
in Storia generale della Sicilia del prof. Cav. F. Ferrara tomo VII, Palermo 1834
Da Licata a Girgenti per la marina.
Dopo la città corre un gran promontorio della lunghezza di 5 miglia si distende sul mare il monte della Licata già Monte Ecnomo o scellerato perché alla estremità occidentale di esso oggi torre di S. Niccolò sopra una punta spiaggia e scoglio dello stesso nome vi era un tempo un Castello di Falaride dove avea fatto trasportare quel toro di bronzo da bruciare scelleratamente gli uomini sdegnando di tenerlo nella colta Agrigento. Vi restano alcune rovine sparse nella terra come avanzi di Fortezza. Nello Itinerario di Antonio è dello Daedalio forse perchè stata era opera di Dedalo.
Nella marina al piede di esso vi è la Pietra Galia gruppo di scogli ora corrosi dal mare e che pare che avessero un tempo potuto formare un seno alquanto sicuro per i legni. Dietro la montagna si distende la Piana di Licata spazio piano quasi circolare di 5 miglia di diametro. Da una gola di montagne sgorga in essa il Salso che maestosamente traversandola per 4 miglia va poi a fare la veneranda sua foce.
Si sa che quei luoghi furono il teatro della disgraziata battaglia al fiume Imera tra Agatocle e i Cartaginesi. Il prode guerriero tosto che intese avere gli affricani occupato l’ Ecnomo venne a occupare egli il Falario altro castello di Falaride onde il Salso rimase come un comune baluardo ai due eserciti. Era di luglio allorché i primi attacchi cominciarono. Essendo un giorno sopra una delle alture che a settentrione circondano la Piana mi rappresentava i siracusani che passavano a guazzo il fiume in un punto nelle due miglia dopo la gola dove soltanto è guadabile appiedi in quei tempo. Il rinforzo venuto ai cartaginesi ebbe a scendere sotto il Dedalio nella spiaggia oggi detta Cala del fiumicello formato dal Salso nelle sue escrescenze cinto dall’una e dall’altra parte da alte rupi sotto il favore delle quali con celato cammino audò ad assalire da dietro mentre quelli degli accampamenti lo battevano di fronte. Giornata fatale nella quale la campagna si vide coverta di corpi morti. I miseri siracusani tormentati dalla sete e dal calore della stagione si diedero a bere l’acqua salsa del fiume e ne ebbero molto male.
Dopo la torre S. Niccolò sopra rupi è quella di Gaffi. Indi le rupi si abbassano poco lungi dal lido, ma alquanto dopo si elevano sopra di esso allungandosi verso occidente. In esse è Castellacelo di Palma torre elevala che fa una terza sommità con quelle di due monti vicini; è pure in esse la torre di Palma a dodici miglia da Licata. Girando a mezzogiorno o fatte 3 miglia si arriva al Caricatore di Palma in una picciola spiaggia formata dai monti che ivi sonosi abbassati venendo da occidente. Poco lontano è il Castello di Montechiaro e indi Puntabianca.
Palma e sopra picciola altura volta a mezzogiorno e a circa 500 passi dal mare in una vallata dominata a oriente dalle montagne che chiudono da occidente la Piana di Licata. Fu edificato da Carlo Chiaromonte verso il 1637 che divenne duca di Palma. Il nome fu preso dalla Palma minore pianta comunissima in quei luoghi. Acque assai copiose fecondono le campagne attorno ma rendono grossolano l’aere ai 6,472 abitanti del paese.
In faccia a Puntabianca cosi detta dal colore delle rupi a mezzo miglio dal lido vi è lo scoglio Pietrapadella di 200 passi di giro. La spiaggia segue alpestre e elevata sino alla foce del fiume di Naro. Ha una sorgente tra Cannicattì e Castrofilippo, bagna da oriente a mezzogiorno la montagna sopra la quale è Naro che gli dà altre acque indi accoglie le acque del fiume Burraini e altri ne riceve sotto la Favara dove allargando molto la sua foce nella state si distende tutto nella spiaggia; nelle piene va al mare a occidente di Puntabianca.
