Allo scoppio della guerra, il 10 giugno 1940, ad Aragona furono distaccati il decimo reggimento bersaglieri e il 58simo fanteria, al fine di difendere il territorio, che in verità non aveva un grande valore strategico.
I militari ebbero il loro quartiere generale nella palazzina Carrubba, in periferia del paese, ed utilizzarono alcuni edifici del centro abitato per la loro sistemazione logistica, tra cui l’oratorio della Chiesa Madre, che fu adibito a magazzino e bivacco delle truppe, e la Chiesa sconsacrata del Purgatorio, adoperata come magazzino del genio.
Un altro deposito fu sistemato in contrada quattro strade, nei pressi della stazione ferroviaria di Caldare, mentre la polveriera fu dislocata nelle vicinanze del cimitero.
Aragona, però, per la sua scarsa importanza strategica, fu risparmiata dalla guerra e venne coinvolta soltanto marginalmente, per qualche sporadico episodio.
I bombardamenti nelle fasi più cruenti del conflitto colpirono ripetutamente Agrigento, la stazione ferroviaria di Caldare e, soprattutto, Porto Empedocle ma risparmiarono il centro urbano aragonese.
La città marinara, essendo una importante base navale ed il principale deposito di zolfo dell’entroterra, fu sottoposta a cruenti bombardamenti che danneggiarono enormemente il suo abitato e costrinsero gli empedoclini a rifugiarsi nei paesi interni e principalmente ad Aragona che in quelle settimane fu invasa da una moltitudine di empedoclini e agrigentini, questi ultimi, però, in numero minore.
La sera del 9 luglio del 1943 ebbe inizio lo sbarco delle forze alleate in Sicilia lungo la costa centro meridionale e tra Gela e Licata.
Lo sbarco fu preceduto dal lancio di volantini che invitavano la popolazione isolana alla resa e alla defezione, promettendo migliori condizioni di vita, e da un continuo bombardamento che colpì Agrigento per tutto il mese precedente.
Nelle campagne di Aragona gli aerei arrivavano a bassa quota in cerca di postazioni militari ma non lanciavano bombe e non sparavano sui civili.
II pomeriggio del 9 luglio le azioni nemiche cessarono mentre sulle spiagge meridionali dell’isola si abbatteva un vento fortissimo tanto che gli esperti ritenevano che quella notte i nemici non avrebbero potuto sbarcare. Invece le forze anglo- americane sbarcarono quella notte nonostante il forte vento che disperse in una grandissima area i paracadutisti, allontanandoli dagli obiettivi.
Le segnalazioni della loro presenza in una amplissima area, in zone lontanissime tra loro, però, crearono confusione e disorientamento nei comandi italiani e tedeschi.
Lo sbarco ebbe inizio a mezzanotte tra Avola e Pozzallo e tra Gela e Licata, lungo due direttive per Catania e per Agrigento, Caltanissetta e Palermo per chiudere in una morsa le forze italo-tedesche. La VII Armata Americana, guidata dal generale Patton, in poco tempo travolse la resistenza dei soldati della Divisione Livorno e Goerning, comandati dal Generale Rossi, e intorno alle sei occupò Gela, dirigendosi verso Licata. La difesa gelese era già stata fiaccata dal massiccio bombardamento degli incrociatori Savannach e Boise, che aveva preceduto lo sbarco e aveva scompaginato il fronte difensivo da ponte Olivo alle porte della città.
Gli alleati dopo l’occupazione di Gela proseguirono la loro marcia per Licata e l’occuparono intorno alle undici. Il giorno 12 occuparono Naro e Canicatti e si diressero verso Agrigento ma prima di poterla occupare dovettero piegare la tenace resistenza dei pochi soldati, mal equipaggiati, che la difendevano. Soltanto dopo averla accerchiata e bombardata a tappeto il 12 luglio, provocando più di duecento vittime tra i civili, riuscirono ad entrare dentro le mura della città, la sera del 17 luglio. Quello stesso giorno caddero Raffadali, Montedoro ed Aragona dove non ci fu alcuna resistenza.
I soldati italiani che la presiedevano fuggirono precipitosamente o indossarono abiti civili e si mescolarono tra la popolazione.
Essi, però, prima di darsi alla fuga fecero esplodere il deposito di munizioni che si trovava nei pressi del Cimitero.
Gli americani al loro arrivo distribuirono abbondantemente alla popolazione aragonese, “che in verità, non si esaltò eccessivamente per i liberatori”, carne in scatola, latte in polvere, cioccolato e sigarette. Gruppi di persone approfittando dell’arrivo dell’esercito alleato, saccheggiarono i depositi abbandonati dell’esercito italiano, spinti dalla fame e dalla miseria. L’esercito americano dopo aver 1 occupato Aragona si diresse verso Palermo, lungo la strada statale 189 ma nelle vicinanze del paese a Passo Funnuto, fu costretto a i rallentare la sua marcia per la resistenza di alcuni gruppi di artiglieria italiana comandati dal colonnello Thaon de Ravel, che, sebbene armati “con antiquati cannoni a tiro lento e curvo”, riuscirono per più di un giorno a bloccare l’avanzata nemica.
Il combattimento che si ingaggiò fu uno degli “isolati episodi di resistenza da parte di unità italiane”, che rallentò l’avanzata dell’esercito americano e coinvolse da vicino Aragona, ma senza arrecarle alcun danno.
Da Aragona i soldati anglo-americani si dirissero pure verso Santa Elisabetta ed i pochi soldati tedeschi che la presidiavano abbandonarono la loro postazione non prima però di aver fatto saltare il deposito di munizioni che si trovava alle porte del paese.
Francesco Graceffa