IL VILLAGGIO DI COLMITELLA (RACALMUTO, AG): PRIMI DATI DALLO SCAVO ARCHEOLOGICO DI UN INSEDIAMENTO RURALE
DI ETÀ ALTOMEDIEVALE E MEDIEVALE
di
MARIA SERENA Rizzo, LAURA DANILE,
DOMENICO ROMANO, MARINA SCIBONA, LUCA ZAMBITO
Nell’entroterra agrigentino, a circa 15 km a Nord-Est del capoluogo, si estende il villaggio di Colmitella, parzialmente indagato nel corso dei lavori per il raddoppio della SS640 Agrigento-Caltanissetta. L’area nella quale doveva estendersi l’abitato appare fortemente modificata e danneggiata da interventi moderni, finalizzati sia alla costruzione della SS640 attuale, realizzata negli anni ’70, che taglia in due il sito, sia al recupero di spazi coltivabili. Nella conformazione originaria il sito doveva presentarsi come un’altura allungata in direzione E-W, digradante piuttosto dolcemente verso ovest, mentre non siamo in grado di ricostruire l’andamento originario degli altri versanti, sui quali sono intervenuti nel tempo pesanti sbancamenti. Soltanto una parte dell’insediamento può dunque ancora essere indagata e documentata, forse una piccola parte, anche se ignoriamo quale fosse l’estensione originaria del sito. Esso promette comunque di poter offrire interessanti nuovi dati su un tipo di insediamento, un villaggio agricolo a lunga continuità di vita, noto finora in Sicilia soprattutto da ricognizioni di superficie (ArRosio, CAMBI, MOLINARI 1997; Rizzo 2004; per due esempi scavati nel territorio agrigentino CASTELLANA 1992; CASTELLANA, MCCONNELL 1998). Lo scavo archeologico, effettuato dalla Cooperativa Archeologia di Firenze sotto la direzione scientifica della Soprintendenza di Agrigento, è ancora in corso mentre viene redatto questo contributo ed i materiali sono stati studiati in piccolissima parte; questo intervento va dunque inteso come assolutamente preliminare. Esso si avvale della collaborazione dei dottori Laura Danile, Domenico Romano, Marina Scibona, Luca Zambito, che conducono sul campo i lavori di scavo archeologico. I rilievi planimetrici sono dell’arch. Giuseppe Grizaffi; i profili dei reperti sono a cura dell’arch. Manola Cotroneo, della Soprintendenza di Agrigento, e di Domenico Romano.
L’area di indagine, così come si presenta oggi, può essere suddivisa in due settori, separati dall’attuale SS640.
SETTORE A
Il settore la cui indagine è più avanzata si estende a nord dell’attuale strada statale, dove sono stati scavati ad oggi circa 2000 m2. Questa parte del sito era destinata allo stoccaggio delle derrate, entro molteplici fosse scavate nella roccia marnosa della sommità della collinetta (fig. 1) e delle sue pendici sud-occidentali. La destinazione allo stoccaggio dei cereali è avvalorata dalla presenza, all’interno dei riempimenti delle fosse, di numerosi grossi pezzi di gesso, il cui uso per rivestire i dolia destinati alla conservazione del frumento è documentato da un passo di Plinio (ARCIFA 2008, p. 52); interessante il rinvenimento, in una delle buche, di un frammento di dolio cui aderiva ancora il gesso. Non è ancora chiaro, in effetti, se almeno alcune delle buche dovessero contenere, opportunamente rivestite, direttamente le derrate o se esse fossero state scavate per alloggiare i grandi contenitori: soltanto in due cavità del settore B sono stati rinvenuti ancora in situ i dolia, schiacciati dal crollo di un tetto coperto con tegole, e dunque stivati in un ambiente chiuso; nel settore B i fondi di due contenitori sono stati ritrovati inseriti in buche poco profonde, una delle quali scavata nella roccia, l’altra nel riempimento di una fossa già abbandonata. Sono numerosi però i frammenti di dolia all’interno dei riempimenti delle buche. In questo settore