Dopo 4 miglia di spiaggia piana arenosa si arriva alla foce del fiumé di Girgenti 24 miglia a occidente di quella dello Imera. Dal molo si salisce a Girgenti posta sul pendìo della catena che da occidente costeggia il lido e che ivi si eleva a 4 miglia da esso e lo domina; è sopra un suolo scosceso povero di acqua ma di buono aere nel solo recinto della città. Territorio vasto e fecondissimo in ogni prodotto e pure non vi sono che 12,377 abitanti. È bagnata da mezzogiorno dal fiume Drago e nella parte opposta all’occidente e libeccio cioè a oriente e greco dal fiume di San Blasi. Il primo nasce sotto Raffadale a 5 miglia da Girgenti e viene indi accresciuto dalle acque di Maiarruci e di altri luoghi che sono in quello spazio. S. Blasi nasce dalle vicine montagne.
Ambidue dopo avere circondata la città unisconsi sotto di essa e formano il fiume di Girgenti che ivi si passa sopra Ponte di pietra. Fra le varie opinioni mi sembra più giusta ora quella che riguarda il Drago come lo Akraga, e l’altro lo Ipsa accennalo da Polibio nella bella e esatta descrizione che fa del luogo e della città antica. Non mi pare verisimile che si debba sforzare il senso dello scrittore e intendere per Ipsa il fiume di Naro a 4 miglia da Girgenti che lo abbia potuto contraporre allo Agraga che dall’altra parte ne bagna quasi le mura.
Allorché Dedalo venne in Sicilia Cocalo il più potente re fra i Sicani che lo accolse fuggitivo volle che gli edificasse una Fortezza dove conservar potesse i suoi immensi tesori. L’architetto scelse quella rupe scoscesa da tutte le parti e clhe non aveva che una sola entrata che esso ridusse cosi stretta e tortuosa da essere validamente difesa da pochi uomini. Avvenne ciò prima della guerra di Troja.
Gli abitanti di Gela 108 anni da che la loro città era nata venendo verso occidente occuparono la Fortezza di Cocalo la ingrandirono e chiamarono Agragas la città dal vicino fiume. Fu quell’immensa Agrigento piena di ricchezze per il suo commercio di lusso e di grandezze. Gli abitanti generosi davansi ad ogni sorte di piaceri. Mangiavano come se l’indomani dovessero morire. Edificavano come se dovessero vivere eternamente.
Si sa che Amilcare devastò a ferro e a fuoco quella città che forse in ricchezze uguagliava Siracusa ma che la superava nel lusso. Risorse sulle sue rovine ma indi fu tratta dallo stesso vortice che distrusse il greco impero. Si ridusse alla sola Fortezza di Cocalo come Siracusa alla sola Ortigia la prima abitata.
Dall’alto della rupe girando lo sguardo intorno si trova alla ricchezza succeduto lo squallore al lusso lo attristamento; lo spazio assai grande occupato dai tempj che altra volta fu un olimpo e ora il triste soggiorno di uccelli notturni e di rane palustri; anche il cattivo aere vi domina nero e freddo e profana quei sacri avanzi che il tempo va a gran passi rodendo.
Da Girgenti alle rovine di Selinunte.
Dopo 3 miglia dalla foce del fiume è il famoso Caricatore di Girgenti cinto di magazzini scavati nella roccia per conservarvi il grano. Per quasi 5 miglia dalla Punta di esso verso occidente la spiaggia è coverta di alte e scoscese rupi. Fra le Cale che vengono appresso si distingue quella che formano nei loro ritiri Monterosso, e Monterossetto; ha un miglio di giro e molto fondo. Dopo Puntasecca segue spiaggia aperta arenosa per circa un miglio e si arriva alla foce del fiume delle Canne; nasce sotto Raffadale e senza ricevere altre acque va al mare dopo un corso di nèanche 2 miglia.
