di Elio Di Bella
Al centro del Mediterraneo, c’è una terra, consacrata sede della feconda dea Persefone, all’ombra delle cui verdi oasi regnò il leggendario sovrano dei Sicani Cocalo, che qui costruì l’imprendibile e mitica Camico. Questa terra favorita dagli dei e contesa da grandi sovrani è la provincia di Agrigento, nella Sicilia occidentale.
Si dispiega come un arco teso tra l’azzurro mare africano e le propaggini dei monti Sicani che occupano il cuore dell’Isola. Sulle spianate rocciose sono sorti come fiori selvatici alcune città alte e fortificate, con larga vista sulla pianura e talvolta sulla lontana distesa del mare. Sono i paesi montani di Cammarata, San Giovanni Gemini, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Caltabellotta, Sant’Angelo Muxaro. Lungo il suo litorale si trovano ancora le gemme di antiche civiltà: Agrigento, Eraclea Minoa, Sciacca, Licata.
Con gli altri paesi dell’agrigentino, in tutto 43, costituiscono una costellazione verso cui ogni anno da tempi remoti si dirigono visitatori di tutto il mondo per ammirare le tante bellezze fiorite nei secoli in questo suggestivo angolo del mondo e richiamati dai suoi 136 chilometri di costa con rinomati centri balneari dove le antiche e vigorose tradizioni marinare non sono state cancellate dallo spirito dei tempi moderni.
Scala_dei_TurchiLe insenature e le candide scogliere si lasciano ammirare per certe bizzarrie della natura; come la Scala dei Turchi, nei pressi di Realmonte, dove la marna che precipita in mare è stata così capricciosamente modellata dai venti e dalle onde da realizzare sbalzi, solchi e terrazze che servivano da scalini ai corsari moreschi quando venivano a saccheggiare la Sicilia. Non molto più in là c’è Capo Bianco, alla foce del fiume Platani. Qui vibra e splende una verticale parete così bianca che sembra confondersi con la schiuma delle onde del mare turchino cosparso di scogli a fior d’acqua. E’ visitata ad ogni ora da bianchi gabbiani, gheppi e taccole vocianti che ci conducono fin sopra la parete dove sono i resti dell’anfiteatro e delle mura di Eraclea Minoa, innalzati quattro secoli prima di Cristo; resti di una civiltà che Diodoro Siculo dice fondata da Minosse.
Le onde talvolta finiscono il loro corso e s’infrangono a ridosso di una torre di avvistamento che serviva a difendere la costa dai corsari.
PALMA DI MONTECHIAROCosì avviene alla Marina di Palma di Montechiaro dove si trova la torre San Carlo, una della tante che troviamo nella costa agrigentina. Ma la più famosa di queste torrette è indubbiamente quella che ancora oggi incontriamo presso il faro di Porto Empedocle, la Torre di Carlo Quinto, del Cinquecento, uno degli estremi avamposti spagnoli sul Mediterraneo, prossima a quell’altra torretta, a pianta quadrata, di Monte Rossello, a Siculiana, cosi’ diversa dalla torre detta Makauda, a Sciacca, che è invece a base circolare.
Questo angolo della Sicilia è ricchissimo di testimonianze di antiche civiltà.
Venne popolato infatti da antiche genti le cui vicende possiamo solo immaginare guardando i resti ancora affascinanti dei villaggi preistorici di Naro, il cimitero scavato tremila anni fa nella roccia calcarea a Sant’Angelo Muxaro, dove gli studiosi tendono a localizzare la città di Camico, la necropoli presso Castrofilippo o ancora le tombe degli antichi Sicani incise nella stessa montagna su cui sorge Caltabellotta, l’antica Triocala.
caltabellottaLe regali dimore dei Siculi e dei Sicani scoperte dagli archeologi, ricche di tesori oggi ammirati nei musei di tutto il mondo, ci fanno immaginare i giorni in cui le valli dell’agrigentino erano immerse
in un profondo silenzio interrotto solo dalla laboriosità dei popoli che le abitavano, dal mormorio di qualche fiume o ancora dal grido di quei rapaci che ancora oggi vediamo e proteggiamo nelle oasi custodite di Torre Salsa, presso Siculiana.
Ma sappiamo anche che quel silenzio venne interrotto un fausto giorno dall’arrivo di centinaia e centinaia di coloni greci che cercavano nuove terre generose a loro destinate dagli dei, in cui
innalzare i loro templi, porre le loro tende, avviare i loro fiorenti mercati. Giunsero così nel 582 avanti Cristo nell’incantevole Valle distesa tra i fiumi Akragas e Ypsas gli ecisti Aristoneo e Pistillo
con i laboriosi e colti geloi e rodiensi. Trovarono una terra calda e felice, dove cresce la zagara odorosa, il fico d’india robusto, gli acuminati cespugli dell’aloe e fiori, fiori ovunque.
Tutto ispirava in loro una nuova poesia della vita. E così nacque la città di Akragas, l’odierna Agrigento, in una pianura aperta a tutti i venti, che spirano carezzevoli e gentili. Ed il greco conquistatore non tardò ad abbellirla con magnifici templi, piscine, stadi, edifici pubblici e sontuose case. Una nuova piccola Grecia, dove ancora s’innalzano alte e solenni verso il cielo i magnifici templi dorici.
Sulla via sacra eccoli in fila i templi mirabili: quello di Ercole, della Concordia e di Giunone. L’ammirazione di tutti va innanzitutto verso il tempio detto della Concordia, quasi ancora intatto, solenne e pieno di grazia e di bellezza, tanto che si va verso di esso in un bisogno prepotente di silenzio, come in un raccoglimento religioso.
