornig. 43 degli acridj pag. 45g. Alcuna volta tali insetti muojono sobittimente , cd i loro cadaveri ammonticchiati sulla terra producono malattie epidemiche nei paesi in cui hanno portato la carestia.).
Non può revocarsi in dubbio che la putrefazione di simili corpi renda 1′ aria guasta, e mofetica, e carica di miasmi deleterii , e che i poveri della nostra città ridotti alla miseri abbiano ricevuto dalla stessa la principale causa predisponente ad una tale epidemica malattia. Infatti saggiamente riflette Liberatore che hanno luogo allora le epidemie, quando maggiori sono le miserie mentre Riverio dimostra essere questa dopo della atmosferica costituzione la immediata causa delle febbri di tal tempra. (Luogo cit. pag. 440. ‘Secundum post aerem locum oblinent alimenta: quandoquident ex prava victus ratione contrahitur morbosus apparatus, qui est causa sine qua non, et efficiens interna febrium pestilentium malignarum: e più sotto “quando magna adest annonae charitas, et penuria, unde illud vulgare dictum pestis post famen)
Al principio poi della stagione vernale non vedendesi
nell’ atmosfera cambiamento, ed accresciutasi la carestia fu allora che molti poveri de’ paesi vicini piombarono in questo capo valle per accattarsi del pane, onde riparare alla fame che divoravali; ma pressati essendo da tanto bisogno dovettero darsi de’ giornalieri sussidii a tal classe d’indigenti, nè offrendo la nostra città luoghi comodi, e ventilati, bisognarono per molti giorni raccogliersi in locali non perfettamente adatti all’uopo; e quindi cotal circostanza dovette concorrere qual’una delle principali concause a favorire quel fomite , che in progresso si è sviluppato. Non posso poi passare sotto silenzio che le sepolture colle loro esalazioni hanno più d’ ogni altro renduta l’aria impura, e pregna di deleterii miami nocivi all’ economia vivente.
TEMPO DELLO SVILUPPO.
Fu qualch’uno è vero sin dal mese di dicembre scorso afflitto dalla malattia in parola, ma fu la stessa giudicata allora – febbre gastro mucosa, – febbre gastro nervosa larvata perniciosa – credendo che la malignità più o meno del morbo favorisse or un maggiore ; or un minore sviluppo di petecchie; ma l’aver messo a perfetto confronto i sintomi concomitanti della febbre, e l’averla veduta di molto accrescersi, tanto nel grado, che nel numero degli ammalati, e passare di famiglia in famiglia, di persona a persona, non ci fece dubitare appartenere alle febbri maligne petecchiali, complicata colla febbre della stagione, e dalla stessa favorita. Lo sviluppo della «menzionata malattia petecchiale fu nel principio notabile fra i poveri, e da questi trasmessa agli uomini cospicui della nostra patria. E chi oserebbe negare che molte rispettabili persone, vi perderono la vita ? mentre la morte non risparmiava le famiglie degli indigenti, ai quali furono abbreviati gli anni, perchè privi di sussidii, e medicamenti, ed abbandonati a discrezione del morbo.
SINTOMI DEL TIFO PETECCHIALE MITE.
La febbre petecchiale mite si è presentata generalmente nei primi giorni dell’invasione con lassezza, noja, peso alla testa, diminuzione di appetito, e nausea per le sostanze animali; elassi alcuni giorni in tale stato un senso di freddo alle ore pomeridiane invade per lo spesso gli ammalati or durevole, or passaggiero, i polsi divengono ristretti, quali di grado in grado si sviluppano a misura che la febbre si aumenta; cresce intanto la cefalea accompagnata da leggiero calore, poca sete, e qualche abbattimento, in alcuni mancano le evacuazioni alvine, e la pelle diviene secca, le orine sono sane o poco alterate, gli occhi lucidi , e leggermente injettati in alcuni, la faccia rossiccia, e le ale del naso livide, la bocca presenta un leggiero sapore amaro, e la lingua è coperta da una patina biancastra punteggiata di rosso; in altri un copioso sudore si conserva per il corso della febbre. S’inaspriscono i sintomi a misura che la stessa si sviluppa. La notte si accompagna una qualche iniquititudine, il sonno è turbato, ed in altri la veglia è ostinata, la mattina seguente rimette la febbre ed una qualche calma de’ sintomi si vede, ma nessun sudore: gli ammalati però sempre lagnansi di abbattimento di forze, e di qualche dolore aticolare.
