Il dover presentare un resoconto seppur incompleto e non esaustivo delle impressioni dei viaggiatori occasionali e non che hanno visitato la città di Girgenti alla fine del secolo XIX impone di assumere come termine post quam per il nostro lavoro il 1860, data significativa che per le sue implicazioni e ripercussioni storico-politiche ed economico-sociali, determina in molti contesti urbani e territoriali dell’isola dei considerevoli mutamenti e delle profonde trasformazioni sia in chiave di rapporti sociali, sia nel riassetto urbanistico ed architettonico della città.
Tra le conseguenze dei rivolgimenti politico-amministrativi, l’emanazione delle leggi eversive del 1866 e 1867 (- Leggi nazionali, 7 luglio 1866 n. 3036 Soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose e 15) agosto 1867 n. 3848 Liquidazione dell ‘Asse ecclesiastico. in una città come Girgenti, storicamente condizionata da una radicata presenza delle gerarchie ecclesiali, genererà benefici patrimoniali a favore di amministrazioni locali, vecchia nobiltà e borghesia emergente che, combinati con la contemporanea crescita sia dei prezzi che della produzione dello zolfo, determineranno una fase di risveglio socio-economico che darà alla città la possibilità di cambiare volto.
La demolizione della Porta di Ponte deliberata nel 1867 (- Delibera comunale 18 maggio 1867 in G. Picone, Memorie Storiche Agrigentine, Girgenti 1866, rist. anastatica Agrigento 2004, p. 677.) venute meno le necessità della difesa, rientra tra queste prerogative poiché intendeva probabilmente rappresentare per l’amministrazione comunale l’instaurazione di un nuovo corso dettato dall’uscita di Girgenti da quello che potrebbe definirsi un torpore medievale che ne aveva caratterizzato la sua identità entro il perimetro delle sue mura. Il nuovo assetto senza porta, progettato dal Politi, lungo l’asse della via Atenea instaura un nuovo rapporto con il territorio, aprendola all’espansione verso l’esterno: i giardini pubblici, la villa Garibaldi, il palazzo della Prefettura, la Passeggiata ed il Palazzo Vadala diventano le mute testimonianze di questa dilatazione urbana.
La via Atenea si abbellirà dei palazzi della nuova borghesia, di edifici pubblici e di istituzioni culturali ed artistiche. In campo economico si svilupperanno nuove attività commerciali ed artigianali e l’amministrazione pubblica finanziera la costruzione e il miglioramento di infrastrutture stradali, ferroviarie e marittime per rispondere alle esigenze dettate dal nuovo corso economico.
Il mutamento della città sia sul piano sociale, nonché su quello urbanistico e del decoro architettonico, non si presenta omogeneo su tutto il territorio ma riguarda quasi esclusivamente la via maestra e il ceto residente. Inoltre, la favorevole congiuntura di espansione economica troverà freno, intorno alla fine del XIX secolo, nella crisi che investirà il mercato dello zolfo e la sua commercializzazione, i cui effetti negativi si ripercuoteranno sia sugli introiti dei possidenti sia sui salari degli operai e sulle condizioni di vita delle loro famiglie.
Il degrado ambientale e sociale viene avvertito dai viaggiatori e da questi amplificato con l’accostamento alla città antica. La Girgenti nuova è, fin dalle prime sue rappresentazioni nella letteratura odeporica del Grand Tour, “vittima ” della sua memoria storica ed epica, incapace di reggere il confronto impareggiabile col passato, affetta da un dualismo che la vede inevitabilmente soccombere nei confronti di Agrigentum: «ci sono – scrive il francese Abraham Dubois nel 1842 risolvendo il rapporto controverso tra l’idilliaca Agrigento delle vestigia classiche da una parte e la povera e mal costruita Girgenti medievale dall’altra – due città sovrapposte, una moderna e in piedi, l’altra antica e in rovina, la prosa e la poesia, Girgenti e Agrigento. Non c’e nulla di più prosaico di Girgenti, essa ha sostituito la città che l’ha preceduta per proclamare l’instabilità delle grandezze umane» (- F. Abraham-Dubois. Lettres de Siede, Avranches 1843, pp. 45-46, [traci, del redattore]
Nelle memorie dei voyagers allo splendore dei templi dorici si contrappongono le questioni sociali, le condizioni di lavoro dei minatori, lo sfruttamento dei “carusi”, l’analfabetismo dilagante, la diffusa delinquenza, l’arretratezza dei sistemi di lavoro della terra, 1’«infinita miseria dei più» da una parte e la «ricchezza e prepotenza dei pochi» ( L.Franchetti, La Sicilia nel 1876: condizioni polìtiche e amministrative, Firenze 1877, citazione in S.Di Matteo, Viaggiatori stranieri in Sicilia, ad vocem, Voi. I, Palermo 1999) dall’altra.
