
di Nino Agnello
RITORNO
La via
Casa romita in mezzo a la natia
campagna, aerea qui, su l’altipiano
d’azzurre argille, a cui sommesso invia
fervor di spume il mare aspro africano,
te sempre vedo, sempre da lontano,
se penso al punto in cui la vita mia
s’aprì piccola al mondo immenso e vano :
da qui — dico — da qui presi la via.
Da questo sentieruolo tra gli olivi,
di mentastro, di salvie profumato,
m’incamminai pe ‘l mondo, ignaro e franco.
E tanto e tanto, o fiorellini schivi
tra l’erma siepe, tanto ho camminato
per ricondurmi a voi, deluso e stanco.
LUIGI PIRANDELLO (da Zampogna, Roma, 1901)

Si avverte una insolita emozione nel tentativo di abbozzare un commento a questo notissimo sonetto di L. Pirandello, letto o recitato chi sa quante volte da famosi artisti in diverse ricorrenze, e da quanti concittadini sono appassionati lettori del Nostro e gelosi custodi di avite memorie. Ma quanti milioni di turisti e visitatori della casa natale del Caos hanno meditato su questo sonetto, sostando davanti alla stele eretta su quel piazzale, con la casa di fronte, il « mare africano » sullo sfondo e l’ampio vallone a destra riempito del canto di usignoli e di merli, e il pino solitario che veglia laggiù sulle ceneri affidate al « masso tigrato »!
Ma, a conforto dell’autore, la casa nel mezzo della « natia campagna » non è più « romita », se è frequente il pellegrinaggio al monumento nazionale da parte di scolaresche e di nutriti gruppi di visitatori e di studiosi. No, la casa se è solitaria non è più abbandonata, anche se non è mantenuta allo stato ottimale con immenso rammarico di quanti amano e studiano l’opera di Pirandello e tutti i cimeli legati alla sua vita.
Le argille sono le stesse, l’aspro mare africano continua a dare « spume » e infinite variazioni d’azzurro come un’eterna melodia variata in tutte le possibili modulazioni. Non mancano ulivi, mentastro e salvie profumate, né altri fiori. Manca solo, per legge di natura, la presenza reale dell’autore.
Ma quali lettori e studiosi e visitatori non hanno avuto l’impressione di vederselo balzare vivo dalla pietra o passeggiare lungo il « sentieruolo tra gli olivi » o affacciarsi sulla soglia della casa romita? Tutto quel luogo è pieno di Luigi Pirandello, tutto parla di lui, se il Caos ormai è lui, se dal Caos ha saputo trarre le leggi organizzative di un suo Cosmos, ricco e indefinibile, palpitante e balzante a tutto tondo.
Non credo che il Nostro oggi possa dirsi « deluso », a considerare la sua fama sempre crescente, la vastissima bibliografia critica, i teatri che lo rappresentano in tutte le stagioni, il cinema che si ispira alla sua opera, i convegni di studio e i tanti centri sorti in suo onore in diverse Nazioni.
Pirandello ha preso « la via » dal Caos per incamminarsi nel mondo, ma i suoi lettori oggi vengono da tutte le parti del mondo per tornare al suo « rifugio » e capirlo da qui, da questo angolo solitario. Così per qualsiasi amatore di Pirandello il Caos diventa punto di partenza e di ritorno, centro di un’ampia spirale che ci riporta tutti nel crogiuolo delle pene della vita, e di ogni filosofia che ha l’uomo a suo scopo col continuo martellare del pensiero.
Di questo « Ritorno » di Pirandello è decisamente più bella e più nota la prima parte, che ha per sottotitolo « La via »; la seconda parte « Rifugio » invece è meno nota. Questa è più analitica e più descrittiva, risente molto di Pascoli (come un po’ tutta la raccolta Zampogna, vedi anche l’articolo di Paolo Di Sacco Su Pirandello poeta della disarmonia in « Otto-Novecento » n. 4-6, sett.-dic. 1984), specie nella chiusa che ricorda il poemetto « Il libro » :
Leggevo. Ecco sul masso il libro aperto.
Il vento passa : sfoglia via di furia le pagine. L’ha letto… Vanità!
Di Pascoli ha anche l’andamento narrativo, le clausole ritmiche, le pause. Il termine finale però è troppo pirandelliano e, unitariamente, è anticipato dagli aggettivi « vano » e « deluso » rispettivamente del 7° e del 14° verso del sonetto della prima parte. E’ una nota pessimistica, già abbastanza pronunziata sin dal 1901 — data di pubblicazione della raccolta Zampogna a Roma presso la Società Editrice Dante Alighieri, oggi nel 6° volume mondadoriano di Saggi, Poesie e Scritti vari —, sia pure vissuta in una pausa di ripiegamento interiore a contatto col paesaggio, geografico e spirituale, della terra natia.
A più stretti ricordi personali, al passare del tempo, al mutamento delle presenze oggettuali ci riporta la seconda parte di « Ritorno » fin dal suo trepido attacco :
Il gelso? Non c’è più. C’è solo il masso tigrato, ov’io sedea, nascosto, all’ombra. .
E continua così fra numerosi interrogativi, evocazioni e descrizioni di una natura umile e comune, dietro il trepido incalzare del sentimento nostalgico di quel malinconico « ritorno ».
A proposito di questo masso tigrato, un appassionato custode di memorie agrigentine e pirandelliane agli amici più cari ama raccontare un gustoso aneddoto. Quando lo scultore Marino Mazzacurati, incaricato ufficialmente, in seguito a regolare concorso, di erigere il monumento per le ceneri di Pirandello, si aggirava per quei posti del Caos in cerca del famoso masso, questo noto cultore di cose nostre, presentatosi al Maestro, gli disse con la sua solita prontezza :
— Maestro, io so dove si può trovare un masso simile.
Mazzacurati restò stupito e sorpreso a queste parole, ma ancor più sorpreso e felice quando si vide indicata la collina di San Biagio, dove potè trovare quello che cercava per la soluzione del progetto.