In siffatto stato scorsi sono alquanti giorni della prima settimana, perdurando anche in alcuni per tre, quattro giorni quel senso di freddo all’ invasione, quando al quarto, o più tardi spunta una leggiera eruzione simile alla morsicatura delle pulci conosciuta sotto il nome di petecchie, si accresce intanto la febbre con qualche ansietà, la lingua diviene arida, e coperta da una patina giallo-biancastra con qualche ardore di fauci in alcuni, la sete si aumenta, e la cefalea è più intensa, la faccia si fa più colorita, e gli occhi più turgidi, cresce di calore, e la pelle diviene aspra, la vigilia più marcata, e più inquieta si passa la notte; in altri qualche sogno spaventevole interrompe quel poco sonno turbato, e qualche tintinnio alle orecchie ha luogo per lo spesso dal sesto al settimo giorno, tempo in cui il più delle volte termina la eruzione petecchiale.
Elassa la prima settimana in tali circostanze, cominciano i sintomi a divenir più gravi, come il delirio, il coma, leggieri tremori, o sussulti di tendini, la sete diminuisce, cresce l’abbattimento delle forze, la faccia si fa turgida, ed il peso alla testa è marcato, qualche meteorismo appare al nono, o decimo giorno della malattia, i polsi, divengono bassi, piccoli, o irregolari, alcune afte rivestono 1′ interno della bocca, la lingua e la gola negli ultimi giorni del male, ed un aumento amabile di tali fenomeni accompagna la malattia sino alla fine del secondo settenario, termine rimarchevole per lo più della febbre petecchiale, o con parotide critica, o con crisi, o metastasi, o colla morte, mentre anche in molti si è vista prolungare la malattia per tutto il terzo settenario.
SINTOMI DEL TIFO PETECCHIALE GRAVE
Al primo apparire di tal morbo si son veduti gli ammalali. assalire dall’ abbattimento e lassezza accompagnati alquanti giorni da nausea, peso alla testa, e dolori vaghi; ha luogo la febbre preceduta da orripilazione, e da brividi freddosi, sinternano li polsi e cresce 1′ abbattimento con forte celalalea, si sviluppa la febbre con siccità di bocca la quale è amara in alcuni, in altri saponacea, la lingua intanto è coperta da una patina gialla, qualche sete o nessuna, e la faccia presenta un colore rosso fosco, gli occhi sono turgidi, ed i vasellini sanguigni injettati, lucida è l’albuginea, i polsi si fanno più forti, e vibrati in alcuni, in altri depressi, ed irregolari; si risentono de’ dolori articolari che si aumentano col tatto, ma le orine sono nello stato naturale, o leggermente tinte di bile, facili però a corrompersi, mancano 1′ evacuazioni, e la pelle diviene secca ed aspra, il calore in alcuni è urente, in altri nello stato naturale, il sonno turbato, od una veglia ostinata affligge li poveri infermi; elassi li primi tre giorni si aumentano i cennati sintomi colla eruzione petecchiale di color livido, bluastro, o nero, la testa è pesante, ed il coma ha luogo, la cefalalgia si accresce, gli occhi son socchiusi, e leggieri vaniloquii vengono in campo, la lingua si ricopre di una patina fosca, o giallo-nerastra, arida, e secca in molti, che avrebbe potuto giustamente dirsi lingua bovina, si lagnano gli ammalati di un senso di dolore, o ardore alle fauci con qualche difficoltà all’inghiottire, cresce 1’abbattimento delle forze accompagnato da tremore, e sussulti tendinosi, da dolori vaghi al ventre, e meteorismo, mancano vieppiù 1’evacuazioni, e le orine divengono cariche, e corrotte presentando un odore sui generis, si aumenta di grado in grado la eruzione, la quale termina alla fine del primo stadio; quando al secondo settenario più perniciosi si fanno i descritti fenomeni , la lingua si ricopre di cancrenose afte, delle quali si riveste e la bocca e la gola., la faccia si fa turgida, e di color fosco nero, e gli occhi in molti perdono la loro lucidezza, si abbassano i polsi, e divengono intermittenti, ed irregolari, la pelle diventa marmorizzata, e bagnata alle volte da un solutivo sudore, s’infierisce il delirio, il quale in alcuni è taciturno, in altri sopraggiunge la iscuria vescicale, in molti una involontaria espulsione di materie alvine saburrali, puzzolentissime, e nere, la comparsa di una parotide sintomatica senza sollievo degli ammalati, e con inasprimento de’ cennati fenomeni, ciò che un cattivo augurio ci dinotava, le piaghe fatte dai vescicanti applicati s’illividiscono, la carpologia si avanza, un suono pettorale stertoroso li assale, ed il decubito mette nello stato di agonia gli ammalati; mentre la morte va a chiudere la scena a tal terribile treno di sintomi.