sembrerebbe, dai dati attualmente disponibili, che l’area di stoccaggio fosse all’aperto. È probabile che i due sistemi di conservazione, direttamente entro fosse e all’interno dei dolia, fossero stati entrambi utilizzati, ma non è possibile dire al momento se essi siano coesistiti o se abbiano caratterizzato momenti diversi di uso della stessa area. Sembra certo, infatti, un utilizzo prolungato nel tempo di questo settore del sito con la medesima destinazione: lo studio preliminare dei reperti rinvenuti all’interno di cinque fosse mostra come esse siano state riempite in momenti cronologicamente molto diversi; inoltre, il materiale contenuto in ciascun riempimento è molto omogeneo dal punto di vista cronologico, dunque ogni cavità è stata probabilmente riempita entro un breve lasso di tempo. Si può quindi ipotizzare l’abbandono graduale delle cavità via via che esse diventavano inutilizzabili, per lo sgretolamento delle pareti o per il proliferare di muffe e funghi (PRIGENT 2008, p. 17), lo scavo di nuove buche per i cereali e la rifunzionalizzazione di quelle ormai in disuso come contenitori per i rifiuti. Si tratta di un sistema attestato dalle fonti medievali, che si riferiscono a settori del casale destinati alla conservazione del grano (ARCIFA 2008, p. 49) e che trova confronti anche in ambiente bizantino, come ad esempio nel villaggio di Kovaéevo, in Bulgaria (PRI-GENT 2008, fig. 2). Per il momento non si è in grado di dire quante e quali fosse siano state in uso contemporaneamente; la ridotta capacità di ciascuna cavità ed il numero elevato di fosse superstiti, comunque, sembra rinviare ad una conservazione delle derrate a livello di ciascuna unità familiare, piuttosto che ad uno stoccaggio collettivo nell’ambito del villaggio, la cui assenza nella documentazione è stata messa ipoteticamente in relazione con una esazione fiscale in oro, che non richiede strutture di ammasso comunitarie nel villaggio (ibid., p. 17).
I riempimenti finora studiati sono relativi a sei buche, due delle quali riutilizzano lo stesso spazio: la buca 3035, infatti, viene realizzata tagliando una cavità più antica (US 3091) ed il suo riempimento. Le fosse contengono in genere, come si diceva, materiali cronologicamente omogenei al proprio interno, ma abbracciano, nel loro complesso, un ampio lasso di tempo. In qualche caso, tuttavia, la datazione dei riempimenti è resa incerta dalla carenza di contesti di riferimento per l’Altome-dioevo, in particolare nel territorio agrigentino, tenuto conto delle specificità locali che emergono in modo particolarmente evidente nella Sicilia di quest’epoca (ARCIFA 2010a; ARDIZZONE 2010). Proprio per questo lo studio sistematico dei contesti di Colmitella potrebbe offrire dei punti di riferimento importanti per l’individuazione di indicatori cronologici validi almeno per questa parte dell’isola. Naturalmente è necessario per questo che si riesca ad individuare un certo numero di cavità nelle quali si ripetano determinate associazioni, perché esse possano essere ritenute davvero significative. In questa fase preliminare della ricerca si presenteranno alcuni contesti, con cronologie in qualche caso sufficientemente chiare, data la possibilità di confronti con materiali ben noti nell’isola, in qualche caso ancora da definire con più precisione, ma proprio per questo, ci sembra, più interessanti.
