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Destava Profonda Impressione il Lusso degli Antichi abitanti di Agrigento

30 Aprile 2017 //  by Elio Di Bella

Il lusso e la profusione degli abitanti d’Agrigento erano sì grandi in  quei tempi di prosperità, che erano, per così dire, passati in proverbio presso gli antichi, e che coloro i quali sono stati testimonii delle loro ricchezze e della loro prodigalità ne rimanevano estatici.

Platone, Empedocle, Diodoro e molli altri autori parlan nel modo istesso delle ricchezze e della magnificenza che gli Agrigentini spiegavano in tutte le occasioni; ma hanno altresì reso giustizia alle loro belle qualità, facendo risaltare la loro ospitalità, e la generosità di cui si piccavano verso gli stranieri non che verso gli infelici.

Noi forse non ripalerem qui se non ciò che tutti sanno, ma non si possono omettere certi fatti quando spettano alla storia di una città sì celebre nell’antichità: il lusso era portato a sì alto grado in Agrigento, che molti esempi sembrerebbero esagerati, se non fossero confermati da varii autori contemporanei.

Citasi fra gli altri il seguito d’ un vincitore della corsa dello Stadio, il quale fece il suo trionfale ingresso nella città, alla testa di trecento carri, tirato ciascuno da due cavalli bianchi, tutti d’Agrigento.

Gli abitanti, i quali facean tutto con profusione, erano altresì generosi verso i loro cavalli, de’ quali aveano somma cura quand’erano vecchi; li custodivano sino al termine della loro vita, e ad essi innalzavano magnifiche tombe; e lo stesso facevano pegli uccelletti che aveano avvezzati. Sotto il romano impero si è ciò fatto parecchie volte; e sappiamo che, senza contare i versi inspirati a Catullo dal passerotto di Lesbia, molti poeti sono si divertiti nel fare ingegnosi epitaffi sopra a qualche animale prediletto.

Fra la numerosa popolazione della città di Falaride eravi taluno strabocchevolmente ricco; e Gellia, che vi passava pel più potente, avea  varii servi alla porta della città, i quali inducevano gli stranieri ad andare ad alloggiare da lui. Diodoro, che porge molti  particolari circa il lusso di quegli abitanti, dice che essendo un giorno arrivati in Agrigento cinquecento cavalieri, furono tutti alloggiati e trattati in casa di Gellia. Una delle sue cantine conteneva trecento grosse botti di vino, incavate nella roccia, ed ogni botte conteneva cento urne.

Un altro cittadino, chiamato Antisténe, dava egli pure molte prove della straordinaria sua ricchezza: pel matrimonio della propria figliuola trattò tutti gli abitanti d’Agrigento, ed illuminò tutta la città ; e quando la sposa andossene dalla casa paterna per recarsi a quella dello sposo, il suo corteggio fu composto di ottocento carri, senza contare i cavalieri.

Era tanta la mollezza degli abitanti d’Agrigento in tempo dell’assedio posto dai Cartaginesi alla loro città, che fu uopo emanare un’ordinanza mediante la quale era proibito a qualunque cittadino che montasse la guardia alla cittadella per difesa della città d’avere più d’una materassa, d’una coperta, d’un capezzale, e di due guanciali,

Diodoro aggiugne che agli Agrigentini parve durissimo questo decreto.

 In quanto a Gellia, il medesimo scrittore ne dice in qual modo perì, e ci narra che quando la sua città natale fu presa, ei si ritrasse nel tempio di Giove Athabir e di Minerva, per non cadere in poter de’ nemici; che vi appiccò il fuoco e che ivi abbruciò con tutte le sue ricchezze.

Agrigenti è andata soggetta a tante sventure nelle guerre puniche, ed anche di poi, che la massima parte de’suoi monumenti è stata distrutta: quella città si florida un tempo, e che Pindaro in una delle sue odi chiama la bellissima fra le città della terra e la regina di tutte, non può più mostrare che qualche avanzo del suo splendore.

Per altro non può negarsi che que’pochi suoi monumenti antichi che ne rimangono non ci porgano una ben alla idea delle opere anteriori; e colà senza eccezione rimengonsi le più belle e le più copiose ruine delle antichità della Sicilia.

Agrigento aveva i suoi teatri, i suoi circhi, i suoi palagi e i suoi anfiteatri, al pari di tutte le grandi città; ma non ce n’è rimasto nè nozione nè traccia. Se non che alcuni templi in ruina ci offron soltanto gli avanzi della sì vantata magnificenza di quegli Agrigentini i quali coltivavano le arti con entusiasmo, e che per le grandi ricchezze potevano incoraggiarle e farle giugnere alla loro perfezione.

C. Pellè in Il Mediterraneo Illustrato. Le sue Isole e le sue Spiagge Firenze 1841

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, akragas, valle dei templi

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