La città moderna si presenta al viaggiatore incastonata sull’alto colle a formare un anfiteatro, con palazzi e chiese, torri e campanili che disegnano la sagoma di una pittoresca cittadina: «si stendeva – scriveva August Schneegans guardando la città dalla valle – il paesaggio delle colline e degli scogli fino alla nuova città: le torri di Girgenti, l’apertura fatta da Empedocle nel monte, e a destra la Rupe Atenea, che sorge in alto e si abbassa ripidamente dall’altra parte, compivano il quadro in un modo così artistico, che nessun pittore potrebbe immaginare di meglio», (A. Schneegans, La Sicilia nella natura, nella storia e nella vita, trad. di Oscar Bulle, Firenze 1890, p. 351) ma si presenta al suo interno come una trama di vie «a pianta confusa ed ingarbugliata», come riportato dal giornalista modenese Gustavo Chiesi (G. Chiesi, La Sicilia illustrata nella sua storia, nell’arte, nei paesi, Milano 1892, rist. anast. Palermo
1980, p. 174).
Per il francese Henry Des-Houx «la ville moderne de Girgenti n’est ni belle ni intéressante».( H. Des Houx, Ma prìson: La triple aliance: La triple alliance. Le Comte de Chamhord. Le Comte de Paris. M. Jules Ferry. Capri. Paestum. La Sicile, 4* ed., Paris 1887, p. 316, [t.d.r.]) Secondo Quarré-Reybourbon in visita nel 1891 la città «si rivela urbanisticamente infelice, dalle strade tortuose e scoscese aperte alla circolazione di cavalli ed altri animali domestici».»( L.F. Quarré Reybourbon, Carnet de voyage. Est et Midi de la France, Italie et Sicile, Lilla 1894, citazione in S. Di Matteo, op.cit. ad vocem. Voi. II) Charles Contejean noterà l’assenza di monumenti, «tutto è moderno e di cattivo gusto. C. Contejean, Agrigente: notes de voyages, Poitiers [1885], p. 9, [t.d.r. |. Più severo Lucien Trotignon che la vede «decaduta, triste, uggiosa, di aspetto sporco, […], viuzze morte, scale che si arrampicano a picco intorno ad una cattedrale rococò»’. (L. Trotignon, En mediterranee (notes et impressions): Sicile, Corse, Malte, Corfou, les Baleares,Paris, s.d., p.50, [t.d.r.|). Infine per Serafino Rocco se «non fosse per il sarcofago d’Ippolito e Fedra i forestieri, venendo dalla stazione ferroviaria, passerebbero accanto la Prefettura discenderebbero verso il mare a vedere gli avanzi d’Akragante, senza nemmeno entrare in città. Girgenti non ha proprio nulla che meriti la pena d’una fermata»”.11- S. Rocco, Girgenti e Da Segesta a Selinunte, 2* ed., Bergamo 1909, pp. 58-59.
La via Atenea si scopre agli occhi dei viaggiatori come il cuore pulsante di una città viva e animata: «una via orizzontale che descrive una curva arcuata intorno al versante meridionale della collina rocciosa, dove si trovano gli alberghi, la posta, i negozi», (R. Lambelin, La Sicilia : 1894, trad. di R. A. Cannizzo – Siracusa 1990, p. 84).«gli artigiani lavorano per strada e i mestieri si esercitano sui marciapiedi o sulle soglie delle porte»( E Cauderlier Du St-Cothard à Syracuse: voyage en Italie et en Sicile, Paris [1882], p. 214, [t.d.r.]), «centro degli affari, che conserva ugualmente la sua impronta locale; vi passano i mulattieri, e i venditori d’arance fanno sentire ogni poco una specie di cantilena» (C. Vuillier, La Sicilia : impressioni del presente e del passato, Milano 1897, list, anastatica, Catania 2000),, «si direbbe che due popoli vi si mescolino. Uno è quello di tutte le città di provincia: impiegati, soldati, bottegai, piccoli borghesi; l’altro è quello indigeno, vivacissimo, molto marcato pel tipo selvatico, le carni scurissime, il parlare concitato, la figura inculta» (L.VBertarelli, Sicilia 1898: note di una passeggiata ciclistica, a cura di Vittorio Cappelli, Palermo [1994],p. 85)
Luogo di incontro ed aggregazione, molta gente vi passeggia, forma gruppi davanti le case, le farmacie e i barbieri, «si vede subito che una buona metà della popolazione è occupata a non far niente», commenterà ironicamente Contejean (C. Contejean, op. cit. p. 10).
Animata nei giorni di festa quando dalle vicine borgate i contadini accorrono per fare provviste, diventa scenograficamente solenne durante il passag¬gio di cortei civili e religiosi. Gustavo Chiesi assisterà meravigliato allo svolgimento di una «strepitosa processione religiosa sotto la luminaria e gli archi di trionfo: tutti i balconi sono imbandierati, illuminati, adorni di festoni, pieni gremiti di gente.