L’US 77, che riempiva la buca 76, per esempio, contiene una certa quantità di materiali databili che riporterebbero il contesto alla fine del VII secolo. Esso conteneva in primo luogo molte tegole, quasi tutte decorate a pettine, con fitte striature verticali, a intreccio o curvilinee, e diversi grossi frammenti di dolii; l’US conteneva inoltre una certa quantità di reperti osteologici, che non sono stati ancora studiati. La sigillata africana è relativa alle forme Hayes 91D, 109B e 100; sono presenti inoltre alcuni frammenti di lucerne “di tipo siciliano”, tutti pertinenti al tipo Provoost 10B W Se. Le lucerne di questo gruppo, fabbricate, a quanto sembra, nella Sicilia orientale e diffuse in ambito peninsulare a partire dal tardo VI secolo e per tutto il VII (PAvoLINI 1998, pp. 132-134), sembrano avere nell’agrigentino una circolazione limitata e tardiva. Più difficile risulta collocare cronologicamente la ceramica da fuoco, abbondante nel butto. Tra le forme caratteristiche di questo contesto si segnala un tipo di casseruola plasmata al tornio lento con orlo estroflesso a sezione triangolare e presa orizzontale (fig. 5d; tav. I, 1), tipo che può trovare un generico
figg. 1-5 —1. Colmite& Settore A. Una parte del settore destinato alla conservazione delle derrate. Ortofotopiano di Maria Assunta Papa; 2. Col-mite& Settore B. Parte meridionale del vano II (Rilievo G. Grizzaffi); 3. Colmitella. Settore B. Parte meridionale del vano II (Foto L. Zambito); 4. Ansa di boccale in bronzo dal vano IL 5. Reperti dal vano II (5, 1) e dai riempimenti delle fosse del settore A. Foto reperti A. Pitrone, Archivio Soprintendenza BBCCAA di Agrigento.
confronto sul piano morfologico con olle rinvenute a Maret-timo e Cefalù (ARDIzzoNE 2004); l’impasto è grigio chiaro all’interno, con indusi bianchi e vetrosi, la superficie è rosa; i manufatti hanno evidenti tracce d’uso. È probabile che si tratti di una produzione locale, che non trova però, per il momento, confronti precisi in altri siti del territorio agrigentino. Sono numerosi inoltre i frammenti di pentole ad orlo indistinto o leggermente rientrante, anch’esse con prese orizzontali (fig. 5e; tav. I, 2), tipo attestato anche in strati altomedievali di Cigna-na, ma che, pur con varianti nella morfologia, è caratteristico anche dei contesti siciliani dall’età islamica alla prima metà del XIII secolo (ARDIzzoNE 2004, pp. 201-204). Di tradizione tardoantica appare la ceramica comune: un vaso a listello, un contenitore globulare, simile per la forma a contenitori africani (BoNIEAv 2004, tipo 65C), un bacile ad orlo inspessito che trova anch’esso confronti generici con tipi africani (ibid, tipo 36), una scodella carenata, genericamente confrontabile con esemplari rinvenuti a Catania, forse derivanti dai vasi a listello tardoantichi (ARcIEA 2010, pp. 13-14, figg. 8-9). Degna di nota è infine la parte superiore di un’anfora globulare (tav. 3), con orlo svasato ed anse a nastro, argilla rosa compatta, con diversi indusi scuri di dimensioni medio/piccole, tracce di mica visibili in superficie: al momento non sono in grado di attribuire l’esemplare ad una precisa produzione, considerate anche le particolarità morfologiche del frammento che, per l’orlo svasato e le anse a nastro, appare simile ad un tipo rinvenuto a Classe ed attribuito ad una produzione del Mediterraneo orientale (Cima.’ 2009, fig. 4, 3).
Interessante è anche il riempimento US 3092 della fossa US 3091, tagliata successivamente dall’US 3035. Proprio per il fatto che del riempimento della buca si conservano soltanto pochi centimetri, il materiale ceramico raccolto è in piccola quantità, ma è comunque interessante, considerato che sembra rappresentare un contesto ceramico vicino cronologicamente all’US 77, ma probabilmente con uno scarto di qualche decennio. Anche in questo contesto le tegole sono striate, mentre sono soltanto due i frammenti di sigillata, pertinenti alla forma Hayes 104B ed evidentemente residuali; un frammento di vaso a listello in ceramica comune, vicino morfologicamente alla forma 91D, ha sull’orlo e sulla parte superiore del listello una sorta di ingobbio beige; esso potrebbe appartenere ad un gruppo di prodotti africani molto tardi, classificati da Bonifay come D4 (BoNIEAv 2004, p. 210), di cui alcuni esemplari sono stati rinvenuti a Cignana (Rizzo 2010, pp. 284-285, fig. 8; RIZZO, ZAMBITO, c.s.). Sono parecchie invece le pareti di anfore africane, ed è presente anche un tappo d’anfora forato, di un tipo comune in Africa (BoNIEAv 2004, commune 43). Probabilmente non residuali sono invece alcuni frammenti di anse di contenitori da trasporto o da dispensa, tutti a nastro non scanalato, ed un frammento di parete di anfora a superficie schiarita e larghe scanalature con evidenti inclusi calcarei. Il riempimento contiene anche una lucerna (fig. 5c), con infundi-bulum piccolo e di forma ovoidale e presa posteriore apicata, che sembra quasi attestare una fase di passaggio tra il tipo “siciliano” e il più tardo tipo “a ciabatta”.