RIFLESSIONI SULLA SUA NATURA PRIMIGENIA, ED INFETTIVA.
A tale veridica enarrazione di fenomeni , che alla regnata febbre epidemica appartengono, non può revocarsi in dubbio, che una febbre d’ indole con maligna sia stata il tifo petecchiale, o febbre petecchiale da molti autori descritta. Riverio infatti ci fa conoscere che segno patognomico delle febbri maligna purpurate (così chiama le petecchiali) siano i carbonchi , e le parotidi (Loc. cit. pag. 45o. Quando in hisce febribus maligna, et venenat qualitas valde praedominatur, ut ad pestilentium proprie dictarum naturam accedant, plerumque fiunt carbunculi, et parotides.): così 1’essersi la petecchia sviluppata sempre nella prima settimana del male colli medesimi andamenti, mentre nessuno alleviamento ha recato agli infermi, come 1’aver veduto la petecchia in molte persone sviluppata, senza febbre, o la eruzione aver preceduto la febbre stessa, c’inducono a credere essere stata la scorsa e regnata epidemia pettecchiale di vera indole primigenia; ma questa materia poi vedesi esaurita dal celeberrimo Borsieri, il quale ad evidenza prova che esista la primaria febbre petecchiale, differente in tutto della sintomatica, venendo la stessa patognomonicamente caratterizzata dalli sintomi suoi propri, quali esistenti dimostrano il morbo in quistione, ancorchè accoppiata non vi sia la eruzione ( Bors. vol. IV, cap. 10 parag. 31: pag. 12 de morb. pet
Neque ex eo quod unus , vel alter peticulis careat, ut interdum, licet rarissime accidere non inficior, inferri continuo potest, peticulas quae in aliis apparuerunt , quia non omnibus fuerunt communes, symptomaticas reputandas esse. Nam in his etiam paucissimis, qui peticulis destituuntur, morbus eadem orinino symptomata vindicare cosuevit, quibus stipari solent peticulae, eidemque curationis metodo obtemperant; idque a Strachio video confirmatum. Ut enim febris variolosa, sive variolae sine variolis interdum clinicis se sistunt (come al p. 302. vol. Il) sic febrem petechialem sive peticulas sine peticulis existere posse, nequaquam absurdum putavimus… expiratione enim cutanea difflari potest miasma illud, quom sub epidermide retentum alias peticulartun formas induisset. Hinc fit ut peticulari morbo grassante febris quae peticulas proferebat interdum, ac presertim aestivo calore accedente infestare quidem pergat, sed sine peticulis, peticulas iterum ostensura frigore autumuali accedente. Id enim in costit. Petic, an. 1783. ut epist. altera Carol. Pinarol. mihi nuntiatum fuit )
Riverio per provare l’indole primaria di tal febbre ci fa riflettere che l’unico sintomo peculiare alla stessa appartenente sia la petecchia che appare in tutto il corpo e principalmente ai lombi, al petto, ed al dorso (Nel supplemento (Luogo cit.pag. 437. Et unicum Symptoma febri pestilenti proprium, et peculiare, quod in reliquis febribus non contigit. Maculae nimiirum purpuree; in toto corpore, ac praecipue lumbis, pectore, ac dorso apparentes morsibus pulicum plerumque similes, quae paticulae, seu petecchiae ab italis vulgo nominatur, et febres, hoc comitatae, Symptomate, purpuratae, seu petechiales appellantur. Neque enim in omnibus pestilentibus febribus hujusmodi maculati purpurae; sed quando apparent febris pestilentis judicium praebent certissimum).
poi all’opera di Sydenam si fa menzione delle febbri costituzionali epidemiche petecchiali regnate in Ungheria, e propriamente alla costituzione epidemica Semproniense dell’anno 1697, chiaramente leggesi essere stata la febbre petecchiale d’indole primaria, ed essersi sviluppata colli medesimi andamenti (Costitut. epid. sempr. 1697 supplem. ad Syden pag. 391.