Si giugne al Caricatore di Siculiana a 12 miglia da Girgenti. Sonovi ivi molti resti di vecchie fabbriche e salendo per un miglio e mezzo dentro terra si arriva a Siculiana sopra una collina che da tramontana è dominata da Montemassimo. Ha 4,347 abitanti occupati alla coltura delle vicine terre feracissime in grani e alla pesca del loro mare di pesci assai abbondante. Federigo Chiaromonte elesse il Castello e fondò il paese al principio del secolo XIV. Si sa che Camico fu città in Sicilia dove Cocalo ebbe la sua regia e dove Minos fu ucciso onde i cretesi l’assodiarono per 5 anni.
Era una città nella campagna detta poi Agrigentina. Allorché Dedalo fabbricò la Fortezza sulla rupe divenne essa la regia di quel re, e può essere che prima dei Greci avuto abbia il sicano nome di Onface dalla quale come dice Pausania Antifemo quello che portò la colonia a Gela trasse e portò seco la statua che era opera di Dedalo.
Cocalo quindi lasciò la città di Camico e piantò la regia nella Fortezza. Camico esser doveva nella Sicania ossia in quella parte occidentale della Sicilia dove si ridussero poi i Sicani rispinti dai Siedi. Potea la nuova regia dirsi ancora l’antica regia di Camico cioè che era prima in Camico. Di essersi ingannati coloro che riguardarono Camico come la stessa Agrigento apparisce da quanto dice Diodoro che chiamò Camico castello degli agrigentini, da quanto Strabone al cui tempo Agrigento era in piedi e ancora illustre che asserisce essere allora Camico interamente distrutta; si aggiunga che Duri presso lo abbreviatore di Stefano dice che Camico preso avea il nome dal vicino fiume, e si trova in Vibio Camicos Siciliae ex quo urbs Camiceos dividit agrigentinos e cadde dal testo l’altro popolo che certamente era Heraclienses come appresso vedrassi.
Non si trova il fiume delle Canne avere avuto alcun nome antico; è esso dunque il Camico che diede il nome alla vicina città. E giusto il sospetto che stato vi fosse dopo quel Cena dello Itinerario di Antonino posto a 18 miglia da Agrigento distanza assai ingrandita come molte altre in quelle scritture a tale riguardo inesatte.
Dalla foce del fiume delle Canne verso occidente si ha una catena quasi continuata di ripide e alte rupi sulla spiaggia che indi a Capobianco si ammontano per lo spazio di quasi mezzo miglio; una torre si eleva sull’alto di esse. A tre miglia da Siculiana è Montereale nuovo paesotto sulla spiaggia di 500 abitanti che hanno la fertile campagna tra Girgenti e Siculiana. È appresso la foce del fiume Platani. Il suo primo ramo detto di S. Pietro nasce nelle falde a occidente della montagna di Cammarata.
Cola verso oriente e torcendo a mezzogiorno bagnando sempre le falde di quella enorme montagna due miglia sotto Campofranco riceve il ramo di fiume Salso che sorgo sotto Resuttana, riceve una corrente da Vallelunga, passa sotto Mussomeli presso le miniere di sale che lo rendono salato e gli danno il nome. Dopo il confluente si passa sopra superbo Ponte rifatto nel 1742 scorre per le terre di S. Blasi a un miglio sotto il quale riceve il terzo ramo detto di Turbolo che sorge nelle falde meridionali della stessa montagna di Cammarata, passa per lo terre di S. Angelo, corre con il nome di Platani, e riceve altre acque, arriva sino sotto Cattolica facendo un arco e indi correndo verso libeccio va a metter foce a occidente di Puntabianca. Fiume considerabile che ordinariamente ha la larghezza di 20 piedi ma di 400 nelle piene onde per molti giorni non può quadarsi. È lo Atico che val quanto salato rinomato nei prischi tempi.