A distinguere questo contesto da quello precedentemente descritto è essenzialmente la ceramica da fuoco, che nell’US 3092 è quasi tutta fabbricata al tornio, ha impasto scuro per cottura riducente, indusi calcitici e superficie in qualche caso irregolarmente beige. Pochi i frammenti la cui forma sia riconoscibile: uno relativo ad un’olla con orlo estroflesso e bordo rilevato; un’ansa a sezione circolare di una pentola o casseruola; una grossa presa di coperchio. Si tratta di un tipo di ceramica da fuoco rinvenuta anche in altri siti rurali dell’agrigentino, ed in particolare a Cignana, nei pressi di Palma di Montechiaro, e a Vito Soldano, presso Canicattì, in contesti di non facile datazione, ma che ci sembra orientino verso la prima metà dell’VIII secolo. Essa è caratterizzata appunto da impasti scuri per cottura riducente e dall’abbondante presenza di inclusi calcitici, nonché da morfologie che si ripetono in tutti i siti in cui essa è stata finora individuata: si tratta essenzialmente di olle con orlo estroflesso e di coperchi con grossa presa troncoconica. Esami petrografici realizzati su
esemplari di Cignana non sono stati in grado di avanzare ipotesi di provenienza. Quello dell’olla con orlo estroflesso è un tipo morfologico ben rappresentato nel panorama delle ceramiche da fuoco altomedievali in Sicilia (ARDIzzoNE 2004, fig. 1; ARMA 2010, fig. 16), ma sembra attestato soprattutto con impasti ossidanti. Un frammento a cottura riducente è stato rinvenuto a Marettimo (ARDIzzoNE 2004, p. 376) ma ha una decorazione incisa finora non documentata nel territorio di Agrigento e che sembra rimandare a produzioni di area adriatica; olle con orlo estroflesso a cottura riducente sono attestate a Morgantina, ma presentano una caratteristica decorazione a stuoia assente negli esemplari agrigentini (ARcIEA 2010, p. 21). In generale, ceramiche calcitiche a cottura riducente fanno la loro comparsa
in Sicilia secolo, ed anzi questa tecnologia sembrerebbe distinguere le produzioni altomedievali da quelle di tradizione romana (ibid., p. 12), ma non mi sembra che al momento i tipi agrigentini trovino confronti stringenti. Se ne può invece rilevare la somiglianza, sia sul piano morfologico, sia su quello tecnologico, con tipi diffusi soprattutto in area adriatica ed in particolare in Abruzzo, dove vengono considerati di influenza orientale (STAFFA 1998, figg. 17-20; ID. 2004, p. 216). Sul piano cronologico, l’assenza di sigillate, se non chiaramente residuali, potrebbe rappresentare un indizio, anche se ex silen-tio, per datare l’US 3029 qualche decennio dopo l’US 77. Ci auguriamo comunque che proprio dall’esame di ulteriori butti di Colmitella, contesti chiusi e cronologicamente delimitati, possano venire nuovi dati per la datazione di questo tipo di ceramiche da fuoco, che potrebbero rappresentare un importante indicatore cronologico per l’Altomedioevo nel territorio agrigentino. Interessante la presenza in questo butto di due lame di ferro, considerato che gli oggetti in metallo sono molto rari tra i rifiuti finora analizzati nel sito, probabilmente perché oggetto di un’intensa attività di ricidaggio (DE SENA, RIVELLO 2006, p. 369; MANACORDA 2000, p. 73).
