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Periferie di Agrigento: il Villaggio Mosè nel 1968

21 Novembre 2014 //  by Elio Di Bella

La contrada nella quale sorge la Borgata porta il nome del grande legislatore ebreo salvato materialmente dalle acque del Nilo — Il villaggio in parola risulta letteralmente tagliato fuori dalle “acque” potabili, non a titolo di salvezza ma di disperazione e di grave disagio. Difatti la penuria di acqua è veramente straordinaria malgrado il supplemento — con autobotte e a mò di contagocce — che il Comune di Agrigento vi eroga, permettendolo — s’intende — la sua disponibilità di acqua.

La prima opera, in Agrigento, iniziata negli anni del tramonto del passato regime ed ultimata dai «governi-De Gasperi » agli inizi di questo — democratico — è, senza dubbio, il Villaggio Mose. Un Villaggio fantasma non tanto per il difficile parto con cui è venuto alla luce — nel giro di un decennio e a cavallo di una dura guerra — quanto piuttosto per il modo con il quale gli ingrati padri lo hanno fatto vegetare. La sua storia, con tinte vivaci e ponderata documentazione, ce la racconta il parroco, Don Leopoldo Cucchlara, autore di un dossier ciclostilato.

Da circa tre anni Don Leopoldo Cucchiara è parroco al Villaggio. Sino allora nessuno aveva avuto il coraggio di mettere il dito su questa piaga purulenta del «villaggio », di occuparsene, di denunciare le discrasie maturate nel tempo, di alzare una voce e romperla con la stagnazione dell’inerzia che cova miseria nella miseria e ingiustizie nelle ingiustizie.

Nell’autunno del ’66 Don Leopoldo scrisse una dura lettera aperta alle « autorità comunali, provinciali, regionali e nazionali, ai tecnici e funzionari di uffici ed enti pubblici », e al « distratto passante »; la titolazione ai destinatari continuava « …Se desideri vedere la sofferenza umana, l’ineguaglianza e l’arretratezza civile non hai bisogno di trasmigrare in un altro continente come l’Africa o l’Asia ti basterà fermarti qui dove tutte queste cose esistono da tanti anni, ad un palmo del tuo naso, e tu, fin’ora, non te ne sei accorto ». Un furetto nella tana dei conigl i! e comunque qualcosa di nuovo: una denuncia, in termini umanissimi e cristiani, di una situazione che, aldilà degli aspetti politico-amministrativi, presenta prima di tutto compiti da assolvere sul piano della elevazione civile la cui frustrazione pone i nostri villaggi, i nostri antichissimi centri abitati nel novero e al livello dei tuculs dei paesi del terzo mondo.

Don Leopoldo denunciava con la lealtà di un boy-scout, ma con l’incisività e asprezza di un vecchio soldato Io stato di abbandono e le condizioni precarie della vita del villaggio, l’indolenza e la pigrizia delle autorità, le esigenze fondamentali da soddisfare e a cui nessuno pensava. Ma con molto senso di carità il nuovo parroco ammoniva:

« Oggi è di moda ricercare i responsabili…. (fatto con-seguente alla frana del luglio 1966)…. Noi non diamo colpa a nessuno. Vorremmo però uscire da un vicolo cieco. Se diciamo che abbiamo bisogno dell’acqua in misura decente, se chiediamo una scuola migliore, una casa in proprietà, una farmacia, un ufficio postale, e un più frequente collegamento col centro, ci sentiamo rispondere che siamo troppo pochi, che ci sono problemi più urgenti o più gravi dei nostri… » Possono esistere problemi più gravi di quelli di un villaggio, anche di poche anime che reclamano un po’ di acqua, una farmacia e qualcos’altro tanto quanto può bastare a tirare avanti e non crepare a due passi dal capoluogo di una provincia?

Quando, qualche sera fa, abbiamo incontrato nella piazzetta del Villaggio Mose, Don Leopoldo, al termine della messa che egli aveva celebrato in un rustico locale del colossale complesso parrocchiale che attende le sue rifiniture, la sua grinta ci è apparsa meno aspra di quella rinvenuta nella « lettera aperta ».