Si sa che dopo la famosa rotta i vincitori cartaginesi domandarono a Dionigi che l’Àtico dividerebbe l’impero dei siracusani dal cartaginese; ma essi poi domandarono a grandi preghiere la pace al vincitore Timoleonte che fu loro accordala con dovere quel fiume dividere fi ni pero greco da quello dei Barbari. Presso Eraclide, in un luogo di Diodoro e in Plutarco è chiamato Lico ma Diodoro altrove lo chiama con il suo vero nome.
L’Alico bagnava alla sua foce Macara. Dice Eraclide che quando Minos giunse presso di noi inseguendo Dedalo salì sul fiume Alico e vinti i Barbari ivi abitanti s’impadronì di Macara. Era essa dunque città dei Sicani poiché essi erano stati rispinti dai Sicoli e tutti quei luoghi formavano la Sicania. Cambiò in Minoa il nome della città e la elevò a repubblica con le leggi di Creta. Quel re venne in Sicilia alcuni anni prima della guerra di Troja. Quando poi Minos fu ucciso i Sicani sudditi di Cocalo appiccarono il fuoco alle navi nemiche onde i cretesi privi di ritornare alla patria restarono in parte nella città della quale erano padroni e la quale o prima o a quella epoca fu della Minoa e parte andò a stabilirsi tra terra. Venuta con tutta la contrada in possesso di Erice re sicano e dopo la vera o favolosa lutta appartenendo ai discendenti di Ercole fu in quello spazio che venuta meno fu rifatta con una colonia dai vicini Selinuntini.
Quando vi arrivarono gli Eraclidi il solo Eurileonte rimasto dopo la battaglia s’impadronì della città è la chiamò Eraclea; ciò fu verso la olimpiade LXX. Fu egli poco dopo ucciso da Selinuntini ma la città si accrebbe tanto in poco tempo che mosse invidia e timore ai Cartaginesi che la vedevano in faccia tosto che dal fondo del loro golfo profondo uscivano nel nostro mare. Credettero che divenuta molto potente avrebbe potuto un giorno soggiogare la loro signoria, onde vi vennero con grande armata e la distrussero sino dai fondamenti.
Fu può essere in quei tempo quando spinti da Serse posero in mare dugento navi e trecento mila armati e assalirono la Sicilia per abbattere tutti i Greci. Verso la olimpiade CV allorché vi approdò Dione era però di nuovo in piedi con il nome di Minoa e del dominio cartaginese, ma era picciola città. Indi divenne nuovamente grande e già era libera quando Agatocle approdando alla vicina Selinunte la soggiogò. Al tempo della seconda guerra punica era di nuovo posseduta dai Cartaginesi e dicevasi Minoa Eraclea. Imilcone vi portò l’armata di 28 mila uomini e di dodici elefanti. Ebbe poi molti danni nella guerra dei schiavi onde Rupilio vi condusse una colonia e riformò il codice delle leggi. Soffrì molto dallo infame Verre. I Saracini se dice il vero Pietro Diacono la saccheggiarono alla fine. Giacciono ivi le rovine nello spazio intorno di 2 miglia sul piano alto di una rupe alquanto elevata difesa dalla parte del mare da aspre c scoscese roccie; il muro meridionale si distendeva sino alla torre che vedesi sopra Capobianco. L’aratro svelle ogni anno da sotto la terra rovine di edificj di vasi nobili e di altri monumenti antichi miserabili avanzi di una così illustre città in un così bel sito. Il fiume gli è a cento passi verso occidente.
