PIETRO PAOLO BLASUCCI
RELAZIONE DELLE COSE ACCADUTE NELLA FONDAZIONE DELLA CASA DI GIRGENTI DE’ PADRI DEL SS.MO REDENTORE
INTRODUZIONE E NOTE DI SALVATORE GIAMMUSSO
Il documento, che narra la fondazione della prima casa della Congregazione in Sicilia nella città di Girgenti (I), si conserva nell’Archivio della Provincia Siciliana. Sono undici paginette di formato 2 I x rs cm, ingiallite dal tempo. La grafia è minuta, nitida, chiara, bella.
Il manoscritto è anonimo. Facilmente però se ne indovina l’autore:anche se la scrittura è del P . Vincenzo Giattini allora di comunità ad Agrigento, l’ anima del P. Pietro Paolo Blasucci vibra in ogni rigo. Si potrebbe fare la supposizione che il manoscritto giunto a noi sia una copia dell’originale, andato smarrito, e vergato di propria mano del P . Blasucci.
Al tempo della stesura del documento (1787) il P. Blasucci era l’unico dei Padri venuti in Sicilia con la prima spedizione, e quindi il solo in grado di sapere e di conoscere fin dall’inizio gli avvenimenti, dei quali per la sua posizione di primo piano poteva ripetere il verso virgiliano 11 quorum pars magna fui 11. I ricordi affiorano alla mente, dopo tanti anni, freschi e spontanei anche nei minimi particolari. Non accenni vaghi dai contorni indecisi,
ma notizie di uomini e di cose circostanziate e dettagliate come ce li può dare chi è presente, vive ed è in gran parte protagonista di ciò che racconta.
Anche dietro la narrazione impersonale fa capolino lo spunto autobiografico, come quando al n. 6 si parla della malattia del Superiore della Missione ch’era lo stesso P. Blasucci. Non è azzardata l’ipotesi ch’egli si sia servito, compilando il documento, di appunti ch’era andato a mano a mano annotando. Comune era allora nei nostri Padri l’uso di tali quadernetti, alcuni dei quali si conservano nell’Archivio generalizio.
Se confrontiamo la Relazione con l’Orazione recitata dal P. Blasucci nella Cattedrale di Agrigento per i funerali di S. Alfonso (2), subito ci accorgiamo dell’unità di concezione; la prima è detta << epitome istorica della fondazione della casa di Girgenti 11 (3), la seconda <l’ epitome istorica della
santa vita di Monsignor D. Alfonso Maria de’ Liguori >> (4). Identica nella sostanza e nelle parole è anche la chiusa: l’affetto, la stima e l’amore degli Agrigentini per i Missionari; e l’amore e la tenerezza di S. Alfonso per Agrigento e la nostra casa ivi fondata .
Fu composta nel 1787 dopo la morte del Fondatore; e a precisare meglio il tempo, forse bisogna collocarne la stesura . alla fine dell’anno. Scrive il P. Blasucci in una lettera da Agrigento del 19 ottobre 1787, quasi con certezza indirizzata al P. Tannoia : ” La storia di questa casa di Girgentisarebbe lunga e dovrebbe registrarsi, ma stiamo per uscire alla Missione (5).
Allude alla Missione di Montaperto, frazione di Agrigento, tenuta nel successivo mese di novembre (6). Al ritorno dalla Missione, in dicembre, si dedicò alla compilazione del documento con calma e tranquillità.
Difatti la Relazione non è buttata giù alla men peggio; ma è ponderata nell’esposizione sintetica che abbraccia un periodo di 26 anni, ordinata nella divisione dei 13 paragrafi, e corretta nella dicitura. Il che importa un lavoro non indifferente e una certa libertà da pressanti occupazioni.
Anche a volerlo, prima di uscire in Missione gli sarebbe riuscito difficile avere il tempo disponibile. Dalla seconda metà di agosto, probabilmente verso il ::w, data in cui sarà pervenuto ad Agrigento l’annunzio della beata morte del Fondatore, sino ai primi di ottobre, amiamo immaginarlo P. Blasucci a 58 anni, nella piena maturità di giudizio, chiuso nella stanza del terzo piano degli Oblati e curvo sulle veramente << sudate carte > per <quel torrido sole mezzo africano, tutto intento e ingolfato a comporre l’Orazione funebre che poi recitò il 5 ottobre in Cattedrale. Non avrà avuto un solo minuzzolo di tempo libero: giorno e notte, come suoi dirsi, sempre sull’Orazione: cosl lunga, così magistrale, cosi ricca di citazioni non comuni, come non comune era il personaggio che doveva celebrare.