A due anni di distanza che cosa è accaduto di nuovo? chiediamo a Don Cucchiara:

« Nulla. Ci siamo dati da fare noi: nelle aree libere del villaggio abbiamo messo a dimora centinaia di piantine e qualche domenica fa — il 16 giugno — abbiamo costi¬tuito un comitato per ottenere i contratti degli appartamenti. Per l’acqua siamo allo statu quo, ma tutto quello che noi attendiamo e che ci sforzeremo di ottenere lo può trovare in questo prò memoria ». Si tratta di quattro fogli ciclostilati: una documentazione di équipe firmata da Don Leopoldo Cucchiara, il Sen. Olindo Carubia, il dr. Francesco Palminteri, Liborio De Gregorio, Gaspare Brucculeri, Calogero Ginex, Francesco Russo, Giuseppe Di Stefano, Geom. Amedeo Alba, Calogero Amendola.

Il dossier è indirizzato al Prefetto di Agrigento e reca la data del 24 novembre 1967. L’equipe si qualifica « gruppo di studio »; lo scopo della sua costituzione è quello di redigere un documento di base per la rinasci-ta del vinario: le finalità del documento sono quelle di dare una « visione organica e dettagliata delle istanze collettive e comunitarie della borgata ».

Il lavoro del « gruppo di studio » è una meravigliosa ed encomiabile sintesi del processo di sclerotizzazione di un ente locale là dove nelle premesse, nelle condizioni di esistenza, nelle strutture costitutive, sono intervenuti fatti burocratici tali da paralizzare quanto di umano e di logico era nel naturale sviluppo e consolidamento di una comunità.

Ma leggiamone insieme i punti salienti:

« Il Villaggio Mose fu progettato nel 1939-40 e durante l’ultimo conflitto mondiale se ne decretò dal Governo dell’epoca la costruzione.

Il primo piano regolatore ed il relativo progetto di massima redatto dall’Ente Zolfi italiano prevedeva la costruzione di 500 alloggi e dei relativi servizi calcolati per 3.000 abitanti, ma all’atto esecutivo veniva deliberata la realizzazione di un primo stralcio di 300 alloggi per 1.800 abitanti.

Con decreto prefettizio numero 212.551 del 3-9-1941 la cui copia trovasi depositata alla Conservatoria dei Registri Immobiliari col n. 7381-6144 di posizione recante la data del 6-9-1941, veniva espropriata l’area edificabile e si dava inizio alla costruzione degli alloggi.

Le opere relative ai servizi pubblici vennero affidate al Genio Civile che vi provvedeva con progetto 2659 del 24 maggio 1941 per l’importo di L. 2.240.000.

Mentre per la costruzione delle case l’incarico fu affidato all’I.A.C.P.

Col sopraggiungere però dello stato di emergenza e della relativa occupazione degli alleati gli edifici venivano abbandonati.

Se ne riprendeva la costruzione nel 1945, tanto che le prime famiglie di zolfatai vi si potevano stabilire solo nel 1952.

I primi anni di vita del Villaggio furono veramente travagliati e difficili tanto da porre in discussione anche la   stessa   ragione d’essere della borgata che venne perciò quasi abbandonata a se stessa.

Per un certo tempo i minatori affamati ed in continua agitazione si rifiutarono di pagare le pigioni e quanto l’I.A.C.P. stringeva i freni chiedendo anche gli arretrati non furono poche le famiglie che decisero di ritornare a Favara loro paese d’origine.

Fu così che si diffuse l’opinione che il Villaggio fosse in gran parte disabitato ».

La condizione attuale

Circa le condizioni attuali il documento dice:

« Attualmente il Villaggio è composto di n. 49 isolati divisi in 155 alloggi occupati da 143 famiglie, mentre 12 sono gli alloggi destinati a servizi pubblici.

Gli appartamenti sono stati costruiti e vengono tutt’ora gestiti rispettivamente: n. 119 dall’IA.C.P.; n. 24 dal-l’E.Z.I.; n. 12 dalla Gescal.

La popolazione è costituita da 531 persone di cui 451 stabilmente residenti al Villaggio e solo 80 saltuari per emigrazione interna ed estera.

Gli unici edifici pubblici sono: la scuola elementare e la Chiesa con annessa casa canonica costruiti con i criteri della massima economia in tempi di guerra o di autarchia tanto che parecchie sono le case in precarie condizioni di stabilità.

Gli appartamenti sono composti di 2, 3 o 4 vani cucina compresa, mancano le vasche da bagno e molti appartamenti sono divisi metà a piano terra e metà al primo piano e collegati da una scala interna molto scomoda.