Miglia 8 dalle rovine di Eraclea sopra l’altura tra i monti Pecuario e Platanella si veggono altre rovine di vetusta città. Pare che esser dovrebbero di Angire da Diodoro posta verso i confini dei Sicani che quando Dionigi volle assediare Motia restò fedele ai Cartaginesi con Solanto Egesta Panormo e Entella. Da Tolomeo è detta Ancrina. Cicerone nomina fra i nostri popoli gli Acherìnos; se non vi è scritto in vece di Ancirinos lo deve essere almeno di Scherinos poiché degli Acherini non parla alcuno dei scrittori antichi. Sullo stesso monte Platanella nello spazio di quasi un miglio in giro si veggono altre numerose rovine alle quali salire non si può che per un solo luogo.
È sospetto veramente senza certo fondamento che stata vi sia Cotirga città rammentata da Tolomeo. Sembra più verisimile il sito di Crasto che Stefano sulla autorità di Filisto chiama città dei Sicani come la dice anche Suida , e che secondo scritto avea Filemone era paese di donne bellissime; Erodoto la chiamò Crasti e dice che quel Dorieo venuto per impossessarsi delle terre di Ercole nella Sicania innalzò un tempio a Minerva Crastia forse per averla propizia nella guerra die gli fecero gli Elimi gli Egestani e i Fenicii onde non impadronirsi della eredità. È verisimile che in Crasto città che gli divenne amica in quelle terre che pretendeva essere sue e dove sorse poi Eraclea, e nella contrada sicana elevato avesse quel tempio, e quindi che Crosto stata non fosse mollo lontana da Eraclea. Forse volle rendersi propizia Minerva avendo nemico l’Oracolo poiché operato avea contro i voleri di lui.
Si credette che la sua morte e la sua disfatta avvennero perchè non venne come gli era stato dall’Oracolo detto a prendere i beni di Ercole direttamente ma passò per la Italia e si mischiò negli allori dei Sibariti e dei Crotoniati, Altri danno a quelle rovine il sio di Indara città dallo abbreviatore di Stefano sulla autorità di Teopompo rammentata nei Sicani. L’autorità dice che era nella Sicania ma non in quel sito preciso.
Seguendo verso occidente si passa la spiaggia del fiume Platani indi diverse Cale, poi la spiaggia della Porcheria quasi un miglio lunga arenosa e piana, e si viene alla foce del fiume Macasoli a 4 miglia da quella di Platani. Nasce dalla catena del Rifesio da Diodoro chiamato Capriano; il primo ramo sorge sotto S. Stefano di Bivona, riceve indi a destra acque che vengono dal monte delle Rose e più al di sotto quelle di Rifesio che prendono il nome da quel monte dal quale scaturiscono e finalmente da fiume maestoso vanno tutte al mare. In alcuni luoghi ha la larghezza di 60 piedi onde nelle piene non può guadarsi per molti giorni. È il fiume Alba di Diodoro da Antonino detto Allava.
Dopo la foce del Macasoli il lido per 5 miglia presenta varie Cale fra le quali quella di Vallonesalato e quella dello Stinco con Punta dello stesso nome. Segue la foce del fiume di Caltabellotta. Sorge sotto Prizzi dal fonte Labro, lascia a sinistra Palazzo Adriano dal quale ha acque da un fonte dello stesso nome, passa quindi per una gola fra alti monti, lascia a sinistra le rovine di Acristia, Burgio e Villafranca c a destra Busacchino Chiusa e Giuliana dai quali riceve acque e S. Anna, accoglie il ramo che cola dal massimo fonte Favara a oriente da sotto Caltabellotta, lascia a destra le rovine di Triocala e finalmente Misilicassino e si unisce al mare. E l’antico Isburo di Tolomeo.
Dopo la foce è spiaggia bassa e a forma di falce della Cala della Verdura. Si ha indi Punta Cala e foce del fiume Macaudo chiamato anche di S. Calogero che nasce a non grande distanza dal lido sotto il paese di S. Anna che lascia a destra e ben presto cola nel mare. Dopo circa 3 miglia è Sciacca. È sopra il falso piano di un’altura al piede dall’alta grossa montagna S. Calogero c ha il giro di 1,700 passi. La parte bassa più vicina al mare che bagna l’altura da libeccio a occidente è lunga 600 passi; la media e alpestre, l’ultima è piana; a libeccio si presenta ad anfiteatro, è cinta di antiche mura in gran parte guaste e ha 4 bastioni da mare e 3 da terra.