Per il P. Blasucci l’Orazione voleva essere il monumento ch’egli innalzava al Padre in terra agrigentina, l’esplosione di tutto il suo cuore, il u segno di gratitudine alla sua paterna benevolenza >> (7). La composizione gli avrà assorbito tutto il tempo. Soltanto in dicembre, al termine della Missione di Montaperto, poté dedicarsi alla stesura della Relazione .
La quale potremmo definirla un inno alla divina Provvidenza. Tanto frequente è l’accenno che ne fa il P . Blasucci che afferma categoricamente:.-La bontà di Dio colla sua specialissima protezione ha mostrato la sua volontà di stabilire nella Sicilia la Congregazione del SS.mo Redentore ad onta di tutte le umane e diaboliche persecuzioni , (8).
E l’affermazione in bocca del P. Blasucci acquista un valore di cosciente e profonda convinzione, mentre sappiamo ch’egli non era facile agli entusiasmi e a vedere l’intervento soprannaturale nei fatti ordinari della vita quotidiana. A S. Alfonso che in una lettera gli chiedeva se nelle Missioni della Sicilia fossero accaduti degli avvenimenti eccezionali, egli rispondeva con un fare sbarazzino: << Io non mi ricordo fatto alcuno strepitoso accaduto nelle Missioni, degno di essere scritto come prodigioso. Poi sono troppo filosofo per attribuire all’ordine della provvidenza straordinaria ciò che facilmente posso metterlo nell’ordine
dell’ordinaria. Successe in Bivona la morte di un Sacerdote pubblico scandaloso, pochi giorni dopo la Missione nostra senza grande speranza di salute, il quale avea disprezzata la Missione e gli esercizi e pianse amaramente per aver perduta la sua amica, che ne fu mandata nella Missione. Io dico – çhe morì, perché allora avea da morire; altri attribuiscono a castigo la sua morte. Deus scit, e cosi di simil fatti > (9) .
Negli avvenimenti che accompagnano invece la fondazione della casa di Agrigento, il P. Blasucci vede in maniera chiara e << palese la mano di Dio direttrice dei suoi eletti ». Sempre: anche quando nella caduta del P. Caputo sopra d’un ponte pericoloso, il piede del cavallo s’incaglia nella fessura delle tavole sconnesse, e così il povero Padre si salva da sicura morte.
- Il Vescovo di Girgenti Mons. Lucchesi Palli de’ Principi di Campofranco (n) pieno di zelo di provvedere la Sua diocesi di Operarj Evangelici, appen’eletto a quel vescovato e consacrato ju Roma, voll’abboccarsi col P. D. Alfonso diLiguod. Rett. Magg. della Congr.ne del SS.mo Redentore, poi Vescovo di S. Agata de Goti . Egli richiese quattro de’ suoi Missionarj per coltivare la, sua diocesi abbondante dj uomini dotti, ma scarsa di preti operarj, promettendo gli non solo di provvedergli a sua spesa degli alimenti necessarj, ma di situar li eziandio in un suo Episcopio, che designava fabbricare ( 14). Ritirato alla sua residenza non cessò per parecchi anni di scrivergli, di premurarlo, e di applettarlo con replicate lettere ad effettuare la sua promessa di presto· mandargli i quattro soggetti che stimava necessarj alla cultura spirituale della sua diocesi ( rs). .