Referam ex morbis, quos hoc anno perlustravi, solum praecipuos. Inceperunt petechiales more solito cum rigore, caloribus p. n. siti anxietate praecordiorum, quandoque vomitu, doloribus capitis, insueto artuum dolore sine causa manifesta cum insigni extremorum lassitudine, ut plurimum quarta , aliquando septima demum che macular effloruerunt petechiales, in quibusdam copiosiores, majoresque, in quibusdam mnores, ac pauciores.)
come quella molesta, e mortale epidemia regnata in Posonio nell’anno 1683; verità che notata ci viene in una epistola al luogo citato, e dal celebre D. Cavolo Federico Leow registrata, quale febbre petecchiale fu e primaria ed infettiva, non avendo risparmiato in quell’epoca nè piccoli, nè giovani, nè vecchi, come nè poveri, nè agiati, nè ricchi (Epist. Doct. Caroli. Feder. Loew de feb. petech. 1683. Posonii grassata suppl. ad Syd. pag. 389.
Morbus brevi invalescens, quam plurimos ex illis consumens, in malum tandem epidemicum degeneravit, et in incolas plerosque sine actatis discrimine , maxime vero in juvenes maturati aetatis robustae , homines non modo plebeos, verum etiam nobiles, et divites vehementer grassari coepit, ita ut ferme nullam domum intactam reliquerit…observavi malum hoc fuisse epidemicum nullumque aetatis habuisse discrimen; juvenes vero pauperosque frequentius invasisse, ac in domo contagium detulisse, ac substitisse donec in reliquos fere omnes saeviit.).
Il celeberrimo James poi ci fa riflettere che febbri vere petecchiali primarie esistono, essendo le medesime di vera indole maligna e contagiosa ((Jam. dition. lett. p. pag. 388.. Le febbri petecchiali vere sono molto maligne, e contagiose grandemente, nuocono estremamente al capo ed alle forze, accompagnate da macchie di vario colore, e cagionate da una corruzione di liquori vitali, seguita da una corruzione putrida, la quale le fa mortali.). Nè sotto silenzio posso io passare ciò che l’ immortale Offmanno ci annunzia sulla primigeneità della febbre petecchiale che caratterizzata viene dalli sintomi propri di tal febbre, e dallo stesso autore trascritti (Cap.II. parag. I. dc feb. petech. venia pag. 137. vol.4. p. I. Fcbres petechiales verae stunt valde malignae, et contasiosae capiti, et viribus, quam inaxime infestae cum varii coloris maculis junctae, et ortae a succorum vitalium corruptione, ac subsequate te putrida dissolutione, eaque propter lethales.).
Parmi adunque che dopo la lettura di tante autorità fondate sull’osservazione, ed esperienza, possiamo per fermo asderire che la febbre petecchiale di Girgenti sia stata di vera indole primaria, ed infettiva, ed analoga la stessa nel suo andamento e sintomi a quelle che descritte veggiamo da tanti illustri autori, come nella storia del male ho segnato; ma senza che più in questo esame mi trattenga passo a notare le sue varie complicazioni.
COMPLICAZIONE MUCCO-VERMINOSA.
Nella stagione vernale mentre col favore de’ venti che in tal tempo spirarono or un caldo umido, ed or un freddo umido, sviluppavasi accompagnato qualche volta da dense nebbie, fu la economia animale vessata dalla petecchiale complicata colla mucco-verminosa, essendo stata la stessa patagnomonicamente accusata da peso a’ lombi, dal dolore all’occipite dalla saponacea impaniatura della bocca, e da quella patina mocciosa della lingua puntegiata di rosso, da quel sapore che al dir degli ammalati lipposo si annunziava, dallo stridort de’ denti, e da qualche involontario movimento, dalla dilatazione della pupilla; e finalmente da quella lucidezza dell’ albugine in quale opinione ci ha confermato l’aver quasi gli ammalati tutti cacciato de’ vermini lumbrici, o per secesso, o per vomito
COMPLICAZIONE CATARRALE, REUMATICA murarmi.