L’altura ha al basso un gran numero di fosse cavate nella roccia per conservare il grano. Sopra un vasto territorio fecondo più in olio gli abitanti malgrado la grande loro attività non sono che 9,687. Ne avea un tempo sino a 3o,ooo ma la città ha sofferte disgrazie di ogni genere. Il popolo diminuì di molto nella espulsione degli Ebrei ordinata da Ferdinando il cattolico; ebbe danni immensi nei famosi casi di Sciacca monumento miserabile del cieco furore dei baroni orgogliosi che insultavano all’ombra vacillante di un Governo neghittoso e debole e allo spirito avvilito dopo lungo tempo di una nazione energica e nobile; esiste ancora il castello di Luna e una torre soltanto di quello di Perollo. Nei nostri tempi la bella città è stata desolata da replicati tremuoti. Si distingue ancora per la fabbrica dei diversi vasi di terra cotta; si sa che Agatocle nacque ivi da Calcino maestro di vasi. Sciacca di voce araba è nel sito di Terme che Plinio chiama colonia romana; prese il nome dalle vicine acque calde da Strabone dette acque selinuntine perche nei confini di Selinunte, e negli Itinerarii chiamate vengono Aquile Larodae e anche Labodae.
Due valli dividono da levante a occidente Sciacca dalla pianura che è dietro di essa di 2 miglia di estensione; essa divide dal mare la montagna S. Calogero formata da un gruppo di alture e di valli sopra una base di 6 miglia. Scosceso da tutte le parti, inaccessibile da mezzogiorno vi si può salire solo da occidente. Vi si va da Sciacca per una strada di 3 miglia. E’ coverta in alcune parti di vegetazione; comune vi ha la Palma minore con voce moresca Giummari che talvolta dà il nome alla stessa montagna. Acqua calda e vapori di essa sortono da ogni parte e riempiono le grotte e le cavità.
L’antro che chiamano di Dedalo verso la sommità è quello di cui parla il nostro Diodoro = Per terza sua opera Dedalo edificò una grotta nel paese selinuntino dalla quale il fumo promosso dal fuoco così usciva che faceva a poco a poco sudare coloro clic vi stavano intorno e senza riceverne alcun danno risanavano con dolce piacere i loro corpi ammalati = Al basso vi e una sorgente di acqua calda, altrove una calda e salata; nella parte alta del fianco che guarda il mare evvi un profondo e tortuoso pozzo nel quale odesi un fragore sotterraneo come di un vento impetuoso prodotto dallo sviluppo del vapore acquoso. In una di quelle grotte si crede che menato avesse sua vita da anacoreta S. Calogero il di cui corpo morto fu poi ivi trovato nel 1656 onde vi edificarono una chiesa. Vi è un Romitorio.
Lasciando Sciacca dopo una spiaggia bassa si veggono le alture venire sino al lido e allungare in mezzo alle onde il Capo di S. Marco. Su di esse è la torre dello stesso nome a 3 miglia da Sciacca e dopo il Capo e torre di Maracani con un torrente che nei tempi di piogge nascendo presso la montagna di Sambuca viene colà furioso al mare. La spiaggia ritorna piana sino a Porto Palo. A 5 miglia da Sciacca è la foce del Fiume Carabi.