- Stimolato D. Alfonso delle continue premurose istanze di quel zelante Prelato si risolse :finalmente di appagare le sue sante brame, e scelse per Superiore di quella Missione Siciliana il Sac. D. Pietro Paolo Blasucci, e per compagni i Padri D. Bernardo M. Apice, D. Domenico Caputo, e il P. Perrotta . L’anno 1761 a 19 settembre fecero mossa i medesimi da Nocera de” Pagani per Napoli, ove doveano imbarcarsi pella volta di Palermo …. Giunti tutti e quattro in Napoli cadde gravemente infermo il P . Apice, e fu obbligato ritornarsene dentro un carrozzino a Nocera,. non trovandosi più in istato di proseguire il viaggio per la Sicilia . In suo luogo fu sostituito dal P. Rett. Magg. un altro soggetto, che per accidente capitò da S. Angelo a Cupolo a Napoli, chiamato D. Francesco Pentimalli Calabrese (r7). Ma il casuale presso gli uomini è nell’eterna divina Provvidenza un eterno disegno. Il progresso di questa istoria farà palese la mano di Dio direttrice de’ suoi eletti, e le sue ammirabili disposizioni. S’imbarcarono gli anzidetti nel porto di Napoli (r8) sul principio d’ottobre ’61 ; ma un vento contrario gli respinse or all’isola di Procida, or ai porto di Baja vicino Pozzuoli impedendo loro per rs giorni in circa la navigazione per Palermo, e obbligandoli a ritornarsene a Napoli ove allora ritrova vasi il P. D. Alfonso, che accortosi dell’infelice navigazione piangea con tenerezza di padre il pericolo in cui per suo comando trovavansi i suoi figli (::w).
- Il menzionato D. Francesco Pentimalli, il più grande di età degli altri compagni della Missione ciò è d’anni 48, (quando il Superiore correa l’anno 33, gli altri due i 30) atterrito dai pericoli sofferti del mare, pregò genuflesso il P. Rett. Magg. di accordargli di andare non più per mare, ma per terra sino a Messina, viaggiando per la Calabria a cavallo. Ottenuta la permissione, s’intraprese da tutti il camino per terra che non fu men disastroso di quello di mare. Il cavalcare per sette giornate continue sopra vetture più da soma, che da sella, le pioggie, le strade malaggevoli, i pessimi alberghi, il dormire più volte sopra le tavole, e la nuda terra, i pericoli, e le cadute resero quel viaggio tanto più accetto a Dio, quanto i Missionari soffrivano gl’incomodi con più pazienza, ed ilarità di spirito (22). Accadde in questo viaggio, che giunti verso le ore 22 circa in un paese, e negato da certi Religiosi l’alloggio per una· sera nel lor Convento, furono costretti i Missionari di procurarselo fra i paesani (23). Tra il cennato Convento, e il paese vi era un gran fiume, e sopra il fiume un ponte di legno lungo, e alto, ma piano e senza spalliera, o riparo, e mezzo fracido. Per andar dunque dal Convento al paese dovette passarsi quel ponte. Il P. D. Domenico Caputo passò il primo a cavallo, perché avea piovuto le tavole del ponte erano fatte lubriche e sdrucciolevoli. Cadde il cavallo in mezzo del ponte, in qualunque modo si fusse da se alzato, sarebbe certamente di quà o di là precipitato nel fiume .insieme col P. Missionario. Ma la divina Provvidenza volle che il piede del cavallo restasse non si sa come carcerato dentro la fissura di due tavole, sicché non potendo muoversi diede tutto l’agio al povero sacerdote di smontar di cavallo, e uscirsene di quell’evidente pericolo (24).
- Si conteggiò due sole giornate con una barca falcata per le spiagge di Calabria, e si giunse felicemente alla città dj Tropeja i due novembre 1761 (25). lvi si seppe ch’era impedito l’approdare a Messina, perché ivi si era posto il cordone per sospetto di peste a cagione di un legno levantino ivi approdato con patente falsa, e poi fuggito segretamente da quel porto (26). In quell’ imbarazzo si risolse di andare a S. Eufemia di Sinopoli, patria del riferito D. Francesco Pentimalli, dove si fermò sino che terminasse la quarantena del cordone. In S. Eufemia si ammalò D. Francesco, e dopo cinque giorni se ne passò all’eternità con fama e segni di santità (27). Volle Dio impedire il viaggio di mare, far intrapren dere quello di terra, costringere i Missionari pell’impedimento di Messina alla volta di S. Eufemia, far jnfermare, e morire da santo il Pentimalli, per risarcirgli l’onore che 12 anni prima di ritirarsi in Congregazione avevangli oscurato con nera calunnia alcuni paesani invidiosi del suo buon nome, j quali furono da Dio esemplarmente castigati, ed egli dal suo Vescovo dichiarato innocente, come al P. Blasucci attestò dopo la morte del Pentimalli un buon sacerdote, ch’era stato suo confessore prima dj ritirarsi in Congregazione (28).
