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festa del tataratà in una immagine degli anni Cinquanta

La curiosa festa del Tataràtà a Casteltermini, come si svolgeva settanta anni fa

20 Aprile 2022 //  by Elio Di Bella

Maggio è certamente il mese che oltre ai fiori ha un numero maggiore di feste in Sicilia e specialmente nei paesi agricoli è come un esplodere di esse: il duro lavoro dei campi ha quasi una breve stasi, il cuore di chi ha sudato è nella gioiosa attesa di un buon raccolto che compensi tante dure fatiche e allora gli uomini si abbandonano con più entusiasmo nella celebrazione delle feste patronali e in esse non solo vediamo tutta la fede di un popolo, ma nelle fiorite leggende e tradizioni i brani eloquenti della loro storia passata, storia che ad ogni rievocazione ci riesce ancora bella e suggestiva, perché ha il palpito e il fascino dei secoli.

Precisamente la quarta domenica di maggio ricorre la festa del “Tataratà” di Casteltermini, conosciuta per molte terre di Sicilia, da dove accorre molta gente, e in essa, al prodigio del rinvenimento di una Croce, si innestano elementi tali che per spiegare esaurientemente i quali occorre più che un articolo di giornale.

Nello spazio limitato, dunque, vogliamo per sommi capi rievocarla, perché appunto essa è una delle più belle pagine del folclore di Sicilia, che merita di essere conosciuta più estesamente.

Il folclore è precisamente il frammento vivo e palpitante di un passato storico e glorioso che non tramonta, il quale si è fissato nei secoli; esso ci parla, in un linguaggio fiorito e suggestivo, di un tempo che fu e che ogni anno, misteriosamente come un antico mito, si rinnova e ci ammalia.

Casteltermini è uno dei Comuni più recenti dell’agrigentino e sorse sul pianeggiante Monte Pecoraro precisamente l’anno 1629 per volontà del suo signore feudale Tomaso Termini e Ferreri che volle popolare il suo feudo facendo buone concessioni di terre agli abitanti dei dintorni ed invogliandoli con altre esenzioni alla nuova dimora.

Il nuovo Comune che si sviluppa rapidamente, in gara con gli altri di Sicilia, si crea ben presto la sua tradizione, che è come il titolo di nobiltà, ed ecco l’invenzione della Santa Croce, avvenuta si vuole, precisamente nel 1667  in seguito ad un prodigio, che del resto è comune a mezza Sicilia.

Una vacca che si stacca ripetutamente dalla mandria e dal controllo dei mandriani, viene notata da passanti e pastori in un pianoro all’incrocio di diverse trazzere, e precisamente a tre km dall’abitato che allora stava sviluppandosi, in contrada Chiùddia. Meravigliati del prodigio, quei contadini scavano sul luogo e rinvengono una croce, rozza e un po’ ritorta, di legno pesante che in seguito i dotti del luogo avranno cura di adornare di versetti biblici e di sigle per dare ad essa una nobiltà e farla oggetto di precipuo culto. Appunto si vuole vedere in una sigla composta di nove lettere su due righe la certezza che essa rimonti nientemeno che alla feroce persecuzione di Decio della fine del III sec. D. C.

Al prodigio avveratosi e che rapidamente si sparge tra il popolo semplice e tutto fede, si innestano a mano a mano elementi folcloristici e il prodigio è completo: nasce il “tataratà” di Casteltermini che è passato alla storia e al ricco folclore di Sicilia e che più lardi, nonostante il progresso odierno, commuove, entusiasma quanti,  vicini e lontani hanno la ventura di assistervi

Ma la festa di Casteltermini, a  considerarla attentamente sono due feste  in una, fuse in modo inscindibile dallo scorrevo dei secoli: «S. Croce e il Tataratà».

 La prima oltre il  prodigio dell’ invenzione della S. Croce, è quella che offre lo spettacolo sfolgorante della galanteria (diciamo cosi) di tutto un popolo ed è quella che offre lo spettacolo (questa una caratteristica prettamente del secolo XVII) di un  qualche barlume ancora di spagnolismo. In essa figure decorative del tempi medioevali sono ancora i personaggi della vecchia corte baronale: il Capitano, il Sergente, l’Alfiere negli antichi costumi, oltre un personaggio imprecisato in borghese, che sarebbe una specie di maestro notaro, e  la parte più importante vi è esercitata dai «ceti», corporazioni prettamente medievali, primo fra tutti quello della «maestranza». Essa è la determinante della festa (a tal proposito corre un motto fra la cittadinanza: “Si fa o nun si fa comu la festa di Santa Cruci”, a significare, oltre tutto la indecisione spesso dimostrata nei preparativi della festa. Le sue insegne, un ricco « pallio », vengono nella festa non affisse nelle caso del «pallianti» come negli altri ceti (celibi, pecorai, boritesi c vetturali), ma nel balcone municipale a significare la sua antica preminenza tra tutta la cittadinanza.