Nella primavera poi, trovandosi in predominio i venti del Nord, i quali un freddo secco svilupparono, e questo accompagnato dalla caduta delle nevi, fu la malattia dominante favorita dalla catarrale, e dalla pleuritica: in fatti d’ogni altro accusavano gl’ infermi la tosse, la corizza, i dolori articolari, i dolori puntorii, mentre qualche rossezza si vedeva alle guance , ed il polso vibrato, e teso si trovava in alcuno in altri piccolo, e ristretto: ma non cessava però la petecchia di spuntare ne’ soliti giorni, quale era enunciata dalli medesimi sintomi di sopra notati.
COMPLICAZIONE BILIOSA.
Nell’està, tempo in cui la bile pel caldo secco si mette maggiormente in effervescenza, è stata la petecchiale favorita dalla complicazione biliosa; infatti sin dal principio del male aveano gli ammalati avversione al brodo delle sostanze animali con qualche tendenza per gli acidi, mentre udivansi lagnarsi gli stessi di quella lassezza summenzionata, e di fastidio al cibo, e di qualche arsura, o siccità di bocca; quando la febbre nelle ore pomeridiane invade preceduta da alternativa di caldo e freddo, e nel suo sviluppo il calore alla pelle è mordace, alcuni sono oppressi da una molesta sonnolenza sin dal principio del male, altri da una veglia ostinata, la lingua in tutti è coperta da una patina giallo-biancastra, e la bocca presenta un intenso sapore amaro; dolore accusano alla testa, e precipuamente alla fronte con qualche peso agli occhi, qualche volta vomizioni inani, e desiderio di bevande acidulate, in molti dolore al ventricolo che non cedeva nè ai diluenti, nè all’applicazione delle mignatte, in alcun’ altri qualche pienezza di ventre, qualche anzietà accompagnata da abbattimenti, mentre i polsi si osservavano poco più frequenti dello stato naturale. La eruzione petecchiale intanto non lascia di comparire nelli soliti giorni del primo settenario ad onta degli emetici, e purgatiti amministrati, o di una diarrea che in alcuni si è spontaneamente sviluppata.
COMPLICAZIONE COLLA STAZIONARIA INTERMITTENTE
Finalmente è da notare site qualche volta, oltre le cennate complicazioni si è associata alla dominante epidemia; ed in ogni stagione la stazionaria intermittente, come ho avuto occasione di osservare in moltissimi, mi è stata sempre di sommo ostacolo, per aver attraversato la cura , quantevolte si è sviluppata, ma che mercè l’ajuto dell’antiperiodico dato a, tempo opportuno (come dimostrerà nel piano curativo) ho avuto la fortuna di debellare.
Era una tal febbre spesse fiate enunciata da un senso di freddo marcato nelle ore pomeridiane, o passaggiero, e principalmente alla spina dorsale, era nell’ aumento della febbre notabile lo sviluppo de’ sintomi tutti , ma la mattina seguente una leggiera calma annunziava la remissione febbrile: il susseguente parossismo intanto corrispondente era al primo tanto nella invasione, quanto nell’intiero corso, come verificavasi in tutti i seguenti giorni, mentre la petecchia si affacciava a’ soliti giorni della eruzione; qualche volta però fu la intermittente d’indole perniciosa, avendo in molti sin dal principio suscitato o forti convulsioni, o delirio, o corna, o una specie di colera nella stagione estiva, come in altri una epilessia abituale predominante, ed in altri la convulsiva ipocondriaca, e1 in certuni finalmente la isterica perniciosa
CAUSE OCCASIONALI.
Ho di sopra menzionato, che le cause predisponenti, come le vicissitudini dell’atmosfera, la putrefazione de’ corpi la quale corrompe 1’aria caricandola di miasmi deleterii, e nocivi alla salute, il caldo umido, le nebbie, ed altre cose di simili abbiano recato una predisposizione alla economia vivente atta a contrarre a preferenza morbi d’indole epidemica, verità conosciuta dal celebre James( Luogo cit.