Le stradine che inerpicandosi zigzagando sulla collina portano alla Cattedrale, disegnano per Gaston Vuillier un «labirinto di viuzze le quali presentano ogni tanto, da qualche buco, un bel punto di vista sul mare, delle prospettive luminose sulla pianura o dei lembi di cielo turchino» (G. Vuillier, op. cit., p. 200).. Immagini a sensazioni capaci di generare ai viandanti e visitatori commenti entusiastici sulla natura e il paesaggio circostante.
La sovrapposizione degli stili architettonici sul più importante monumento della città, lo sfarzo degli apparati decorativi barocchi, lo hanno reso agli occhi dei viaggiatori un edificio “moderno”, insignificante, di cattivo gusto. Gli unici motivi di attrazione sono il sarcofago di Ippolito e Fedra e la Madonna del Reni, mentre desta curiosità il fenomeno dell’eco portavoce e la lettera del diavolo che spesso diviene oggetto del sarcasmo dei visitatori in gran parte pronti a criticare un eccesso di religiosità superstiziosa. Vengono anche segnalate la presenza nel tesoro della cattedrale di oggetti artistici medievali di buona fattura e le carte dell’archivio capitolare. Poca attenzione viene riservata invece per paramenti e suppellettili sacre.
Limitata considerazione viene espressa anche per il nascente Museo Civico, definito un cafarnao di oggetti vari e, tra sarcofagi, vasi, monete e frammenti vari anche l’efebo di Agrigento passa quasi inosservato all’attenzione del visitatore. Suscita un certo interesse invece il Museo di Storia Naturale del Liceo Classico che Contejean definisce di grande valore soprattutto per la raccolta dei minerali”, confermando ancora una volta l’interesse generale dei “forestieri” per le scienze mineralogiche.
Momento centrale del passaggio a Girgenti è l’incontro con l’antica Akragas la cui visita alle rovine riempie le pagine dei diari dei viaggiatori di descrizioni architettoniche e di reminiscenze storiche ed epiche. Le impressioni di incanto, di estasi provocate dall’immersione nel mito della classicità greca, il contatto con l’idillio dell’Arcadia, la contemplazione degli antichi splendori, sono esperienze che si rinnovano costantemente nelle riflessioni.
«E’ tutta quanta l’antichità che si innalza verso questo cielo antico. Una emozione intensa e singolare penetra in voi, assieme alla voglia di inginocchiarvi davanti ai resti augusti, davanti a queste memorie lasciate dai maestri dei nostri maestri» scrive emotivamente coinvolto Guy de Maupassant” ( G. de Maupassant, La vie errante (1890), Paris 1909, p. 95, [t.d.r.]
.. Rapito dalla visione, nel corso del suo giro della Sicilia in bicicletta, Luigi Bertarelli annoterà: «l’eterna natura, l’eterna arte sono unite in un monumento imperituro»( L.V. Bertarelli, op. cit. p. 87).e, sottolinea lo svizzero Widmann, «ove natura e storia proponevano uno spettacolo meraviglioso per l’occhio e lo spinto»( J.F. Widmann, Sizilien und andere Gegenden Italiens. Reiseerinnerungen, Frauenfeld 1898)
Quarré-Reybourbon coglie invece nelle rovine un senso drammatico dell’esistenza: «la solitudine nella quale si trova, lo stato di rovina al quale li ha ridotti il tempo |… 1 danno ai monumenti dell’antica Agrigento un carattere di sublime tristezza». , ,
Riflessioni estatiche che, in un silenzio quasi eterno, nell armonia del
monumento e del paesaggio, vengono interrotte, riportando il viaggiatore alla moderna civiltà, dallo sbuffare del treno che attraversa la valle con il suo carico di zolfo o dal suono della campana della cattedrale: «la realtà mi riafferrò tosto e, stornando gli occhi da quell’incanto, rividi Girgenti posta su quella cima sterile, con le vie polverose e povere, e con la sua rozza popolazione» (G. Vuillier. op. cit., p. 204).
Il rapporto dei viaggiatori con i siciliani in genere è fortemente condizionato da pregiudizi e stereotipi ereditati dalla secolare letteratura odeporica e dall’eco della cronaca. Animata da ciò che potremmo definire un “complesso di superiorità” mittleuropeo, l’osservazione dei costumi, degli atteggiamenti, delle credenze, della fisionomia del popolo girgentino assume la peculiarità della scoperta esotica.
