A Santo Stefano di Quisquina, paese montano dell’agrigentino di cinquemila anime, il silenzio della placida sera del 16 maggio 1911 è improvvisamente rotto dall’esplosione di due fucilate. Il maestro elementare del paese, Lorenzo Panepinto, di 46 anni, cadeva davanti la chiesa madre e a poca distanza da lui restarono feriti due suoi amici con i quali stava serenamente conversando e passeggiando, dopo essere stato alla sede della Lega dei contadini che dirigeva. Due colpi erano bastati per fermare il cuore del più importante difensore dei diritti dei lavoratori di quel povero paese. Il giorno dopo, quando velocemente la notizia si diffuse, i negozi, le botteghe i circoli rimasero chiusi in segno di lutto. Si radunarono ben 4000 cittadini nella piazza dove era morto reclamando giustizia e che si facesse subito luce su quel delitto efferato. Venne inviata a Santo Stefano la fanteria perché si temevano disordini. Il corpo di Panepinto venne portato nella sede della Lega e avvolto con una bandiera rossa.
Aveva così cessato di parlare per sempre il protagonista di tante battaglie, una speranza e simbolo vivente di lotta per la giustizia per migliaia di poveri lavoratori del Sud. Quel brutale assassinio apparve infatti immediatamente chiaro per quello che intendeva rappresentare: non un caso anonimo di vendetta individuale ma un lucido disegno di azzerare le trasformazioni messe in atto dall’impegno di panepinto. Si intendeva con quei colpi di lupara distruggere la rete di cooperative e di istituzioni periferiche su cui si andava costruendo la piattaforma riformatrice del socialismo isolano così come l’aveva concepita Lorenzo Panepinto.
Era nato il 4 gennaio del 1863 a santo Stefano di Quisquina. Brillante negli studi fin da fanciullo, aveva ottenuto la licenza ginnasiale e prese l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari. Nel 1895 entrò nel consiglio comunale del suo paese ma nel 1890 e tornò all’insegnamento alla scuola elementare e alla pittura sua giovanile passione. Un anno dopo si sposò e si trasferì a Napoli per motivi di lavoro. Tornò in Sicilia nel 1893, quando l’Isola era scossa dalla rivolta dei Fasci siciliani il grande movimento di rivendicazione salariale e sindacale dei contadini e dei minatori che grande successo ebbe tra l’altro anche nella provincia di Girgenti. Panepinto si impose presto come leader riconosciuto ed amato nel suo paese e nel circondario della sezione del fascio dei lavoratori. Egli era vicino all’area della democrazia radicale, ma presto divenne socialista militante. Cominciò a parlare apertamente al popolo del diritto che ognuno aveva al lavoro, al pane, alla riduzione delle ore di lavoro, all’abolizione di balzelli. Parlava in maniera semplice, da bravo maestro.
Alla prima manifestazione pubblica che organizzò parteciparono circa 500 lavoratori. Le successive ebbero un successo sempre crescente e non vi furono mai disordini. Ma quando cominciò ad organizzare i primi scioperi per chiedere la revisione dei patti agrari, i gabelloti andavano spesso dal sindaco e dal prefetto a chiedere provvedimenti contro l’agitatore di Santo Stefano di Quisquina. Istituì anche un’associazione che rimediava economicamente agli eventuali disagi causati dagli scioperi. Presto ebbe lusinghieri riconoscimenti a livello regionale nazionale e partecipò come membro della federazione regionale socialista ai più importanti congressi nazionali del suo partito. Ma con lo stato d’assedio voluto dal capo del governo Francesco Crispi, nel gennaio del 1894 i fasci in tutta la Sicilia vennero sciolti e anche Panepinto venne ufficialmente invitato dalle autorità “a chiudere la sede del fascio e a non tenere riunioni affollate”.
Nei primi anni dopo l’esperienza dei fasci siciliani, il suo impegno politico continuò attraverso “la lega di miglioramento fra i contadini” (1901), che gestiva scuole serali, ma si manifestò soprattutto attraverso l’attività culturale e il giornalismo in particolare. Diresse nel 1903 il foglio “La Plebe”, un quindicinale di ispirazione socialista che polemizzava con la locale amministrazione. Fallito un tentativo di farsi eleggere deputato, per le crescenti difficoltà in cui si trovò nel suo stesso paese, la famiglia di Lorenzo Panepinto decise di trasferirsi nel 1907 nella città di Tampa, in Florida, negli Stati Uniti. Nel nuovo continente oltre a lavorare si dedicò alla stesura di alcune opere di carattere sociale e pedagogico. Il soggiorno in America ebbe breve durata. Tornato a Santo Stefano nel 1908 riprese l’attività di maestro di scuola elementare, ma nello stesso tempo prese anche attivamente parte alla campagna elettorale per le politiche di quell’anno nel collegio di Bivona. Con la Lega prese in affitto il feudo Mailla Soprana, si trattava della prima “affittanza collettiva”.

Le affittanze eliminavano la mediazione parassitaria del gabelloto e realizzavano la conduzione diretta di ex feudi, introducendo concimi chimici, macchine agricole e più avanzati sistemi di rotazione colturale. Il fatto suscitò malcontento tra i potenti gabelloti e gli agrari mafiosi. Panepinto si spinse oltre, sollecitando la direzione del Banco di Sicilia ad istituire una banca agraria in grado di concedere gli anticipi ai contadini che avrebbero potuto così organizzarsi in proprio. Tutte queste iniziative gli valsero parecchie minacce da parte della mafia. Gli anni che seguirono furono tutti segnati dall’impegno per sviluppare le azioni di lotta della sua Lega, delle sue cooperative, anche perché in quegli anni la crescita del movimento contadino si collegava con lo sviluppo delle cooperative e delle affittanze collettive. Nel 1909 Panepinto partecipò al congresso agricolo socialista di palazzo Adriano e venne acclamato presidente di quell’assise. La sera del 16 maggio 1911,in cui venne assassinato, aveva da poco concluso un incontro nella sede della Lega dove si stava preparando la fase costituente della Cassa agraria di Santo Stefano che funzionasse come intermediario del Banco di Sicilia per poter soccorrere con i piccoli anticipi i contadini. Una delle ipotesi dell’omicidio verteva proprio intorno alla costituzione di tale iniziativa bancaria. Le indagini giudiziarie furono piuttosto tardive. Venne accusato del delitto poco più di un mese dopo il campiere Giuseppe Anzalone perché una donna lo aveva visto sul luogo del delitto con addosso una lupara. Ma nel processo del 1914 a Catania Anzalone venne assolto. Il “caso Panepinto” si chiudeva così il 7 aprile 1914 con una sconfitta per lo Stato.