Le innodazioni frequenti continue contribuiscono anch’esse alla corruzione dell’aria e la dispongono a cagionare malattie putride. Io credo con Ippocrate, che si debba attribuire l’origine di queste contagiose febbri alla corruzione generale dell’aria, e soprattuto quando questa è umida piovosa, piena di nebbia1e soffia vento meridionale, caldo umido.); mentre il saggio Offmanno ha osservato che tali siano le principali cause delle malattie putride, ed esantematiche (Luogo cit. pag. 121.
Imprimis per multiplicem constat observationem diu perseverantem aeris australis humidi, calidi, nebulosi, et ventis ti, praesertim vere, et autunno statim accedentibus postea fredioribus septetutrionalibus ventis febres mali moris, pritridas exanthematicas afferre) ma non vedesi però da verun autore notato che siasi sviluppata malattia alcuna senza una previa causa occasionale. Ripeto io quest’ ultima principalmente da’ patemi d’animo deprimenti, quale causa comune è stata fra i nostri poveri, e la stessa cagionata dalla miseria che grandemente afflisseli nello scorso inverno, non che dal concorso de’ poveri in tal tempo avvenuto in questa, come di sopra ho segnato, dalla succidezza, e loro impura traspirazioni, dal convivere di essi a cagione di essersi loro somministrati de’ sussidii come saggiamente ha notato il Loew nella costituzione epidemica surriferita ((3) Luogo cit.
Tunc vero copiis militaribus hiberne dimissis, etiam per su mali seminis sparsa sunt. Milites enim quod gregatim in contuberniis arctius collocati erant, omnia squalore, tetra immundis et foedis odoribris compleverunt, ipsumque quasi aerem, inquinates catervatim , et quasi per manipulos in febrem petechiale malignam inciderunt.), e dalla frequente apertura delle sepolture, in qual tempo le malattie si accrebbero, e di numero, e d’ intensità di grado, facendo una maggiore strage nelle famiglie de’ poveri, per essere loro mancati i mezzi necessarii per rimedii, e sussidii, come si è dimostrato.
Si aumentò poi il morbo per il consorzio delle persone sane
coll’infette per trovarsi specialmente in quelli abituri ristretti, e non ventilati li quali impedivano la cotanto necessaria rinnovazione dell’ aria libera; fu indi il morbo da questi trasportato nelle case delle persone agiate; finalmente accrebbesi per quel timore che vi ebbe nell’ animo degli individui sani, perchè credevasi doversi dalli stessi immancabilmente contrarre il morbo; in fatti sentivansi d’ogni dove profferire quelle parole “cui nun ha avuta la malatia, l’avi ad aviri”.
Che una malattia d’ indole maligna come la febbre petecchiale ci abbia potuto indurre in prospero, e felice augurio , non poteva ciò sperarsi, nè dalla prattica medica, nè dal buon senso, e specialmente quando il tifo petecchiale trovavasi d’indole grave. Erano infatti d’ infausto evento le petecchie di color bluastro, nero, livido, fosco, ed in gran copia, ed Offmanno conosciuto avendo una tal malignità essere prodotta sì da un maggiore numero di petecchie, come dal colore testi: notato, percio ha giudicato sempre di esito infelice (Luogo cit. parafi. 5. cap. II. pag. 138.
Tantum hinc abest , ut maculae hae salutis spem faciant , ut potius quo copiosiores compareant eo majorem corruptionis gradum quin lividi, plumbei, et ex atro viridescentis coloris sphacelosam planè corruptionem arguant.), qual verità è stata anche dal celebre Borsieri osservata (Luogo cit. pag. 61. Lividae, plumbeae fuscae, nigrae, aut ex nigro viridescentes corruptionis, aut sphacelismi soepe signum praebent.). Così il meteorismo sviluppatosi nella prima settimana, o al principio della seconda, le afte sintomatiche, e di color nerastro , ed il singhiozzo, quantevolte sviluppavasi dietro la eruzione petecchiale, perchè induceva una irritazione al diaframma, od al ventricolo, come riflette il citato Borsieri (Luogo c.a. Singultus non qui eruptionem antecedit, aut a saburra aut ventriculi tantum inducitur, sed qui eruptionem subsequitur, atque a diaphragmatis vintriculique inflammatione, aut spasmo per virus peticulare exciiato detpendet, non modo cuicumque remedio obniti solet, verum plerumque vitam adimit.). Il prematuro delirio, la parotide ne’ giorni intercalari, la diarrea ne’ giorni non critici inducendo un maggiore abbattimento di forze, i movimenti automatici accompagnati da carpologia per come ne pensa l’immortale Ippocrate (Praenotiones pag. XVII.