Le strade sono mal tenute, la piazza centrale è scarsamente illuminata, le banchine non delimitate da precisi confini sono di terra battuta e vi allignano le erbe di ogni specie che sono un facile ricettacolo di rifiuti.

Prospettive future

Il gruppo di studio tuttavia non si contenta di denunciare ma si dimostra ottimista circa il futuro del Villaggio al punto da elencare delle premesse indispensabili per lo sviluppo della borgata.

« Le premesse di questa concreta ed immediata possibilità di sviluppo — prosegue il documento — sono:

—   L’incremento della motorizzazione che annulla le distanze.

—   L’alta densità della popo-lazione al Villaggio e le continue richieste di alloggi da parte di cittadini che volentieri vi si stabilirebbero.

—   L’impossibilità di costruire nei pressi del centro storico e la più volte conclamata tendenza degli agrigentini a trasferirsi dalla collina verso il mare.

—   Lo sviluppo preso dalla vicina spiaggia e dalla pianura del Cannatello.

—   La larga presenza dell’iniziativa privata che si esprime con le numerose costruzioni in corso nelle immediate adiacenze del Villaggio  nonché  con il rilevante numero di lotti di terreno edificabili acquistati da privati cittadini ».

Esigenze immediate

Tuttavia, mentre i villeggiani e i firmatari del dossier tengono lo sguardo rivolto al futuro, occorre provvedere alle più immediate esigenze del presente.

« Indipendentemente però dalle prospettive future — precisa il gruppo di studio — non è ulteriormente tollerabile lo stato d’incuria o di totale assenza dei pubblici poteri in cui la borgata si trova.

Alcuni problemi che qui di seguito si elencano sono di tale modesta entità finanziaria che data la loro vitale importanza meritano di essere prontamente risolti, essi sono:

Cessione in proprietà degli alloggi popolari agli assegnatari in applicazione della legge n. 231 del 1962, (nessuna spesa). Allacciamento idrico alla nuova condotta per S. Leone, (spesa L. 20 milioni).

Impianto di purificazione delle acque luride e condotta fognante fino al fiume Naro (spesa L. 30 milioni).

—   Costruzione n. 18 alloggi legge 640 (Stanziamento del Dicembre 1965, fermo per mancato interessamento).

—   Allacciamento telefonico urbano, (progetto in corso di attuazione).

—   Manutenzione delle strade (spesa L. 300.000).

—   Miglioramento illuminazione pubblica nella piazza centrale, (spesa lire 600.000).

—   Istituzione distaccamento Vigili Urbani, (spesa minima).

—   Incanalamento acque piovane onde evitare il depositarsi del fango nelle strade, (spesa L. 500.000).

—   Realizzazione di alcune zone di verde pubblico, spesa L. 4 milioni).

—   Pavimentazione dei mar-ciapiedi, (spesa L. 35 milioni).

—   Riparazione edificio Scuole Elementari, (spesa Lire 3 milioni, progetto in corso) ».

Le spese complessive non superano in tutto i 100 milioni.

In molti casi si tratta di somme che potrebbero essere facilmente attinte a capitoli di spesa pubblica disponibile, oppure a stanziamenti in atto operanti, o infine trattasi di progetti in corso di approvazione.

Questo gruppo ritiene che i tempi siano maturi e che non può essere più ulteriormente lasciata in balia di se stessa una comunità che oggi è di quasi 500 persone domani potrebbe essere molto più numerosa ».

Nel dossier non si fa cenno allo sportello postale, alla farmacia e a qualche altro servizio pubblico che troverebbero, senza dubbio, facile soluzione se venissero soddisfatte le richieste di cui si fa interprete il « gruppo ».

Sottolineamo: con la spesa di appena 100 milioni di lire si darebbe un nuovo volto ad un villaggio e ad una comunità di anime che proietterebbero una nuova luce nella storia della rinascita della nostra gente. Una cosa meravigliosa e a poco prezzo: duecentomila lire per ognuno dei cinquecento villeggiani del « Mose ». Molto di meno certamente di quanto rendono i miliardi accantonati e inutilizzati dell’ex articolo 38 di cui sempre si parla ma che non si ha il coraggio di investire.

 Frana anche il villaggio?