Volgendo poi le spalle a questo meraviglioso spettacolo possiamo incamminarci ora verso il santuario delle Divinità Ctonie e verso il tempio dei Dioscuri, attorno a cui una immensa congerie di rovine ci ricorda che qua sorgeva uno dei più grandi edifici dell’antichità, il tempio di Giove Olimpico. Riconosciamo tra quegli avanzi una figura di Atlante che nel tempio era destinato a sostenere sulla testa e sulle braccia piegate buona parte della costruzione. Nel Museo archeologico regionale, realizzato con felice intuizione nel cuore della Valle dei Templi, la storia millenaria dell’archeologia mediterranea, con le sue ceramiche dipinte, le terrecotte, le sculture, i sarcofagi, vive delle stesse ineffabili note di bellezza e di grandezza che ammiriamo nei templi agrigentini e offre al turista nuovi stimoli al sentimento e al godimento della classicità.
. Nel mese di febbraio con grande anticipo vi è la straordinaria fioritura dei mandorli della Valle, ormai famosi nel mondo come questa celebre città. E per celebrare questo straordinari evento per una settimana si svolge ad Agrigento una delle manifestazione folcloristiche internazionali più seguite nel mondo: la Sagra del Mandorlo in Fiore.
Il poeta Pindaro dichiara Akragas “la più bella città dei mortali, amica del fasto, ferace di greggi”. Ed il più grande degli agrigentini del periodo classico, il filosofo Empedocle, ha elogiato la propria patria dicendo che “gli Agrigentini mangiano come se dovessero morire l’indomani e costruiscono, come se dovessero vivere in eterno”. Ma probabilmente furono proprio il lusso ed l’eccessivo fasto a corrompere la nuova generazione e ad indebolirla inesorabilmente fino a cadere sotto la violenza dei Cartaginesi prima e dei Romani poi. Akragas conobbe così la sorte dei vinti e non risorse più sino a restringersi sul colle di Atena, dove rinacque nell’età medievale, e al tempo della dominazione araba prese il nome di Kerkent, sino a quando le armi normanne non riportarono anche in queste valli la croce cristiana e gli antichi usi latini. La città appariva come un solitario poggio coronato di case arsicce, incorniciate entro la bella corona di mura costruite dalla potente famiglia Chiaramonte. Più in alto svetta – allora ed anche oggi – l’antica cattedrale normanna di San Gerlando, a tre navate, a fianco di cui si staglia la mole del campanile possente e marziale che la domina e guarda dinanzi a sé verso lo Steri chiaramontano, da tempo Seminario dei Chierici. Alle sue spalle il palazzo vescovile e la Biblioteca fondata nel XVIII secolo dal Vescovo Lucchesi Palli. Poco più giù la Chiesa di Santa Maria dei Greci, adattamento di un tempio dorico, probabilmente la prima cattedrale della città. Alla sua semplicità ed austerità si contrappone più a valle un’altra monumentale e sfarzosa opera dei Chiaramonte: il monastero e la Chiesa di Santo Spirito con eleganti portali, esili colonne, finestre bifore e stucchi serpottiani.
La Magnifica città di Girgenti conserva ancora tante altre chiese del Seicento e del Settecento e palazzi nobiliari di vario stile, solidi, espressione di antica agiatezza col piano nobile arricchito da balconi in ferro battuto e coi portoni enormi, incorniciate da finte colonne dove si ammira l’opera dei sapienti scalpellini locali. Soprattutto all’interno delle chiese si trovano Madonne gaginesche,
tele di Pietro D’Asaro, Pompeo Buttafuoco, Domenico Novelli, Francesco Lo Iacono e di tanti altri grandi artisti.
Non è difficile rivivere le stesse emozioni conosciute da Goethe e da tanti altri visitatori che si sono smarriti nella fitta ragnatela di vicoli, archi, stradine, ripide scale che caratterizzano gran parte del centro storico, specie se percorriamo queste strade insieme ai tammurinari e ai fedeli agrigentini che accompagnano le processione di luglio della bella festa di san Calogero. Festa molto cara anche al più illustre figlio di questa città, il premio Nobel per la letteratura Luigi Pirandello, che tante volte descrisse nelle sue opere la sua Girgenti e quella casa al Caos dove nacque e dove si conservano le sue ceneri, perché qui volle tornare anche dopo la sua morte.
porto empedocleCome caro al cuore di Pirandello era quel trafficatissimo borgo di mare, l’antico Molo di Girgenti, la moderna e vivace cittadina di Porto Empedocle. A stento oggi lo scrittore la riconoscerebbe, tali sono state le trasformazioni, specie nell’ultimo mezzo secolo, e non solo per le numerose attività commerciali, ma soprattutto per lo sviluppo turistico di questa parte della costa agrigentina, che comprende oltre a Porto Empedocle anche le spiagge di Realmonte, Siculiana e Montallegro. Piccoli paesi, ma molto preferiti dagli agrigentini durante la stagione estiva e meta di escursioni turistiche durante tutto l’anno, per le riserve naturalistiche di Torre Salsa e del Gorgo e le attività agroturistiche che anche qui sono fiorite negli ultimi decenni.
Molti gioielli del passato si cela ancora queste dolci insenature agrigentine. Lo sanno bene gli archeologi che hanno riportato alla luce a Realmonte l’unica villa marina della Sicilia d’età romana, pavimentata da un ricco mosaico. Era certamente la dimora di una potente famiglia patrizia, che fu così toccata nell’anima dalla trasparenza dei colori di questi luoghi da voler trascorrere qui i suoi giorni più sereni.
Come molto serenamente nel castello di Siculiana trascorsero la loro luna di miele nel 1311 la figlia di Federico II Chiaramonte, Costanza, e il potente genovese Brancaleone Doria divenuto più tardi governatore della Sardegna. Oggi molti sposi preferiscono ancora questo inespugnabile castello per festeggiare il loro giorno più bello.
Poco più oltre, dopo aver attraversato il paesaggio di nude colline e strette aree verdi, come d’incanto si presentano sul Monte Cicaldo i resti di un’antico borgo montano. E’ forte la tentazione di salire i gradini della ripida scala tagliata nella roccia per raggiungerlo. E’ l’antica Montallegro, ricostruita ai piedi di quel monte nel secolo XVI nei cui pressi troviamo il Gorgo, piccolo specchio d’acqua oggi riserva naturalistica protetta e luogo di sosta degli uccelli migratori sulle rotte per la vicina Africa.