Nasce sotto Caltabellolta a occidente, riceve a 6 miglia dalla sorgente il Favara o picciolo fiume di S. Giovanni che sorge sotto Sambuca, e indi Cannatello che nasce da un fonte di tale nome tra Misilibesi e Misilindino due casali sotto i Saraceni e oggi distrutti che gli si unisce dopo che ha bagnato i confini di S. Margherita, e accresciuto da altre acque entra finalmente nel mare. Il suo nome lo ha dal casale Carabi o S. Bartolommeo non più esistente ma che sotto Federico II era di Ancisa di Sciacca dal quale passò ad Artale Alagona che perdutolo come ribelle di Martino fu da quel re dato a uno della famiglia Peralta dalla quale poi per mille fiorini di oro lo comprò Giovanni Perollo con la parola di quel re.
Sotto Alfonso Antonio di Luna erede di Peralta lo pretese da Pietro Pierollo figlio di Giovanni. Carabo simile alla rapita Elena produsse le tanto crudelissime discordie fra quelle due famiglie conosciute con il nome di Casi di Sciacca. Il Carabi è l’Atys che Plinio pose dopo Sciacca e forse anche il fiume Acizio di Tolomeo cosi scritto per errore dei copisti. Porto Palo che segue è un seno profondo capace di navi difeso dalla Punta dello stesso nome dalla furia dei venti nemici, e dalle rupi che sovrastano alla spiaggia. Dopo alquante miglia si arriva alla foce del fiume Belici di 5o miglia di corso e figlio di un gran numero di sorgenti.
Ha la prima al piede del monte Santagano dal fonte Capo dall’acqua poche miglia a greco di Corleone e quasi altrettanto dal gran Busambra che gli manda il ruscello Bichinello. Riceve indi le acque che vengono da Corleone, e prende il nome di fiume della Frattina. Sotto Torrazza accoglie il fiume di Batticane che nasce dal fonte di Scorciavacca nel territorio di Corleone a occidente di Prizzi. Riceve dopo il fiume di Bruca che nasce nello stesso Busacchino e diviene fiume grosso.
Un altro ramo nasce nella Piana dei Greci che poco dopo riceve da sinistra le acque della fontana della Scala delle femmine che sgorgano copiose dalla viva rupe. Dopo aver lasciato gli altissimi monti della fontana della Scala delle femmine cola con grande fracasso in una profonda valle dopo la quale bagna le campagne di Petralonga e ne prende il nome.
Dopo circa un miglio riceve le acque di Malvello e bagnando il piede del monte di Calatrasi prende anche quel nome e con esso arriva sotto Entella. Un terzo ramo detto il Belici destro avendo l’altro il soprannome di sinistro nasce a Calatamauro monte altissimo, passa per il diroccato casale saracino Sinurio, riceve molte acque da varii fonti tra Pandolfina, e Misilindino. I tre rami si uniscono sotto i paesi la Sala, e Gibellina e formano un maestoso fiume. Sino a 5 miglia dalla foce ha ripe alte e scoscese, ivi si passa con il Ponte di pietra di Castelvetrano riparato nel 1756 con i massi dei tempj di Selinunte fatti in pezzi, a 9 con quello di Partanna parte di legno e parte di fabbrica e vicino Calatrasi con un altro di fabbrica. Il suo antico nome fu Hypsa da Plinio posto tra Ati e Selinunte.
I Saracini lo chiamarono Belich. Fu Belich un casale saracino presso il confluente dei due fiumi e alla destra sponda del sinistro, rammentato dal conte Ruggieri nella descrizione dei confini della chiesa di Mazzara nel 1092. Era distrutto sotto Guglielmo II come si riconosce dalle tavole della chiesa di Morreale.
Dopo la foce del Belici il lido è quasi piano con alcune Cale. A 3 miglia è così piano e arenoso che le acque delle piogge si radunano nello stagno Jalico diviso dal mare da un picciolo spazio di sabbia ma che nelle stati assai calde è quasi secco. Dopo la Cala di Jalico è la foce del fiume Madione che nasce a 5 miglia dalla spiaggia dal fonte Favara tra Partanna c Castclvetrano, e riceve acque che sorgono dal copioso fonte sotto il Bigini sopra il quale è un castello quasi due miglia a mezzogiorno di Partanna. La pianura che è dietro Sciacca si distende verso occidente sino alla foce di Madione; venendo sino al mare dentro terra è circondata da Castelvetrano da Partanna, e da Montevago e più in distanza è chiusa dalla lunga catena delle montagne dove sono Sambuca e Caltabellotta.