- Da S. Eufemia partirono i tre Missionarj superstiti per Messina verso i principj dj dicembre (29). Da Messina a Catania (30) cadde il cavallo del P. Caputo gli storpiò un piede, e stiede zoppo molti mesi. Finalmente si arrivò a Girgenti agli 11 dicembre del suddetto anno 1761 (31). Il Vescovo Lucchesi con tutta la carità gli fece situare nella Casa detta degli Oblati (3 2), e pochi giorni dopo gl’impiegò negli Esercizi spirituali del Seminario, e sul principio di gennaio ’62 nella pubblica Missione (33) della Cattedrale, e dì altre Chiese della Città e della Marina (34) sino a Pasqua; dopo Pasqua gl’inviò a due Missioni della diocesi, ciò è a Campofranco (35), e Casteltermine, avendo il Rett. Magg. a cui era molto a cuore la Missione di Sicilia, e non cessava colle sue lettere, savje direzioni, e consigli di confortare e animare gli Operarj (36), mandato in ajuto de primi tre due altri buòni soggetti nel febr. ’62, ciò è il P. Apice, e .il P. de Jacobis (37),. che per alcuni anni si trattennero in Girgenti, ciò è per sei anni circa (38).
- Varj sono gli accidenti sinistri accaduti nel corso di anni 26, che conta la fondazione della Casa di Girgenti dal fine dell’anno 1761 sin’oggi 1787, in cui la bontà di Dio colla sua specialissima protezione ha mostrato la sua volontà di stabilire nella Sicilia la Congr. del SS.mo Red. ad onta di tutte le umane e dia boliche persecuzioni. Nel mese di sett. ’62 cadde infermo il Superiore della Missione in Girgenti, e colle frequenti recidive contrasse un’ostruzione universale e febbre continua per lo corso di otto mesi che lo ridusse a grado di etisia con pericolo della vita. Fu costretto di ritornare a Napoli per la mutazione dell’aria dove Dio gli restituì la sanità, e poté ripigliare il corso delle Missioni. In questo tempo della sua malattia, e propriamente a 3 novembre ’62, giorno dedicato a S. Libertino primo Vescovo e Martire di Girgenti (39), Mons. Lucchesi ultimò colla sua firma il contratto stipulato tra lui, e j Padri Missionarj circa l’assegnamento de’ loro annuali alimenti di onze 100 (40) ‘Coll’obbligo di fare a proprie spese le Missioni nella sua diocesi secondo il proprio Istituto (4r). L’interesse di alcuni della sua Corte avea frastornata la mente del Vescovo dalle sue compromissioni fatte al Rett. Magg. per lettere (42), e passò pericolo di sconcertarsi del sistema della .. Missione, se Dio col suo lume non l’avesse finalmente concertato.
- – Nel 1768 successe nel mese di ottobre la morte di Mons. Lucchesi, e principiò l’epoca della persecuzione dell’Opera della Missione di Girgenti, che continuò per anni dieci ciò è dall’anno 1769 per tutto il 1779 (43). Il motivo si fu la pretensione del Principe di Campofranco che come parente del Vescovo defunto volea dal medesimo donate ai Deputati delle Opere pie di Mons. Gioeni, coll’obbligo di essi somministrarle ogn’anno in alimento de’ Padri Missionarj. Adduceva per ragioni:
- che il capitale delle once cento del Vescovo era pervenuto dall’eredità del Generai Lucchesi suo zio, e non dai frutti del Vescovato, il che era falsissimo;
- che i Padri Missionarj non potevano acquistare. Ma l’acquisto era de’ Canonici Deputati, non de’ Missionarj che eran meri alimentarj;
- che la sostituzione fatta da Lucchesi in mancanza de’ Missionarj a favore di dieci donzelle civili e povere di Girgenti da educarsi nella Badia di S. Vincenzo, pella legge dell’amortizazione era annullata; sicché toccavano a lui com’erede ab intestato le dette onze 100 annuali. Cercò pertanto di far valere queste sue ragioni presso il Tribunale della Giunta Gesuitica così in Palermo, come in Napoli.