Descrivere lo sfarzo, i colori, le cavalcate che hanno luogo nel sabato e domenica della festa, da parte dei vari ceti,  a cui partecipa una gran folla variopinta felice ed entusiasta, sarebbe poca cosa, la festa di Casteltermini bisogna vederla per gustarla, confondendosi tra la folla, dimenticarsi per quei giorni di tutto; la tradizione si gusta facendo parte  dell’entusiasmo con il quale si rivive, immedesimandosi in essa.

Veniamo ora all’altro verso della festa: al “tataratà” propriamente detto, che è, senza dubbio, la caratteristica più rara del ricco folclore di Sicilia e che a volerla analizzare compiutamente andremmo molto lontano dal nostro proposito.

Esso è molto più antico della festa e perfino vi si possono vedere reminiscenze arabe dei tempi della liberazione di Sicilia da parte dei Normanni che riempì tutta l’isola di prodigi. Infatti il Pitrè in proposito scrive: “ in tutto questo spettacolo vuolsi vedere una allusione all’invenzione della Croce per opera di Costantino. E’ un antico ludo non nato certamente in Casteltermini che è un paese formato da pochi secoli, ma a Casteltermini venuto da qualcuno dei paesi ad esso vicini e dal quale si partì il grosso dei siciliani che andarono a colonizzare quella terra e a trapiantarvisi”.

Il Pitrè da geniale studioso del folclore e dell’anima popolare ha colto nel segno. Infatti noi sappiamo che in seguito al popolamento dei feudi, nei secoli XVI e XVII, che un tempo fecero parte del vasto territorio di Sutera, (Casteltermini e Campofranco prima, Bompensieri e Milocca poi), la ricca e popolosa città decadde e con gli abitanti nelle nuove terre baronali passarono usi e tradizioni, i quali, se  nella città madre in seguito decaddero, dove gli emigrati trovarono una nuova patria, si mantennero vivi più che mai, anche in contrasto con gli usi e i costumi dei coloni che in minor numero vennero da altrove perché finirono per  prevalere quelli del nucleo maggiore. Così si spiega ancora che alcuni anni fa, il lontano e piccolo comune di Sutera aveva l’onere, suo malgrado, di pagare un contributo per i personaggi del “tataratà” di Casteltermini per le loro esibizioni nei giorni della festa, e ciò, mutati i tempi, dava sovente luogo a delle controversie e rivalità comunali, diventate le due popolazioni estranee l’una all’altra.

Ma cosa è questo curioso “tataratà”?

Eccolo in breve: nei lontani tempi, quando non c’era una musica organizzata, lo strumento per eccellenza che rallegrava le feste e ad esse aggiungeva frastuono era il tamburo, strumento che nelle feste patronali ancora ha la sua parte, seppur modesta, e che apporta la sua caratteristica. Credo che questo monotono rullio era tanto assordante nei secoli passati da avere lasciato il nome alla festa. Infatti l’omofonia non è che il secondo tempo del verso del tamburo.

Nella piazza principale dei due giorni di festa i personaggi del “tataratà” si esibiscono. Essi dapprima vestivano altri costumi, i quali da alcuni anni si è voluti intonarli al Settecento, anacronisticamente credo, poiché l’usanza come sopra ho detto, è ancora più antica della invenzione dell Croce. Sono giovani ben addestrati che si “battono” due a due, dinanzi ad una calca di popolo meravigliata ed entusiasta, tengono nelle mani due sciabole per uno. E’ come un mestiere che si tramanda di padre in figlio. Casteltermini è ben felice di conservarne la tradizione.

Raffaele Grillo, Si rinnova per le vie di Casteltermini la tradizionale festa del “Tataratà” in Giornale di Sicilia 20 maggio 1955

Categoria: Storia ComuniTag: casteltermini

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