Nel golfo tra San Marco e Capo Bianco, addossata al massiccio che i greci hanno dedicato al padre di Giove, Krono, disposta ad anfiteatro su una vicina collina si trova la ridente cittadina di Sciacca.
A solo nove chilometri c’è l’incontaminata oasi naturale di Torre Makauda, dove è ben inserita una moderna e funzionale struttura ricettiva.
sciaccaIl notevole patrimonio storico ed artistico di Sciacca è ben racchiuso nelle tante chiese e nei palazzi che ne testimoniano l’antica importanza storica. Nel Medioevo era fortificata con torri e bastioni e ancora si ammirano alcune sue porte, come quella di San Salvatore, assai ben ornata e a destra della quale si trova la Chiesa di Santa Margherita, fondata nel 1342 e poi trasformata due secoli dopo, animata da ampie finestre e da un portale in stile gotico-catalano e da un altro in marmo bianco. Entrando in chiesa, siamo rapiti dalla magnificenza della decorazione barocca. E dai grandi quadri alle pareti. Nella stessa piazza c’è la Chiesa del Carmine del XVIII secolo con rosone di stile gotico-lombardo e arricchita nel tempo da molti capolavori pittorici, tra i quali spiccano i lavori dell’artista saccense Michele Blasco. Ma girando per la città troveremo alcune chiese che conservano opere dei Gagini, come quella dedicata a Sant’Agostino dove si trova la gaginesca Madonna della mazza e il Duomo eretto agli inizi del secolo XII, con una facciata barocca ornata con cinque statue di Antonio e Giandomenico Gagini, la chiesa di Santa Maria delle Giummarre, dal bellissimo portale, traforato di bifore e di porte ogivali, tanto da sembrare una antica fortezza. Ma la Chiesa che i saccensi amano più di tutte è la basilica dedicata a San Calogero, sul monte Cronio, costruita nel Seicento, dove si trova anche la bella statua del Santo, realizzata da Antonello Gagini ed un affresco del Quattrocento. Poco più sotto rispetto al santuario si trovano le più antiche terme di cui si conservi il ricordo. Si tratta di grotte naturali che penetrano profondamente nelle viscere del monte, sono tra loro intercomunicanti ed emettono vapori acquei che sprigionano da profondi crepacci, ad alte temperature, con particolari manifestazioni geotermiche. Lo stabilimento delle stufe è frequentatissimo e il grande sviluppo che le cure termali hanno avuto ha reso necessaria la realizzazione di un nuovo stabilimento termale nel centro della città, in un moderno edificio in stile Liberty.
Non molto lontano si erge lo Steripinto, un palazzo cinquecentesco dai modi spagnoli-platereschi. Evidenzia un originale bugnato a punta di diamante con merlatura e finestre bifore. Testimoni silenziosi di antichi fatti di sangue che resero tristemente famosa la città sono i Castelli dei conti Luna e Perollo. Il primo soprattutto conserva quasi intatta nella parte settentrionale e occidentale la sua poderosa cinta muraria.
Ma i motivi di interesse a Sciacca vanno anche oltre i suoi monumenti e le sue terme. Da diversi anni qui si svolge uno dei Carnevali più spettacolari che si organizzino in Sicilia, con la sfilata decine di gruppi mascherati e carri allegorici allestiti con cura e apprezzati da migliaia di visitatori che sino a tarda notte seguono questa bella occasione di incontro e di sano divertimento. Una festa che nasce anche dalla creatività dell’artigianato locale, celebre ovunque per le ceramiche dalle decorazioni originali che spesso si ispirano ad una tradizione che si fa risalire al periodo della dominazione araba.
Sul versante opposto della costa agrigentina incontriamo Palma di Montechiaro. L’attributo Montechiaro, che è stato dato alla città del grande scienziato Giambattista Odierna e della nobile prestigiosa famiglia dei Tomasi di Lampedusa, deriva dal vicino trecentesco castello chiaramontano. Ma per tanti questa è soprattutto la città del Gattopardo, grazie allo scrittore Tomasi di Lampedusa. Palma è infatti la Donnafugata del più celebre romanzo del Tomasi, portato nel grande schermo da Luchino Visconti.
palma di montechiaroIl paese è posto nel cuore di una vasta area ricca di produzioni agricole che una volta erano dominate dal latifondo. Conserva pertanto molte delle proprie origini contadine, di cui gli abitanti continuano giustamente ad andare molto fieri. All’ingresso del paese ci viene incontro la scenografica Chiesa
Madre dedicata alla Madonna del Rosario, attorno a cui crebbe il paese, è ornata di campanili gemelli e vi si arriva per una grande e suggestiva scalinata, ai piedi della quale si trova il Palazzo baronale dei principi di Lampedusa, che testimonia il nobile passato dei duchi Santi, come li chiamano qui, perché annoverano nel proprio albero genealogico San Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la venerabile suor Maria Crocifissa, e la storia degli altri loro parenti è costellata di vocazioni, rinunce e opere di carità. Nel Monastero delle suore benedettine, eretto 350 anni fa, e che incontriamo al centro di Palma, si conservano i resti della venerabile suor Maria Crocifissa ed una lettera che secondo una leggenda la stessa venerabile avrebbe ricevuto dal demonio.
Al confine con la provincia di Caltanissetta c’è Licata, l’antica Finzias.
Sorge presso la foce del fiume Salso, che la lambisce ad oriente, mentre ad occidente trova dolce sostegno sopra il declivio di un’altura, detta la Montagna, sulla quale si eleva il Castello di Sant’Angelo.
L’aspetto della cittadina è piuttosto moderno e dinamico ed ha i connotati di una tipica città portuale. Ma oltre alla pesca, che costituisce una cospicua risorsa, molta fortuna ha trovato l’agricoltura specializzata e in particolare la coltivazione nelle serre di primizie ricercatissime.