- La sua prepotenza presso i ministri di quella Giunta Economica, tutti mal prevenuti contro l’Opera delle Missioni fondata da Lucchesi; l’indole del Marchese Tanucci (44), e del Sig. Targianni (45) non favorevole alle opere ecclesiastiche, e tutte insomma le circostanze minacciavano la ruina dell’Opera. Le annualità frattanto erano sequestrate. I Missionarj faticavano al solito scarsi d’alimenti. Persone obbligate a sostenergli operavano freddamente. I Missionarj non avevano diritto di agire, perché meri alimentarj. Uscivano consulte e dispacci da Palermo, e da Napoli, sempre svantaggiosi a Missionarj. La sola confidenza in Dio e nella sua ammirabile provvidenza era tutto l’appoggio e la consolazione de poveri Missionarj. In fatti nell’anno 1779 Sua Maestà {Che D. G.) per altri suoi motivi abolì la Giunta Gesuitica di Palermo ove la causa era malamente incaminata, e ordinò che quelle cause che non appartenevano all’interesse regale fossero rimesse al tribunale competente. Perciò la causa della protezione di Campofranco fu rimessa alla Gran Corte, dove non avendo gli avvocati del pretendente ragioni da esperire abbandonarono la sudetta causa, ed il giudice ordinò il dissequestro delle onze 100 a favore de’ Missionarj secondo la mente del Re, espressa nel dispaccio del 1774 che voleva che il Vescovo Mons. · Lanza (46) somministrasse loro gli alimenti dello stesso modo che coi medesimi praticato avea il defonto Mons. Lucchesi. Dio solo seppe trovar il modo di sciogliere questo nodo gordiano da sé insolubile .
- Nell’anno 1772, in cui era Vescovo di Girgenti il riferito Mons. Lanza, si aggiunse contro i Missionarj di Girgenti alla persecuzione del Principe dj Campofranco quella di un Prete Giansenista (47) che in Palermo ed in Napoli fece del gran rumore. L’occasione di questa turbolenza fu l’aver il Vescovo licenziato dal Seminario quel Prete come seminatore di dottrina dalla Chiesa condannata colla bolla Unigenitus. Fu attribuito il passo del Vescovo al consiglio del P. Blasucci che allora trovavasi. confessore, e teologo di quel santo Prelato (48). Perciò il Quesnellista audace commosse contro i Missionarj di Mons. di Liguori i primarj di Girgenti che lo garentivario ad onta del Vescovo, i personaggi più cospicui di Palermo ed i Tribunali Supremi, esponendo fole ideate, e non le pessime proposizioni usciteli dj bocca, e denunciate al Vescovo da lettori e maestri del Seminario, le quali portate al Tribunale del S. Officio furono alcune di esse notate di eresia. In odio del Vescovo avvanzò contro i suoi Missionarj due accuse presso la Giunta Gesuitica di Palermo, in cui il Sig. Targianni lo patrocinava. La prima malmenava la dottrina probabilistica di Mons. Liguori (49), la seconda che senza il beneplacito regale eransi fondati in Girgenti . Mons. Lanza di s.mem. fece tutti i suoi sforzi in Palermo e in Napoli a favore de’ Missionarj, né risparmiò spesa per ottenere da S.M. il suo beneplacito per richiamare i Missionarj di Mons. Liguori alla cultura della sua diocesi, come avea fatto il suo predecessore (sr). Felicemente l’ottenne l’anno 1774 coll’efficace mediazione del Principe di Trabia, suo fratello, ch’era ben visto dal Sig. D. Carlo de Marco. Sicché dopo tre anni di fiera tempesta, che la voce di G.C. onnipotente quietò tranquillamente, i Missionarj si ristabilirono in Girgenti l’anno 1775 quando successe la morte del Vescovo Lanza (52) il Giansenista desistè dal suo impegno, e a Missionarj ricuperarono la pace.