Gli altri riempimenti finora studiati sono di epoca decisamente più tarda, pienamente medievale. La US 59, che, insieme alla 46, riempie la fossa US 24, contiene molti reperti integri o ricomponibili. Si tratta essenzialmente di ceramiche da dispensa, da cucina e da mensa, che trovano ampio confronto in diversi contesti siciliani dell’XI secolo, sia in ambito urbano sia rurale: diverse le anfore dipinte (tav. I, 4), con anse a solcatura mediana, molto simili ad esemplari palermitani (ARcIEA 1997, fig. 2a, 10; EAD. 1998, fig. 3), e le ceramiche a schiarimento superficiale, anfore (tav. I, 6-9), simili a tipi prodotti dalle fornaci agrigentine (BONACASA CARRA,ARDIZZONE 2007, fig. 33), brocche, tra le quali una miniaturistica interamente conservata; in minor misura contenitori di tipo diverso, tra cui le olle. Molta la ceramica da fuoco, in gran parte plasmata a mano o al tornio lento; è presente tuttavia un frammento di olla fabbricata al tornio (tav. I, 10), simile per la forma ad olle attestate nel IX secolo a S. Vincenzo al Volturno (PATTERSON 2001, fig. 10.50). Plasmata a mano o al tornio lento è invece un’olla con piccolo orlo inspessito a sezione triangolare (tav. I, 11), simile ad un tipo attestato a Casale Nuovo, Mazara del Vallo (MoLINARI, VALENTE 1995, tav. III, 2), in contesti di XI secolo.
La ceramica invetriata è costituita, per quanto riguarda le forme aperte, pressoché esclusivamente da catini carenati, con carena bassa, con orlo assottigliato o con orlo inspessito, decorati con semplici tratti bruni e verdi (tav. I, 14) o più complessi motivi in bruno, giallo e verde; tra questi ultimi si segnala parte di un bacino pertinente al gruppo cd. con decorazione a pavoncella (tav. I, 13) (MoLINARI 1995, p. 192; EAD. 1994b, p. 103). Tra le forme chiuse, oltre a qualche frammento di brocchetta, si segnala un vasetto globulare integro, decorato a spicchi tracciati in bruno e campiti in verde, molto simile per la forma ad esemplari rinvenuti a M. Iato (RITTER LUTZ 1991, B81-83, tav. 27 e fig. 36). Rari invece i residui. Il contesto, nel complesso sembra poter essere datato entro la prima metà dell’XI secolo.
La fossa 21, riempita dall’US 44 conteneva tipi ceramici confrontabili in gran parte con i prodotti delle fornaci di Agrigento e databili al XII secolo avanzato: anfore a superfici chiarita, simili a tipi prodotti dalle officine dell’area della necropoli paleocristiana (ARnizzoNE 2007, gruppo 13, fig. 32, cat. 70-71); ceramica d’uso comune anch’essa schiarita, tra cui si segnala un’olla con versatoio (ibid., fig. 40, tipo 16; FIORILLA 1995, fig. 6; EAD. 1990, p. 28, fig. 7) e parte di una giara (tav. I19), ceramica da fuoco plasmata a mano (tav. I, 15), rappresentata in particolare da pentole con orlo leggermente rientrante e presa verticale (ARnizzoNE 2007, fig. 28, tipo 3). Le forme invetriate sono rappresentate da pochi frammenti a decorazione policroma, vicini anch’essi a tipi prodotti dalle fornaci agrigentine di Santa Lucia, e più numerosi frammenti di catini invetriati in verde con orlo decorato da tratti bruni (tav. I, 16-17); un solo frammento ha decorazione solcata. Sono presenti inoltre alcuni frammenti di tazze carenate decorate a bande e archetti tracciati in bruno e campiti in verde (FIORILLA 1990, p. 36, fig. 59-60; EAD. 1995, fig. 17) e una lucerna aperta invetriata verde (tav. I, 18).
tav. I — Ceramiche dai butti. Scala 1:4.