Al centro di Licata su disegni di Ernesto Basile è stato realizzato nel 1935 un Palazzo comunale in stile floreale. Ma il complesso architettonico certamente più rappresentativo del luogo è costituito dalla Chiesa del Carmine e dal Convento. La Chiesa si presenta con una bella facciata barocca e all’interno custodisce un suggestivi chiostro, sul quale si aprono alcune bifore e un portale di ottima fattura, entrambi ornati con motivi chiaramontani. Il Duomo ha invece il suo pregio più rilevante nell’accogliente Cappella del Crocifisso, ricca di una esuberante decorazione di legni dorati.
licataPrima di lasciare il paese dobbiamo visitare il suo Museo che espone molti reperti archeologici e molti tesori d’arte moderna.
Volgendo i nostri passi adesso verso l’interno entriamo nel cuore di un’altra amena valle, detta del Paradiso, dove sorge Naro, la fulgentissima, città che resta negli occhi lungamente soprattutto per le bellezze del suo centro storico di origine medievale, impreziosito da un patrimonio artistico vario e sontuoso. Il paese è riuscito, infatti, a conservare insieme ad un discreto numero di palazzi barocchi dal disegno sobrio, alcune importanti ed imponenti architetture religiose e monastiche che alla vecchia strada danno un particolare aspetto pittorico. In questa città dai cento campanili, ammiriamo la stupenda Chiesa di Santa Caterina del XV secolo che conserva all’interno possenti pilastri e ogive slanciate. Ma meritano anche essere visitate le Chiese del Santissimo Salvatore e di Sant’ Agostino che hanno stupendi portali, minuziosamente trattati e sono arricchiti all’interno da una piacevole dotazione di stucchi. Una scalinata a sinistra della Chiesa del Santissimo Salvatore permette di salire al vecchio e al maestoso e solenne Castello dei Chiaramonte. Questo antico maniero è uno dei monumenti medievali più importanti della Sicilia ed uno dei meglio conservati. Il suo portale è tra gli esempi più alti dell’arte chiaramontana per il suo insieme decorativo di rara bellezza. L’espressione più vigorosa del carattere medievale di questa cittadina.
Il Duomo è una preziosa testimonianza di epoca sveva, ma purtroppo è in gran parte distrutto. Il suo portale rivela quale matura e eminente raffinatezza abbia raggiunto l’arte chiaramontana in provincia di Agrigento.
Di straordinario splendore la facciata della Chiesa di San Francesco, singolare per la prorompente veste barocca, una delle più perfette manifestazioni del barocco siciliano.
Si dipanano lungo l’asse viario principale di Naro anche i ruderi di antichi conventi. Ma lasciamo adesso il centro per scendere al lago di San Giovanni, dove ogni anno nel mese di ottobre, la federazione italiana di canottaggio organizza una seguitissima regata internazionale.
naroLa città di Naro era a capo di un’antica comarca, di cui faceva parte anche Camastra, sulle cui origini ancora gli studiosi indagano poiché nelle sue vicinanze sono stati ritrovati i resti di un’antica e misteriosa città con mura ciclopiche e alte pareti intagliate nella viva roccia.
Immerso nella fertile campagna agrigentina, troviamo pure, non lontano da Palma, un altro importante centro agricolo con buona produzione di mandorle, grano e carrube: Ravanusa. Con i prodotti di questa generosa terra la pasticceria locale realizza una gastronomia rinomata. E’ d’obbligo qui una sosta per assaggiare i tipici ravioli alla ricotta ricoperti quanto basta di miele.
Ravanusa vanta importanti siti archeologici, che sono stati scoperti nel Monte Saraceno, dove sono stati portati alla luce tra l’altro le basi di un antico tempio greco e le primitive mura che cingevano un centro molto grande e di notevole importanza storica, probabilmente sede di un forte popolo siculo che è stato successivamente ellenizzato.
Il paese è stato fondato nel XVII secolo dal duca di Montalbano, che fece costruire innanzitutto la Chiesa Madre, che è ancora oggi la testimonianza artistica più interessante grazie anche al suo bellissimo portale scolpito sulla facciata principale. Opera di grande bellezza attribuita ad uno dei Gagini.
Alle porte di Ravanusa c’è Campobello di Licata, che come dice il nome è rinomato centro agricolo per i sui campi belli e feraci. Nel XVIII secolo vennero edificate la Castellania e la Chiesa Madre, ma la prima è stata demolita al sorgere del nostro secolo. Resta da ammirare la Madrice dedicata a San Giovanni Battista che conserva un pregiato Crocifisso del Seicento. Nella stessa piazza si affaccia il Palazzo Municipale con il prospetto arricchito dai murales del pittore Silvio Benedetto.
Ma il comune più esteso di questa parte della provincia dove prospera l’Uva Italia è Canicattì. Distesa sul declivio di un monte e su varie colline, quasi cullandosi tra i molti vigneti che le fanno corona, questa cittadina è notevolmente cresciuta negli ultimi decenni, grazie ad una moderna razionalizzazione dell’agricoltura ed all’introduzione di nuove tecnologie agricole.
Qui si sono impiantati vigneti che producono l’Uva Italia che viene fatta maturare lentamente fino a pieno inverno, protetta alla fine dell’estate da pesanti teli di plastica per impedire la rapida maturazione. La città moderna convive in straordinaria simbiosi con quella antica di origine medievale che trova nel Castello Bonanno, gli antichi baroni della città, una testimonianza di grande effetto. Molte sono anche le Chiese. Forse la più bella è quella di Santo Spirito, con una facciata barocca e dove si conservano statue gaginesche. Barocca è anche la Badia dove troviamo una statua di Cristo in marmo, tutto variegato e venato per natura, in modo tale che ogni macchia o vena corrisponda a una ferita o una piaga del corpo. Di fondazione settecentesca è invece la Chiesa Madre.
Tornando da qui verso Agrigento, entriamo nel cosiddetto altopiano centrale gessoso solfifero, ricco di zolfo, salgemma e sali potassici. I centri di Racalmuto, Grotte, Castrofilippo, Favara, Aragona, Comitini insieme ai paesi della provincia di Caltanissetta nel secolo scorso producevano i due terzi del mercato mondiale dello zolfo.