- In questo corso di tribolazioni, e persecuzioni, di timori, e angustie accadde che uno de’ Missionari, chiamato il P. D. Biaggio Garzia Siciliano (53), avendo ordinato ad una buona serva di Dio sua parente e penitente che nella S. Comunione avesse raccomandata a Dio la nostra Congregazione senza spiegarle cosa in particolare, Ella lo fece, e mentre orava Dio fecele vedere in visione una colonnetta eretta in piedi senza piedistallo, che pareva ad ogni soffio voler cadere, e insieme un grand’incendio, che attaccatosi a tutte le case della Congregazione pareva volerle incenerire senza alcun riparo. Atterrita ella a questa visione, le fu detto, che la colonnetta pensile era la Casa de’ Missionarj di Girgenti, ch’era suo pensiero il farle il piedistallo; che il fuoco, che minacciava rovina alle case della Congregazione significava l’imminente tempesta che loro sovrastava; ma vide a poco a poco estinguersi l’incendio, e restar salva tutta la Congregazione (54). La visione sudetta si è avverata intieramente. L’anno 1779 cessarono come si è detto la lite e tutte le persecuzioni contro la Casa di Girgenti (55). Nell’anno 1780 cominciò il fuoco della discordia tra le Case di Napoli e quelle dello Stato (56), che a poco a poco si va smorzando e la fondazione di Sciacca (57) stabilita in quest’anno 1787 con due approvazioni regali, e con tutta la pubblica autorità vescovile, e viceregia, è appunto il piedistallo della Fondazione di Girgenti, e della Cong.ne del SS.mo Redentore in Sicilia. << Benedictus Deus>>, scrisse Mons. Liguori, << qui fecit mirabilia magna solus (58). – La Missione di Girgenti nel corso di 26 anni è stata diretta, e regolata negli esercizi esteriori da tre Vescovi, e da due Vicarj Capitolari, ciò è dal Vescovo Lucchesi, fondatore, per il corso di anni sette; dal Vescovo Lanza, specialissimo protettore, per lo spazio di anni cinque circa, quanto appunto visse nel suo vescovato; e dall’Eminentissimo Cardinale Colonna-Branciforte (59), che fu Vescovo di Girgenti per lo corso di annj undici, il quale somministrò ai Missionarj per anni tre onze 100 l’anno per compenso degli alimenti lasciati da Lucchesi e sequestrati ad istanza del Principe di Campofranco come sopra si è detto, e per altri tre o quattr’anni ultimi di sua vita aggiunse loro in sussidio de’ scarsi alimenti altre onze 10 di legati di Missioni degli aboliti che S.M. lasciò a disposizione del Vescovo di Girgenti come spettanti alla sua diocesi. Tutti quèsti tre Vescovi riguardarono i Missionarj con affetto e stima speciale. I due Vicarj Capitolari in sede vacante, l’uno fu per un anno, e mesi il Rev.mo Can.co Fasulo uomo santo, e dotto,che amò con tenerezza i Missionarj; l’altro l’Ill.mo e Rev.mo Mons. D. Domenico Spoto che fu Vie. Cap. la prima volta dopo la morte di Mons. Lanza, e l’è presentemente la seconda volta dopo la morte del Vescovo Card. Branciforte. Il Sig. Ciantro è stato promòtore dell’Opera della Missione in tempo di Lucchesi, difensore, protettore, amico, e Padre de’ Missionarj, ed in questo suo secondo Vicariato anche fondatore di una nuova casa della Cong.ne del SS. Red. nella Città di Sciacca coll’assegnamento perpetuo delle sopracennate onze 10 Legati di Missioni come sopra. In contrasegno di animo grato a suoi beneficj si è fatt’in questo epitome istorico della fondazione della Casa di Girgenti lodevole mensione di tal personaggio come specialissimo benefattore a futura eterna memoria. Il Sig. Iddio glie lo rinumeri spiritualmente colla pienezza delle sue misericordie ( 6o).