Poco interessati agli esponenti della “haute societé” locale, gli “indigeni” diventano oggetto di curiosità ed interessamento: i contadini, i minatori, i pastori, tutti uguali, raffigurati nei loro tristi e scuri abiti, avvolti da pesanti mantelli «colla i contadini, i minatori, i pastori, tutti uguali, raffigurati nei loro tristi e scuri abiti, avvolti da pesanti mantelli, testa mezza nascosta nel cappuccio, immobili e con le mani dietro la schiena, ci guardavano al nostro passare» (A. Schneegans, op. cit., p. 338. Riguardo l’abbigliamento Binile Caudelicr (op. cit.. pp. 231-232) osserverà che le tesi darwiniane sull’adattamento del vestiario alle condizioni climatiche trovano nella popolazione agrigentina un’eccezione da studiare.: Così mostrandosi, destano, agli occhi degli osservatori, sospetti e paure. Girano armati per incutere rispetto, tutto ciò «dà agli uomini anche più bonari un aspetto da banditi» ( A. Dry (pscud. di W.A. Fleury), Trinacria: promenades et impressioni sìciliennes, Paris 1903, p. 174, [l.d.r.l.).
I viaggiatori scrutano, osservano costumi, descrivono consuetudini e credenze, attraverso la lente della ragione, riducendo spesso il tutto a defini¬zioni superficiali, approssimative, dai toni drammatici e derisori.
Tale osservazione ricalca l’immagine diffusa di una popolazione indigena prodotto di uno stato di endemico sottosviluppo, espressione di una cultura ai limiti della civiltà europea.
Gustavo Chiesi proverà a trovare le ragioni di una società “malata” nell’analfabetismo dilagante. Miseria, immoralità, superstizioni, delinquenza sanguinaria, arretratezza della condizione femminile sono le conseguenze di un analfabetismo che non permette di dominare gli istinti primitivi (G. Chiesi, op. cit., pp. 205-206)..
La povertà di Girgenti viene colta nella precarietà delle abitazioni, nelle strade sudice e maleodoranti, negli abiti laceri delle donne e dei bambini seminudi. Una miseria che non scuote ma fa scandalo. L’opulenza antica e la prodiga natura si contrappongono al triste aspetto della città e dei suoi abitanti. La moltitudine di mendicanti che affollano i luoghi visitati dai viaggiatori incute un senso di smarrimento tale da comportare la messa in atto di atteggiamenti distaccati e prudenti.
La miseria diventa minaccia. Irriverenti e chiassosi, i numerosi ragazzini turbano, recano fastidio ai sensi. «A Girgenti – lamenta Norma Lorimer – è impossibile godere di un momento di quiete, la visita è quasi pericolosa […]. Non appena un forestiero […), viene individuato da qualche ragazzo diventa zimbello ed oggetto di richieste di un quartiere – ed ancora – nessuno a Girgenti si vergogna di supplicare» ( N. Lorimer, By the waters ofSicily, New York 1904. pp. 204-205. [t.d.r.].. Dello stesso avviso il tedesco Ernst Ziegeler ) il quale “assalito ” da ragazzini mendicanti afferma che «in questo paese gli stranieri vengono considerati come persone che non possono fare nessun passo da soli, ma hanno le tasche piene di monete pronte ad essere fregate. La cosa migliore è stare tranquilli e non considerare queste persone insistenti». (E. Ziegeler, Aus Sicilien, Giitersloh 1892, pp. 49-50, [trad. di G.Interlandi]).
La miseria ed il degrado di Girgenti sono quindi elementi ricorrenti nella narrazione, il più delle volte affrontati con sensibilità e sfumature altalenanti nei giudizi e nei commenti a volte comprensivi, spesso intolleranti, comunque irrinunciabili nei resoconti di viaggio. Condizioni che ancora nel 1901 indurranno Antoine Dry a dichiarare durante il suo soggiorno in città che «La miseria regna a Girgenti, la popolazione sembra triste, la città è senza industria e senza vita. Tutto denota l’incuria e l’indifferenza, dai bambini che brulicano nel fango fino alle vecchie case traballanti, ai palazzi abbandonati. […]. Agrigento non è più.
Girgenti sparirà anche un giorno prossimo per portarsi verso il mare, verso Porto Empedocle. E sarà danno per i futuri voyagers, perché Girgenti, malgrado tutto, ha custodito un carattere medievale, un’aspetto speciale di serena povertà, e la sua situazione meravigliosa in cima alla rocca dell’antica acropoli è una delle più belle di tutta la Sicilia» (A. Dry, op. cit.. pp. 176-177).
La profezia non si avverò, ma il rapporto Girgenti – Akragas continuerà a carat-terizzare il viaggio ad Agrigento se ancora nel 1925 il poeta Ezra Pound, approssi-mandosi alla città, scriverà «dicono sia l’inferno e la terra promessa» (E. Pound, Lettere dalla Sicilia, a c. di M. de Rachelwiltz, Valverde di Catania 1997, citazione in S.
Di Matteo, op.cit. ad vocem, Voi. II)
Giovanni Scicolone