A distanza di qualche mese dalla pubblicazione del nostro servizio, si diffondeva un’allarmante notizia: Il Villagio Mose frana!

In effetti si era verificato un cedimento di terreno su cui insistono le palazzine del Villaggio.

Il parroco, Don Leopoldo Cucchiara, indirizzava, ad un noto quotidiano dell’Isola, una lettera che veniva pubblicata il 13 ottobre e che noi integralmente riportiamo. Nella lettera il parroco fa il punto della situazione.

« Il mandato di parroco che dalla Chiesa abbiamo ricevuto e la fiducia che i fedeli ripongono in noi ci impongono in un’ora tanto grave per la esistenza stessa della piccola Comunità che presiediamo, il dovere di dire tempestivamente una parola chiara.

« Non è nostra intenzione di pronunciarci in materia che non sia di nostra competenza ben conoscendo il poco valore che verrebbe ad avere il nostro parere, tuttavia qualunque fenomeno che direttamente o indirettamente investe la vita dell’uomo creatura e figlio di Dio, importa ripercussioni etiche e sociali dinanzi alle quali riteniamo nostro, dovere preciso assumere posizione responsabile. Già altre volte abbiamo denunziato dinanzi alla pubblica opinione lo stato di abbandono in cui versava il Villaggio Mose, abbandono che aggravava le precarie condizioni stabilitesi sin dal nascere della borgata per l’estrema povertà dei mezzi impiegati nella sua costruzione, ne abbiamo mancato di mettere in luce i dati di fatto positivi che fanno legittimamente sperare e pensare al Villaggio Mose come ad una zona di sviluppo urbanistico.

« La notizia allarmistica non ufficiale, ma larghissimamente diffusa del cedimento di terra su cui sono costruite un gruppo di palazzine della borgata ha colpito ed impressionato tutti gli agrigentini per i quali simili parole hanno un suono sinistro, ma più ancora ha toccato il cuore degli abitanti del Villaggio dei quali non ci stancheremo di tessere l’elogio per la dignità dimostrata nel sopportare serenamente l’ordinanza di sgombero e puntellamento delle case, collaborando con ì tutori dell’ordine e col Comune che è stato perfino sgravato dall’obbligo di provvedere all’alloggio delle fami glie sinistrate che preferivano rifugiarsi presso parenti ed amici pur di non allontanarsi dal loro amato Villaggio.

« Attualmente il disagio di questa Comunità che non ha mancato di portare il suo contributo di ospitalità e di altri aiuti ai franati del 19 luglio ed ai terremotati del 15 gennaio continua, come continua la preoccupazione di essere come per il passato trascurati e dimenticati, oppure la macchina   degli accertamenti tecnici e degli interventi possa far sentire tutto il peso della sua esasperante lentezza.

« Al momento in cui scriviamo dobbiamo notare con rammarico l’assenza dei politici e dei responsabili della cosa pubblica i quali non dubitiamo intendono certamente intervenire con gli strumenti di spesa pubblica a loro disposizione non appena si conoscerà con esattezza l’entità dei danni da riparare e la qualità degli interventi da operare, ma intanto potrebbero venire a portare personalmente una parola di conforto compiendo un gesto di solidarietà che prima di essere politico è doveroso perchè umano.

« Diamo atto ai tecnici delle pubbliche Amministrazioni interessati di essere intervenute con tempestività e zelo; ma soprattutto a nome della popolazione esprimiamo la più viva gratitudine per il dott. Corrado Romeo, Commissario governativo dell’Istituto Case Popolari, il quale con prontezza si è recato ad ispezionare minuzio-samente il posto, intrattenendosi a lungo a cordiale colloquio con gli assegnatari.

« Ci risulta altresì che il dr. Romeo sta instancabilmente interessandosi presso il Governo centrale e regionale per ottenere gli stanziamenti necessari a potere riparare gli alloggi senza che le relative spese gravino sulle modeste possibilità degli assegnatari.

« Ci auguriamo che questa sia finalmente l’occasione favorevole perchè il Villaggio Mose da anni abbandonato, possa essere tenuto nella giusta considerazione ».

 

 

di Alfonso Di Giovanna

articolo pubblicato sul settimanale l’amico del Popolo il 14 luglio 1969 n.28

 

villaggio mose per gentile concessione di rosa criminisi

 

 

Categoria: Agrigento Racconta

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