- – La Città, e Diocesi dj Girgenti per tutto il corso di 26 anni ha mostrato tutta la stima, la venerazione, il gradimento, ed un’ottima opinione così de’ suoi Missionarj del SS.mo Redentore, come delle loro fatiche apostoliche indefesse e Missioni; ed in tutte le occasioni propensi a favorirli, e proteggerli nelle occorrenze (61). I Missionarj dal canto loro han vissuto pella Dio grazia finora. con tutta l’esemplarità ed edificazione apostolica, con totale disinteresse, e integrità di costumi; vivendo ne’ mesi di està nella lor casa nel silenzio, nel ritiro, e solitudine, e ne santi esercizj spirituali, e nell’osservanza esatta della lor regola (62); e faticando, a pro delle anime colle prediche ne sabbati, e nelle domeniche, e in varie Novene, e Ottavario del SS. Sagramento, e coll’assiduità al confessionale, ed altre opere di carità (63); e travagljando per sette mesi continui dell’anno colle Sante Missioni per varj paesi della diocesi designati dal Vescovo, dove si danno gli esercizj spirituali per otto giorni e preti e galantuomini, agli artisti, a borgesi e altri uomini di città divisamente, oltre agli esercizj pubblici alle donne, e agli uomini di campagna a quali si fanno due Catechismi, e due meditazioni ogni giorno da due Missionarj destinati dal Superiore(64). I Padri Missionarj che restano in casa almeno due attendono a dar gli Esercizj agli Ordinandi, e nella quaresima a varj ceti di persone, e a coltivare la gente della Città colle prediche e confessioni anche agli infermi, quando sono chiamati. Con questo tenor di vita hanno sempre vissuti nel corso di 26 anni, e Dio ha sparso per tutta la Sicilia il buon odore della lor fama di modo che sono ricercati da tutte le Diocesi di Palermo, di Messina, di Catania, di Siracusa, di Mazzara, e di Cefalù che più e più volte hanno fatta premura al Vescovo di Girgenti, e al Superiore della Missione di averne almeno qualche coppia de’ Missionarj del SS.mo Redentore per profitto delle loro diocesi, ma rare volte compiaciuti, stante il poco numero di detti operarj, e la vastità della Diocesi di Girgenti popolata di 64 Città e Terre, la maggior parte popolatissime.
- Le Missioni hanno apportato a questa diocesi frutti copiosi di celesti benedizioni a vantaggio universale. Quante Badie di Monache per opera de’ Missionarj riformate, istruite, ed jri. Esse sedati i tumulti, e i sconcerti! quanti ecclesiastjci traviati per mezzo de’ santi Esercizj richiamati da Dio al buon sentiero! Quanti peccatori dj ogni ceto, e condizione mediante le Missioni, e le confessioni generali posti nella strada della salute! quante anime carnali hanno abbracciato un tenor di vita spirituale ! quante liti troncate, e amichevolmente composte ! quanti odj sbarbicati, famiglie rappacificate, restituzioni fatte di roba e di onore! Centinaia di anime santificate da Dio colle Missioni, e poco dopo le Missioni passate all’eternità nel fervore di spirito con somma serenità di coscienza si credono piamente negli eterni riposi. L’esercizio dell’orazione, la visita a Gesù Sacramentato (65), la divozione a Maria SS.ma, le massime del Vangelo sempremai inculcate, la carità fraterna, le verità della nostra S. Religione, i proprj doveri a cjascuno spesso ricordati, con efficacia insinuati, e caldamente raccomandati in tutte le Missioni ed Esercizj ritirati, hanno notabilmente migliorata nel corso d’anni 26 questa vigna del Signore. Il nostro Mons. Liguori informato sovente in sua vita del gran bene che in questa diocesi facevasi a gloria di Dio, e a profitto delle anime colle sante Missioni de’ suoi alunni, ha sempre sostenuta quest’opera contro il sentimento de’ nostri che volevano avesse richiamati dalla Sicilia i suoi Missionarj, l’ha protetta, agevolata, diretta, e teneramente amata, perché il santo uomo era pieno dello Spirito di Dio, e confidava, che « qui coepit opus bonum, ipse perficiet ». Quest’opera perciò si deve tutta a Dio, e alla fede, confidenza, .e fermezza d’animo in tante vicende del magnanimo Mons. Liguori (66).
- Finalmente si avverte che di tutti i Missionarj mandati da Napoli da Mons. Liguori, i più costanti sono stati per misericordia di Dio, il P. D. Pietro Paolo Blasucci, D. Giuseppe de Cunctis (67), e D. Pasquale Giuliano (68). Gli altri perdettero la vocazione, eccetto alcuni defonti nella Congregazione (69).