Le origine del Comune di Grotte sono piuttosto incerte. Alcuni ritengono che sia sta costruita sulle rovine dell’antica Erbesso, l’antichissima e splendida città di cui parla lo storico Polibio. Sappiamo invece con più certezza che Grotte fu terra feudale già sotto gli Aragonesi e alterne vicende assegnarono questo territorio a diversi baroni, tra cui i Ventimiglia e i Montaperto. Si conservano ancora in ottime condizioni alcune chiese del settecento, come la Matrice, la chiesa del Carmelo e la Chiesa del Purgatorio. Quest’ultima in particolare è quasi integra. Da ammirare anche la torre ottagonale di stile arabeggiante e il caratteristico Calvario con le stazioni della via Crucis illustrate da sedici diversi pittori. Nel secolo scorso era nota per le sue ricche miniere di zolfo. Oggi la comunità grottese è rigogliosa e prospera grazie a numerose attività commerciali, all’artigianato e alla manifattura di articoli di lana.
Un altro paese di zolfatari è stata per lungo tempo la cittadina di Racalmuto. Con un territori molto ricco anche di salgemma e sali potassici. E’ la Regalpetra di un celebre libro di Leonardo Sciascia. Lo scrittore siciliano è nato qui nel 1921 e qui è sepolto. Una dinamica fondazione lo ricorda con molte iniziative. Il paese della Ragione, come ancora ama definirsi Racalmuto, vanta un Castello chiaramontano di forma pentagonale e un celebre santuario della Madonna del Monte con una perentoria e scenografica scalinata che nei giorni di festa dedicati alla stessa Madonna diventa una palestra di ardimento per i giovani che gareggiano in gruppi per la conquista di una bandiera, una sorta di palio di antica origine.
Non molto lontano da Racalmuto, a Favara, svetta un altro Castello dei Chiaramonte, costruito su uno sperone di roccia e attorno a cui lungo i secoli si è ramificato il paese. In tutta la provincia la potente famiglia dei Chiaramonte si diede con fervore a costruire e a consolidare Castelli. Ma quello di Favara è una delle testimonianza storiche ed artistiche più importanti di questo genere. Le sue mura sono massicce e alte, con numerose e strette feritoie in tutti e quattro i lati. Ma ciò che incanta il visitatore è soprattutto il prospetto della cappella del Castello, con la bellissima porta strombata. La stessa cappella è ancora discretamente conservata. Nella piazza antistante sono state costruite nel Seicento e ancora oggi possiamo ammirare la chiesa del Rosario e quella detta del Purgatorio, affiancate da palazzi di nobili famiglie del Settecento e dell’Ottocento.
favaraIn una zona collinare tra i fiumi Platani e Salso, dove si coltiva in prevalenza l’Uva Italia, è sorto nel secolo XVI il piccolo comune di Castrofilippo. Anche qui, su una rupe sorgeva un Castello, edificato da un’altra potente famiglia che governò diversi centri della provincia, i Montaperto. Al centro del paese il santuario di sant’Antonio Abate e la Chiesa Madre custodiscono opere di pregevole fattura come un crocifisso nero di autentico ebano scuro.
Sui pendii orientali del monte Belvedere sorge Aragona. Il passato blasonato di questo paese è magnificamente rappresentato dal maniero angioino denominato Salto d’Angiò, del XIV secolo, e dal palazzo settecentesco costruito dai fondatori del paese, i nobili e potenti Naselli, che chiamarono il pittore fiammingo Borremans a rimpire di affreschi le stanze. Di forma rettangolare, con quattro logge ai lati, il palazzo Naselli sovrasta con la sua mole la piazza del centro dove si trovano anche la Chiesa del Rosario e quella del Purgatorio.
Ma le speranze turistiche di questa cittadina, a pochi chilometri da Agrigento, sono riposte soprattutto in quella bizzarria della natura costituita dalle Maccalubbe. Un paesaggio dantesco, dove piccoli vulcanelli di fango, alti pochi centimetri eruttano una melma bianca salmastra con numerose bolle di metano ed ogni tanto rompono il silenzio lunare di questa vallata con forti boati.
aragonaDa Aragona scorgiamo Comitini, sul monte Cumatino, da cui prende il nome. La vita di questo piccolo centro, un tempo ricco di miniere, si svolge attorno alle piazze Umberto I e Bellacera, dove si innalzano il palazzo baronale e la Chiesa Madre: insieme sovrastano il paese e si ergono come un vessillo.
Se poi vogliamo trovare un paese che conserva ancora l’impronta del borgo, dobbiamo salire sin sul monte su cui si trova la cittadina di Casteltermini. Giace in una posizione molto ridente ed è coronato da una selva di monti ricchi di vigneti, dando vita ad un magnifico scenario. Il paese conserva soprattutto una schietta impronta seicentesca. Numerosi sono infatti gli edifici sacri e i palazzi signorili che risalgono a quel secolo. La chiesa più antica è certamente quella di Santa Croce, dove si custodisce una Croce di legno, molto venerata perché il suo ritrovamento è stato miracoloso e viene ricordato ogni anno con la festa del Taratatà. Momento culminante di questa singolare manifestazione è lo sciabolare ritmico e indiavolato di alcuni giovani che rappresentano così nelle strade e nelle piazze di Casteltermini un violento combattimento. Durante la festa non mancherà occasione per fare qualche sosta ed assaggiare i cannoli ripieni di finissima crema di ricotta, le cassate, i torroni e le altre delizie della locale pasticceria che sono veri trionfi della gola.
A chi cerca pace e refrigerio, molto può offrire la montagna di Cammarata, la più alta del massiccio dei Sicani con i suoi 1578 metri di altezza. La inconsueta bellezza dei suoi panorami, l’aria pura, il silenzio, la pace dei campi garantiscono un contatto con la natura che non ha eguali in tutta la provincia agrigentina. E nessuno potrebbe sospettare che questi pendii sono stati invece scenario di grandi lotte. La storia di Cammarata è infatti ricca di pagine appassionanti poiché è la storia di unborgo che visse a lungo malvolentieri all’ombra di potenti Signori ma che i suoi intrepidi abitanti alla fine liberarono dalla servitù feudale e dopo aver pagato un caro prezzo di sangue finalmente riuscirono a farne una città demaniale.