De manuum vero mozione ita censeo in febribus acutis, aut capitis doloribus, quibus ante faciem feruntur, et aliquid frustra venantur, et festucas colligunt, aut floccos e vestibus avellunt, et ex pariete paleas carpunt, ex his omuibus malum, et mortem portendi) la iscuria vescicale la retro-pulsione delle petecchie, il decubito specialmente di livido colore. Ma al contrario di felice risultato sperimentati si sono la sordità alla seconda settimana, il color rosso delle petecchie, la diarrea, la parotide, i sudori sopravenuti ne’ giorni indici, o critici con sollievo degli ammalati, le evacuazioni regolari per il corso della malattia, il desiderio pel vino, il piacere di gustare qualche cibo, e la sveltezza delle idee, il sonno quieto, e tranquillo alla notte, la diminuzione del coma, del delirio, de’ movimenti automatici, e le adatte risposte alle dimande fatte.
PIANO CURATIVO.
Se, come si è detto, differente di natura, e di grado è stata la malattia, come accompagnata spesso da diversa complicazione , ognuno vede, che un metodo identico in tutti sia contro il buon senso, ed i precetti de’ grandi pratici; ed acconcio sembran di qui cadere quelle divine parole non omnibus morbis eadent remedia essendoci una tal verità confermata dal classico Riverio (Luogo cit. pag. 448.
Adde quod non una, et eadem semper sit veneni natura, sed pro varietate corporum admodum diversa, ita ut id quod uni profuerit alteri non ferat).
Il medico clinico ed osservatore deve sin dal principio del morbo mettere in confronto, ed in esatta analisi la natura, la indole, la disposizione individuale, la maniera di vivere degli ammalati, il sesso, l’età, il temperamento, le malattie precedute, o abituali, e le cause che ne hanno sviluppato il morbo, per posi dettagliare , e regolare un esatto metodo di cura in una malattia , che è stata sempre cotanto micidiale all’umanità. Infatti, come insegna il Gorter non può la febbre petecchiale curarsi o sempre coi rifrescanti, o cogli evacuanti, o cogli stimolanti (Praxis medic. system. lib. II. tit. 4 pag. 121 cap. 210. Curare hunc morbum facile haud est, nam l’istigando augetur, refrigerando repellitur, evacuando non aufertur. Igitur acidis, diaphoreticis, leniter adstrigentibus, et refrigerantibus est tractandus ut sistatur progressus putredinis): ma alle circostanze, e secondo i sintomi che predominano, bisogna adattare, ed indirizzare la medica indicazione, giacchè sarebbe miglior cosa nel caso opposto come osserva il divino Ippocrate lasciare alla natura 1′ impegno di spogliarsi di quella malattia, che 1’affligge anzichè adoprare quel mezzi adatti ad esterminarla (Ippoc. Naturam esse optimam morborum medicatricem per se doctam, quae congrua servat, et quae incongrua rejciat.).
CURA DEL TIFO PETECCHIALE MITE.
Il tifo petecchiale mite si è trattato sin dal suo nascere coll’uso di diluenti, e questi presi dalli acidi vegetabili, e quantevolte uno stato d’irritazione alle viscere addominali lo esigeva, si è passato all’applicazione d’alquante mignatte localmente sull’addome. Si è da me poi senza tanto indugio adoprato il tartaro stibiato per alimentare quella bile, che traboccata nel ventricolo, vieppiù fomentava l’irritazione sudetta , quasi sempre secondo me secondaria ; ed ho avuto il piacere di veder più volte coll’uso dell’emetico abbortirsi la detta febbre, oppure seguire un corso benigno, o mite, osservazione anche notata dal prelodato Borsieri (Luogo cit. Si morbus ex contagio ortus sit, quantocius venenatum miasma, quod salivali latici adhaesit, aut altius ad ventriculum penetravit, aut inspiratione in pulmones adductum est emetico medicamento expelli debet…Sic plerumque in ipso ortu incendium extinguitur. Emetico quoque opus est si ventriculum putrida saburra oppleat, aut biliosa colluvies duodenum, atque hepar inferciat.).