Un ultimo, rapido cenno riguarda infine i primi, preliminari dati derivanti dagli esami paleozoologici, effettuati da Maurizio Di Rosa, e relativi essenzialmente al riempimento US 59. L’esame ha mostrato come i resti ossei fossero essenzialmente resti di pasto, che consentono di ricostruire un’alimentazione in cui il contributo fondamentale era fornito dai mammiferi domestici, tra i quali predominano gli ovicaprini, il bue e in misura minore, il maiale. La caccia sembra invece rivestire un ruolo marginale, anche se la presenza, pur modesta, di specie selvatiche, il coniglio ed il cervo, consente di immaginare un paesaggio nel quale persistevano tratti di bosco e boscaglia.
SETTORE B
A valle della strada attuale, sulla pendice sud-occidentale dell’altura di Rocca Colmitella e almeno in un tratto della breve piana al di sotto doveva svilupparsi un settore di abitato. L’area è ancora in corso di scavo e non ne conosciamo dunque né l’effettiva estensione né la configurazione complessiva. Ad oggi sono stati messi in luce completamente soltanto due vani (fig. 2) ed uno solo (vano II) è stato completamente scavato. Esso è delimitato su due lati da muri costruiti con doppio filare di pietre calcaree grossolanamente sbozzate in facciavista disposte in corsi regolarizzati con frammenti di laterizi, prevalentemente di tipo bizantino, ma con la sporadica presenza di tegole vacuolate, di un tipo diffuso in Sicilia, a quanto sembra dalle ricerche più recenti, a partire dall’VIII secolo (ARcIFA 2010, pp. 108-110).
Tegole vacuolate costituivano anche il crollo del tetto del vano, depositatosi su un piano di calpestio ottenuto con terra battuta e tritume calcareo. Presso il muro meridionale dell’ambiente, forse in origine in coincidenza con l’angolo sud-occidentale, distrutto da uno sbancamento moderno, si è rinvenuta una massicciata di forma pressoché ellittica ottenuta con pietre disposte in modo irregolare e rinzeppate con tegole di riutilizzo, realizzata con ogni probabilità per ottenere un piano di lavoro o di appoggio di un qualche attrezzo. Esso è forse connesso con un piccolo ambiente quadrangolare che si sviluppa a sud del vano II, il cui muro meridionale è perforato da una canaletta, il cui fondo è ottenuto con tegole (fig. 3). La canaletta, in pendenza verso sud, doveva sboccare in una buca, scavata ad una quota più bassa, contenente forse in origine un contenitore destinato a raccogliere il liquido che doveva scorrere nella canaletta. In attesa di completare l’indagine, si segnala la somiglianza di questa sistemazione con la struttura per la pigiatura dell’uva che nel VII secolo ha occupato l’area già sede del Ginnasio nell’abitato antico di Agrigento (FIORENTINI 2009, pp. 103105). È evidente comunque che si tratta di strutture finalizzate ad una attività produttiva, la cui natura ci si augura possa essere meglio chiarita con il prosieguo delle ricerche.
Ciò che è chiaro già adesso è che non si tratta di una unità produttiva isolata, come quella realizzata nell’area del Ginnasio di Agrigento, ma di parte di un più ampio complesso, comprendente con ogni probabilità anche ambienti di tipo domestico. Per quanto riguarda la cronologia di quest’unico vano finora scavato, un elemento post quem è dato da un sigillo inglobato nel piano di terra battuta, relativo ad un Antiochos notarios e databile nel corso deTVIII secolo (fig. 5a). I pochi materiali rinvenuti sul piano di calpestio, tra i quali si segnala un’ansa di bronzo decorata sulla sommità con un piccolo melograno (fig. 3), pertinente probabilmente ad un tipo di versatoio ritenuto in genere di manifattura persiana, e un frammento di casseruola ad orlo inspessito e rientrante, simile ai tipi rinvenuti a Roc-chicella e in altri siti della Sicilia centrorientale e meridionale (ARCIFA 2010, pp. 120-121), potrebbero datare l’abbandono alla prima età islamica.
Si è protratta invece fino all’avanzato Medioevo l’occupazione della sommità dell’altura, dove sono stati messi in luce alcuni brandelli di muri e due grandi contenitori di terracotta, inseriti in buche scavate nella roccia. Un primo sommario esame dei materiali ceramici rinvenuti sembra riportare alla fine del XII-inizi del XIII secolo l’utilizzo di questa parte del sito.
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