Le sue case sembrano arrampicarsi l’una sull’altra verso la sommità del monte, verso il campanile di Santa Maria di Gesù la cui sagoma domina gran parte della cittadina e verso la torre dell’antico Castello normanno di cui avanzano purtroppo poche tracce. Assai bella e cara ai suoi abitanti è la Chiesa Madre dedicata a San Nicola di Bari.
Dall’emigrazione di alcune famiglie di Cammarata, a seguito di un evento franoso, sorse nel XV secolo, poco più giù, sulle balze del stesso monte, un nuovo centro abitato San Giovanni Gemini, prendendo il nome dalla prima Chiesa che quei nuovi residenti innalzarono sul posto. Oggi Cammarata e san Giovanni Gemini sono divisi solo da una strada. Verso la fine del XVI secolo a San Giovanni Gemini si stabilì una comunità di frati cappuccini che presero possesso del convento fatto costruire nel 1578 dal conte Ercole Branciforte. Della stessa epoca è anche la Chiesa Madre.
santo stefano di quisquinaSul versante opposto del monte, anch’esso immerso in un’estesa superficie boschiva c’è Santo Stefano di Quisquina. Se raggiungiamo il paese percorrendo la strada che la unisce a Cammarata, poco prima di arrivare incontriamo il Bosco di Buonanotte, dove vi è un’area attrezzata che è meta continua di forestieri e possiamo fare una sosta all’eremo della Quisquina per entrare nella stretta spelonca dove si rifugiò Santa Rosalia e visitare il santuario dedicato alla Santuzza. Nel paese di Santo Stefano c’è la villa comunale più bella della provincia e l’acqua più pura e più fresca che possiamo attingere dalle sue molte fontane. Il paese è raccolto attorno alla Chiesa Madre dove fu battezzato il Santo martire Giacinto Giordano Ansalone.
Terra di grandi tradizioni religiose è anche Alessandria della Rocca, tanto che deriva il mutamento del proprio nome proprio da un evento miracoloso
La sua primitiva denominazione era infatti Alessandria della Pietra, ma accadde un giorno che una donna del popolo, cieca e assai povera, scavando in un luogo indicatole dalla Madre di Cristo trovò una statua della Santa Vergine che risaliva probabilmente al sesto secolo ed era anche di ottima fattura, oltre che di grande valore. Ancora oggi i fedeli del paese venerano quella statua e per far memoria perenne dell’evento il nome del paese è stato mutato in quello di Alessandria della Rocca, perché la statua venne trovata in contrada Rocca Incavalcata, dove è stata edificata anche la Chiesa di Santa Maria della Rocca abbellita successivamente da dipinti che descrivono gli episodi del miracoloso ritrovamento.
Ma la natura in questa parte della provincia riserva ancora straordinari paesaggi.
Davvero bella e molto serena appare a chi guarda dalla sommità del piano San Giovanni, a Bivona, la veduta del fiume Magazzolo che pare voglia dormire tra i fiori dei giardini di cui è ricca questa terra. Il paese conserva ancora buone tracce del suo passato. Vi si trovano soprattutto chiese medievali e moderne. Di notevole interesse artistico è soprattutto la Chiesa madre, del secolo XII, realizzata da Giovanni Chiaramonte e quindi in stile chiaramontano. La chiesetta di San Bartolomeo, con il suo portale cinquecentesco. La Chiesa di Santa Rosalia che venne costruita in onore della Santuzza, che nel 1576, invocata dai fedeli, ebbe il merito di aver fatto cessare la peste. Bivona per questo l’ha eletta a propria patrona e festeggia la sua festa il 4 settembre.
Una villa romana, “Villa Cinciana, edificata da un patrizio romano in età imperiale, ha dato nome e le origini al paese di Cianciana. Ma quell’antico borgo venne distrutto per ragioni ancora oggi poco note e la cittadina risorse nel secolo XVI, ricostruita a quasi 400 metri dal livello del mare, alle falde meridionali del monte Calvario, un luogo di straordinaria bellezza che fa da scenario ogni anno alle rappresentazioni sacre della Settimana Santa che coinvolgono diverse decine di giovani del paese in costumi d’epoca che recitano i momenti più intensi della passione e morte di Cristo, mentre i fedeli intonano antichi canti religiosi popolari.
Le origini di Burgio sono saracene. Per il suo straordinario patrimonio artistico il paese potrebbe ben vivere di turismo. Sul pendio più alto venne edificato, probabilmente in epoca saracena un Castello di forma triangola e da esso probabilmente il paese prende il nome poiché Burgio nell’idioma arabo antico sembra significhi proprio Castello.
Conserva ben 20 edifici religiosi tra Chiese e monasteri, molti ancora funzionanti ed aperti al culto. Accanto ad essi si sviluppano diversi palazzi signorili e antiche ed artistiche fontane pubbliche che danno acqua fresca e genuina. Vanto del paese è l’ultra centenaria fonderia delle campane. Da qui sono uscite molte campane disegnate da illustri artisti e che adornano i campanili di mezzo mondo.
Si presenta al mondo come la città presepe e ne ha motivo. Nessuno, dopo averla visitata, può negarle, infatti, questo riconoscimento. Circondata com’è da una chiostra di rocce, a mille metri d’altezza, Caltabellotta, col suo aspetto scabro e suggestivo, appare davvero come un luogo sospeso nello spazio e nel tempo. Questo paese rupestre, così ben circondato e difeso da ben tre montagne, per la sua posizione e la sua conformazione tradisce comunque la sua antica funzione militare che ha avuto al suo sorgere. Siamo infatti nell’antica Triocala, la città che gli schiavi ribelli avrebbero edificato in epoca romana durante la seconda guerra servile. Ed alla sua bellicosa storia deve anche parte della sua fama, poiché fu nel suo Castello, i cui ruderi ancora vediamo in una delle rupi che circondano la città, che il 31 agosto 1302 i sovrani Carlo di Valois e Federico II d’Aragona siglarono una storica pace che pose fine alla sanguinosa guerra del Vespro e mutò la storia della Sicilia. Ma a dominare il paese non è il castello o una qualche fortificazione militare, come a questo punto ci aspetteremmo, ma un eremo, quello di uno dei Santi più amati in Sicilia, San Pellegrino. E’ incastonato sul versante occidentale della rocca ed è costituito da un monastero e
da una cappella, sorti in prossimità della grotta dove, secondo un’antica leggenda, dimorava un drago che si nutriva di fanciulli. Mosso a compassione, San Pellegrino uccise il drago e liberò il paese. All’interno di Caltabellotta ammiriamo inoltre la Chiesa Madre, di origine normanna e quella della Concezione che conserva alcune decorazioni gotiche di stile chiaramontano.