La sinistra sponda del fiume è coverta di cespugli e di dense siepi, indi si discopre e a picciola distanza prende il nome di Terra delli Pulici. In essa giacciono le rovine di Selinunte.
E noto che i megaresi iblei cento anni dopo che la loro città era fatta edificarono quella città e le diedero il nome dal Madione che in quel tempo chiamavasi Selino che selinos dicevano i Greci l’appio erba che nasce copiosamente in quei luoghi ; presso i latini sarebbe Apiarius onde è giusto il sospetto che sia un trascorso di scrittura quel Lanarius nell’itinerario di Antonino posto a 24 miglia da Sciacca e a 10 da Mazzara.
Secondo la traccia indicata dalle rovine la città occupava l’alto di due colline delle quali le falde scendono sino al mare. Divenuta grande fu dopo 242 anni distrutta a ferro e a fuoco da Annibale. I pochi abitanti salvati in Agrigento la rifecero dopo alcuni anni e passati 141 fu di nuovo abbattuta dallo stesso furore dei cartaginesi che portarono gli abitanti nella vicina Lilibeo. Nel contorno si veggono i tagli della pietra o della viva roccia fatti per edificarla. Distendevasi dal mare sino a due resti di torri che si osservano sulla collina che la difendevano da quella parte mentre ai fianchi i luoghi erano naturalmente scoscesi. Fuori del recinto delle mura a settentrione vi sono molte paludi detti Margi che ivi hanno un suolo quasi orizzontale. Nella state dovevano produrre quel cattivo aere che viene dalle acque stagnanti; pare che avvenne per essi quanto narra Diogene Laerzio nella vita di Empedocle = I selinuntini afflitti da mortale peste nata dalle esalazioni di un vicino stagnante fiume con la quale non solo morivano gli uomini ma anche le donne al parto. Empedocle a sue spese li liberò introducendo in quel fiume due dei vicini fiumi che con il miscuglio delle loro acque resero dolce l’acqua del fiume mortale. La peste cessò e i selinuntini che banchettavano sul luogo in segno di gioja nel vedere comparire il fisico agrigentino vollero tributargli onori come a un Dio = Non esiste sul luogo che il solo Madione; il Belici oltre alla distanza non poteva in alcun conto per i livelli dei terreni esser condotto in un confluente con quel fiume.
Lo storico dunque ha assai imperfettamente narrato il fatto. Le esalazioni non innalzavansi da un fiume ma da una palude, onde nel testo è stalo posto ποϯάμος per λίμνη; essa non fu Jalico come è stato detto; nella quale quando le esalazioni sono nocevoli è secco, e se non lo fosse stato era molto facile il togliere la sabbia che per poco lo divide dal mare o introdurvi il mare stesso. Erano più tosto prodotte dai Margi assai vicini alla città. Empedocle da abile uomo fece ciò che aspettar si potesse dal più esperto architetto; aprì a sinistra nell’alto il fianco al Madione e per quel nuovo canale fece colare nei Margi le acque che con la violenza della loro quantità e del loro corso portarono seco le acque fangose e nettarono il luogo. Sei miglia a occidente del sito di Selinunte vi è Ramussara di nome moresco ; sono in esso i tagli delle pietre per fabbricare Selinunte. Si veggono ancora molte colonne intagliate nella roccia e sul punto di essere tratte; lo spazio ora coverto di siepi e di alberi che divide quei luoghi è sparso di pezzi di colonne che trasportati venivano per la edificazione dei grandi tempj, tristi monumenti della grandezza, e della magnificenza di un popolo illustre che non ebbe eredi.