Il museo civico di Agrigento, presso l’ex Collegio dei Filippini, conserva molte opere del paesaggista siciliano Francesco Lojacono.
Pubblichiamo un ritratto dell’artista apparso sul Giornale di Sicilia del 23 luglio 1949
Grande paesaggista siciliano se non ebbe la sua dimora a Roma, ne ebbe la consacrazione della sua arte, la fama; chiuso in Sicilia Francesco Lo Jacono sarebbe rimasto una storia paesana, un ignoto al più, e si sarebbe forse dovuto aspettare qualche secolo, come per il Novelli e il Serpotta, perché il suo nome apparisse indubbiamente in qualche storia dell’arte italiana.
E’ il destino della Sicilia; l’isola segreta come ben la definì Rodolfo de Mattei nel suo volume nitido e terso, quasi luce purissima rapita a una giornata primaverile. Il destino della Sicilia è il destino dei siciliani! Lavorare silenziosamente, a volte antesignani delle grandi correnti innovatrici nazionali e rimanere nell’oscurità, e peggio nella disistima che non offende, perché viene dall’ignoranza altrui.
Ma, una volta tanto, giustizia è resa e Francesco Lo Jacono, che pur vivendo fuori Roma, vide riconosciuti e apprezzati i suoi non meriti comuni; né poteva essere diversamente. Temperamento meridionale, anzi schiettamente isolano Francesco Lo Jacono non poteva vivere se non nella terra che fu la prima maestra della sua arte.
Si, sappiamo che egli, nato a Palermo il 10 maggio 1833, respirò nella casa paterna l’atmosfera dell’arte. Il padre buon disegnatore e buon colorista, era molto apprezzato nel ritratto e nelle composizioni di scene storiche battaglie. All’insegnamento paterno seguì quello più sostanzioso e più sapiente di Salvatore Lo Forte – che gli studiosi di oltre lo Stretto non dovettero conoscere. Seguirono poi il Polizzi e il Morelli, avvicinamento decisivo; poi se è vero che nel maestro della scuola di Posillipo il Lo Jacono trovò la luce che in altri non aveva visto, se è vero che questa luminosità è figlia di una tecnica pittorica che altrove non si è ancora fermata; e altrettanto vero che è il contatto con i grandi maestri napoletani che lo liberò dal manierismo accademico, senza, però, soggiogarlo.
Trovata la via Francesco Loiacono si sperde per le campagne dell’isola, fermandosi davanti a uliveti e ulivi centenari, che il popolo chiama “saraceni”, davanti alle opunzie e alle agavi fiancheggianti le antiche “trazzere”; scruta l’acqua stagnante nel velo autunnale del cielo; si affaccia agli scogli, di cui sono ricche le spiagge siciliane; si compiace delle scene tradizionali; e va come l’antico viandante, in cerca della sua bella sognata, sia che arda il meriggio, sia che avanzi lo scirocco, sia che imperversi la pioggia, sia che si perda per la dolce atmosfera nel trasparente umidore, appena tornato il sereno.
Ma soprattutto il viandante beve a pieni sorsi il sole, l’aria, la luce, che scherzano fra gli armenti, che baciano gli scogli, benedicono gli ulivi, palpitano nel mare, bruciano le trazzere.
L’eterno viandante ha trovato la bella dei suoi sogni e così momenti di eterna bellezza sono fissate sulle tele; vengono fuori: “Vento in montagna”; “Dopo la pioggia”; “Autunno”; “Benedizione degli armenti”; “Il duello”; “Arrivo inatteso”; “Dall’ospizio Marino”; “Monte San Giuliano”; “Taormina”; “Veduta di Palermo”; “L’ondata”; “Autunno sull’ Anapo”; “Giornata di scirocco”: per ricordare alcune e forse le più significative tra le molte opere di Francesco Lo Jacono. Molte, ché negli ultimi anni della sua vita (morì il 28 febbraio del 1915) il grande paesista spinto dal bisogno degli amici, e dagli ammiratori, che ci tenevano ad avere qualcosa di suo , si diede a copiare se stesso perdendo quella chiarezza che lo impose alla critica e al pubblico e che ancora si può ammirare nei primi quadri e soprattutto negli impareggiabili bozzetti.
I siciliani a Roma, al fine di dimenticare anche per un istante le piccole e le grandi noie dell’ora che volge e travolge possono fermarsi nella galleria d’arte moderna a Valle Giulia, davanti all’ “Arrivo inatteso” e “Dall’Ospizio Marino” per rivedere un lembo della terra lontana, per convincersi che l’arte isolana conserva luce bellezza, anche là dove l’arte ha la sua maggiore sede.
Calogero Di Mino