Un’altra bella Chiesa Madre troviamo a oltre cinquecento metri d’altezza a Lucca Sicula. Al suo interno ammiriamo un artistico altare maggiore di stile neoclassico.
sambucaEd eccoci a Sambuca, sorta dal saracenico Castello di Zabut. Entriamo in paese dall’antica porta di Santa Maria e percorrendo poi il corso principale troviamo la bella villa comunale e presso essa l’ottocentesco teatro, gioiello dell’artigianato locale. Sempre sul corso incontriamo un gran numero di palazzi del secolo scorso e chiese più o meno danneggiate dal terremoto del 1968 e in buona parte restaurate. Le più notevoli sono il Santuario della Madonna dell’Udienza, patrona del paese, a tre navate a croce latina che conquista il visitatore che vi scopre sull’altare una stupenda statua stessa Madonna attribuita ad Antonello Gagini ; la Chiesa del Purgatorio con una tela di Fra Felice di Sambuca e la Chiesa di San Michele dove si venera un Crocifisso ligneo su croce laminata in argento.
Calamonaci sorge tra rigogliosi vigneti, mandorleti e secolari uliveti che danno prodotti copiosi esportati in vari mercati nazionali. La città moderna si presenta al visitatore ben squadrata, divisa in quattro zone da due arterie principali. Ma la vita di questo piccolo centro di poco più di duemila anime si svolge soprattutto nella piazza della Chiesa Madre, che si anima in maniera straordinaria durante la festa dedicata al santo patrono San Vincenzo Ferreri che inizia con la suggestiva processione del simulacro del santo e culmina con le “rigattiate” di San Giovanni e San Michele, una vivace manifestazione che consiste nella corsa dei simulacri dei due santi per il corso principale di Calamonaci. Vi partecipano fedeli di ogni età divisi in Sanmichelara e Sangiuvannara.
Troviamo le rigattiate anche a Villafranca Sicula a due chilometri e mezzo da Burgio. Qui la gara si svolge tra i devoti di San Giovanni Battista e San Michele e consiste nell’addobbare i simulacri dei Santi che vengono condotti lungo il corso principale del paese, dove possiamo ammirare le chiese del Carmine e di San Giovanni Battista e la Chiesa Madre da restaurare.
Altre due confraternite, quella dei Madunnara e quella dei Signurara, di origine seicentesca danno vita ad un’altra singolare manifestazione che si svolge a San Biagio Platani nella Settimana Santa. La cittadina viene completamente trasformata con spettacolari decorazioni e sculture fatte con il pane dalle esperte mani dei fedeli delle due confraternite. Sono gli Archi di Pasqua, allestiti per tutto il paese, veri archi di trionfo, rivestiti da telai di ferle e canne, ricoperti con decorazioni di pani, agrumi, dolci. Fanno da suggestivo scenario alle processioni religiose, alle rappresentazioni e alle tante manifestazioni collaterali che vengono organizzate in occasione della Pasqua.
Lasciamo la montagna per andare a visitare il territorio di Cattolica Eraclea.
Per la scelta del nome del nuovo paese la nobile famiglia Isfar che vi governava fecero un vero e proprio consiglio di famiglia, durante il quale prevalse l’idea di rifarsi all’antico nome del Platani, che era Licus, che significa salato. Cosi dall’unione di Catà, che significa presso e Licus sorse la denominazione Cattolica. Il termine Eraclea è stato aggiunto nel secolo scorso. Negli anni seguenti vide la luce la prima chiesa del paese quella del Purgatorio che venne presto arricchita di opere d’arte e di pregiate tele, tra cui quella del martirio di Santo Stefano di Pietro Novelli. Nella stessa area fu edificata la Chiesa del Rosario, impreziosita successivamente con tele di Raffaello Politi. La principessa Giovanna Isfar fondò il Convento della Mercede che conserva la bella statua di Niostra Signora della Mercede. Nel Settecento, i nuovi signori, i Bonanno e i Borsellino, edificarono i propri palazzi principeschi.
Ribera si stende a scacchiera in splendida posizione, su un ciglio a circa 230 metri, da cui domina la valle dove scorrono i fiumi Verdura, Magazzolo, e Platani e di fronte c’è il mare. Qui la terra è
meglio coltivata per la provvidenziale presenza di acqua ed infatti la zona è nota per i suoi frutteti,
vigneti, e particolarmente per i suoi vasti e lussureggianti agrumeti. Le arance
sono quelle famose per loro qualità dei tipo “Washington Navel” esportate nei mercati di tutto il
mondo. La città ha conosciuto varie vicissitudini storiche ed ha dato i natali a Francesco Crispi, che fu tra i grandi promotori della spedizione dei Mille di Garibaldi e insigne statista. Possiamo ancora ammirare in una via del centro la restaurata casa della famiglia Crispi. Dal periodo spagnolo sino al secolo scorso, Ribera si è andata impreziosendo di castelli, palazzi e chiese. Purtroppo in rovina a causa del terremoto del 1969 è la Chiesa Madre , mentre si conservano ancora la chiesetta Sant’Anna, quella di san Pellegrino e di San Nicola. Sorge a quattro chilometri su un colle alto 200 metri il Castello dei conti Luna costruito nel XII secolo dai Normanni con una torre cilindrica con un caratteristico coronamento.