La pozione emetica a tal’uopo impiegata con profitto, è stata il tartrato di potassa antimoniato sciolto nell’acqua, e sciroppo di cicoria composto; si è poi nell’uso de’ diluenti insistito per alquanti giorni, e questi dalli acidi vegetabili come ho notato per quella loro azione rinfrescante antisettica, e neutralizzante la bile, a qual rimedio ho avuto molte volte il piacere di veder calmati e gli ardori, e le anzietà de’ poveri infermi.
Quante volte le evacuazioni sono state regolari, non ho ricorso ad alcun rimedio, ma nel caso opposto ho tratto qualche beneficio dalli clisteri animali con olio di ricino, o pure con qualche acino di tartaro emetico. Per riparare alla cefalea che intensa in alcuni è stata, l’unico efficace mezzo si è ricavato dalla scarificazione delle spalle per le coppette, in altri che a tal remedio hanno avuta opposizione delle mignatte applicate alla retromostoide.
Scorsa in tale trattamento per lo spesso la prima settimana, ed affacciatisi nella seconda alcuni sintomi nervosi, ho ricorso allora alli acidi minerali antisettici, ed agli nervini diffusivi, avendo con profitto adoprato a tale oggetto la tintura estesa di Glutton, il liquore anodino minerale di Offmanno, la ? di costoro allungate con dell’acqua aromatica, o semplice, col1′ applicazione de’ vescicanti ed alle gambe ed alle braccia, qualche volta secondo il bisogno alla nuca, come altresì dalle bagnature di acqua, ed aceto sulla fronte, e regione addominale a grato calore, mentre anche mi è in altri riuscito vantaggioso il bagno per aspersione delle stesse sostanze.
Quasi spesso nella stessa settimana ho dovuto ricorrere agli evacuanti tonici, ed antelmintici per riparare a quell’ arresto delle materie saburrali, e di vermini, come altresì a quel meteorite, in alcuni soppraggiunto , e dalli stessi materiali prodotto immenso è stato il profitto, che ho ricavato da’ rimedii a tal scopo impiegati, avendo fatto la miscela di reobarbaro, e jalappa d’ognuno mezza dramma, di aloe mezzo scropolo , di calomelzo grani cinque mescolati, e divisi in due pozioni, amministrandole coll’ intervallo d’una, o due ore l’una, dall’ altra, regolarmente poi la dose a seconda l’età; per via di qual rimedio quasi in tutti ho visto scaricarsi gli intestini di materie saburrali scibballose abbondanti, e di alquanti vermini lumbrici con massimo sollievo degli ammalati. Al decimo, o undecimo giorno della malattia somministrazione di qualche cucchiajo di vino linfato per sciaquare la bocca è alle volte bastato per astergere la lingua di quella impaniatura fosca, come da quelle afte che la rivestivano mentre in altri poi l’uso del vino ha calmato quell’ abbattimento sollevando le forze degl’ infermi come saggiamente ha osservato James (Diction. v. 9 pag. 391. Io posso anche affermare, che il vino, che si beve moderatamente nelli ultimi giorni delle febbri petecchiali dopo fatta la crisi oltrepassa tutti gli altri rimedi, perché ristabilisce le forze, ed agevola quella escrezione, che si fa per la pelle.). Il brodo di carne non si è mai negato nel corso della malattia, ma si è proibito ne’ primi giorni del male l’uso delle sostanze farinacee, avendo loro sostituito le vegetabili; nella seconda settimana al contrario qualche tisana, pane abbrustolito nel brodo di carne, o di qualche poco di pastina di buona semola scelta si è apprestata con sollievo; qual piano di cura è bastato per abbattere una malattia, che avrebbe potuto nel caso diverso recare qualche sinistro agli infermi.
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