riberaIl movimento tellurico che il 15 gennaio 1968 ha straziato la Valle del Belice ha inferto gravi perdite umane e ha danneggiato notevolmente il prezioso patrimonio storico e culturale di comuni come Menfi, Montevago, Santa Margherita Belice. Si tratta spesso di grandiose opere d’arte di cui ancora molti serbano un fervido ricordo. Basti pensare alla Chiesa madre di Menfi, i cui resti si stagliano ancora maestosi sulla piazza principale, insieme a quelli dei palazzi baronali e del castello federiciano a testimoniare l’antica bellezza e importanza storica del paese o la Torre di Porto Palo costruita nel Cinquecento e purtroppo anch’essa gravemente danneggiata.Il ricordo di alcune grandi testimonianze di questa terra compare anche nella grande letteratura come nel caso del palazzo Filangieri di Santa Margherita Belice che insieme alle molte chiese del paese viene ricordato dal romanziere Tomasi di Lampedusa, che nella Valle del Belice trascorse i sereni giorni della sua infanzia. Con nuove risorse e nuove strutture è risorta Montevago che punta molto al turismo termale con il moderno complesso idrotermale dell’Acquapia, con una grande piscina che raccoglie le acque termo-minerali che sgorgano ad una temperatura di circa 37 gradi centigradi. Uno dei molti esempi che potremmo citare del tentativo di riscatto e di ripresa economica di queste belle cittadine.
Fra ridenti colline, abbracciate tra il fiume Akragas e il Canne, si distende in dolce declivio l’abitato di Raffadali, centro agricolo a poco meno di quindici chilometri dal capoluogo. Ha legato per diversi secoli il proprio destino a quello della potente famiglia Montaperto e proprio al periodo della fondazione montapertiana risalgono tutti gli edifici più importanti che ancora caratterizzano il paese. Sono stati tutti realizzati nel secolo sedicesimo il Palazzo baronale, la Chiesa Madre, quella del Carmine, della madonna del Rosario e di san Giuseppe, tutte ammirabili per i loro armoniosi prospetti che abbelliscono le vie e le piazze di Raffadali.
raffadaliDi origine feudale è anche il vicino piccolo comune di Sant’Elisabetta, fondato anche questo nel 1620 dai Montaperto e diventato autonomo nel 1955. Le sue tradizioni storiche e la sua genuina cultura contadina rivivono ogni anno grazie alla vivace festa del sei gennaio.
Nella Valle del fiume Akragas a poco più di 400 metri sul livello del mare, su una superficie di 20 chilometri quadrati, si estende il piccolo abitato di Ioppolo Giancaxio. La popolazione laboriosa e tranquilla di questo piccolo centro si dedica da sempre all’agricoltura. A Ippolo si producono soprattutto frumento e fave, ma negli ultimi decenni ha avuto un discreto sviluppo la coltura dei meloni. Nel suo circondario sorge il Castello settecentesco dei Colonna. La vita del paese si anima soprattutto in estate quando per la bella festa in onore del Santo patrono, San Francesco di Paola, tornano migliaia di emigrati.
Abbraccia e percorre le balze e le anse del Platani l’antica Sant’Angelo Muxaro, dal glorioso passato siculo-albanese. Siamo nella bella valle del leggendario Camico. Queste pietre sono testimoni silenziosi di uno dei miti più enigmatici della storia del Mediterraneo. Occorre venire sin qui per ripercorrerne le tracce, conoscerne ed approfondirne i misteri, godere dei paesaggi rupestri e montani, visitare le spelonche e le necropoli, ma anche per apprezzare un’ospitalità rara e tradizionale tra queste genti. Nei dirupi scoscesi di un fianco della collina gli archeologi poco più di mezzo secolo fa hanno scoperto alcune tombe pre-protostoriche che per la loro importanza non avevano uguali in tutta la Sicilia, specie per la gran copia di oggetti rinvenuti.
Un territorio questo riveste particolare interesse anche per gli speleologi. Molto visitata è infatti la Grotta Ciavuli che consente un percorso di grande suggestività.
A chi ama passeggiate un po’ meno avventurose suggeriamo di visitare con la massima tranquillità le chiese di Sant’Angelo Muxaro come la Matrice dedicata a Sant’Angelo Martire dove si trova un Crocifisso del XIII secolo in legno incapsulato e la Chiesa dell’Itria che conserva diverse opere in legno dell’artigianato siciliano del periodo greco – albanese del paese.
Concludiamo il nostro itinerario con un tuffo nel Mediterranco per raggiungere con i voli aerei da
Palermo o le corse navali da Porto Empedocle le isole Pelagie. Lampedusa, la maggiore;
linosaLinosa la minore e l’isolotto di Lampione. C’è più storia naturale in queste tre isole che in tante e vaste regioni. Un vero paradiso naturale e scientifico, non a caso ammirato fin dall’antichità anche dal naturalista Plinio. Nell’acqua limpida dai suggestivi fondali vi è una traboccante fauna e flora marina. Pesci esotici dall’aspetto variopinto, cernie, triglie ombrine. occhiate, ricciole. grossi saragi, branchi di salpe, corallo, spugne e l’elenco sarebbe interminabile Lo spettacolo lo offre anche il cielo perché nel periodo delle migrazioni gli uccelli arrivano di continuo e si possono incontrare gru, aironi, cormorani cicogne e rapaci di ogni genere. Sulle scogliere sosta la foca monaca e nei mesi di giugno e di luglio arriva la tartaruga marina Caretta caretta a deporre le uova in una riserva naturale protetta, nell’isola dei Conigli. La bellezza selvaggia delle coste delle isole pelagie è unica. Le sue acque inondanti e schiumose si rompono sulle scogliere frastagliate e penetrano nelle grotte con rombi assordanti. Le sue coste e il suo mare puro e cristallino sono ancora incontaminati. Le sue coste e il suo mare puro e cristallino sono ancora incontaminati. Per tali ragioni questo è uno dei luoghi più incantevoli del Mediterraneo e durante i mesi estivi è un rinomato centro turistico, ideale per la balneazione e la pesca.
testo scritto nel 2003