Abbiam seguito e studiato il contadino, in casa e fuori, nel vario lavoro e nel riposo, nelle gioje e ne dolori; ma, occupati intorno a tante e sì varie cose, non abbiam visto che qualche volta e di sfuggita gli abiti ch’egli indossa. E pure, mette conto di guardarli un momento di proposito, se non altro, perché son tutti prodotto di un’industria paesana, propria e particolare de’ contadini, la quale disgraziatamente è ora ridotta agli estremi, dà anzi gli ultimi aneliti.
Il tradizionale costume, caratteristico della classe contadinesca, ha fedeli, oggi, i vecchi quasi soli; la nuova generazione s’è lasciata sedurre dalle stoffe e da vestiti con cui le moderne industrie meccaniche e la moda hanno invase e soggiogale le città. Ma è pur tanto simpatico, tanto pittoresco nella sua severa eleganza, e tanto comodo e adatto questo costume contadinesco! E chiedo: Oh, perchè un Museo etnografico regionale non avrà a sorgere, che possa almeno, innanzi che scomparisca del tutto, conservarlo nei tipi principali e nelle varietà ?
Rientriamo nella casa contadinesca, e col permesso e in presenza della massaja apriamo la sua solida ed ampia cassa di noce (1) e facciam l’inventario degli abiti che ivi, con la biancheria, stan conservati: sono gli abiti di gala, delle grandi occasioni, i quali è gran che se vengono indossati due o tre volte in un anno.
Ecco per primo l’abito nuziale della burgisa, che, passato in eredità da madre in figlia per parecchie generazioni, conta più d’un secolo d’esistenza; pur, salvo la necessaria impronta che v’ha lasciata il tempo, esso è intatto in ogni sua parte. Si compone:
а) di una baschina, busto con falde, di seta rossa a fiorami di vario colore, aperta sul davanti, dove si allaccia con un cordoncino di seta bleu;
b) di un fadillinu, gonnella di raso rosso, ornato, per balza, di una fettuccia color celeste;
c) di un fadali, grembiule di velo bianco, (velu d’india), con fregio alla parte inferiore e merletto in giro, increspato molto; si lega alla vita con un nastro bianco;
d) di una cuvirtina pur di velo bianco, la quale si adatta a coprire la scollatura della baschina ed il petto; essa viene sottoposta alla baschina, ed è tenuta ferma sul petto dai lacci di seta bleu, che incrociandosi l’attraversano;
e) di un paio di calze cerulee di cotone, che restano visibilissime stante la brevità del fadillinu, che giunge a qualche centimetro più in su dei malleoli;
f) di scarpini di raso bianco a fiorellini cerulei e rosetta di nastro rosso al davanti. Queste scarpine finiscono a punta smussata e mancano assolutamente di tacco;
g) di una mantillina di seta (gialla o cerulea) a fiorami di vario colore.
Questo costume va completato (quando s’indossa) con la spatuzza d’argento, che ferma le trecce; co’ fiuccagghi, pendagli d’oro a fìlagrana; con numerosi anelli alle dita, e con li guleri, collane di coralli e d’ambra.
L’abito festivo della stessa massaia è quest’altro, che si compone :
а) di una tudischina, busto senza falde, di velluto turchino ornato di trina di seta gialla; è aperta sul petto, ov’è riunita mercè cappj dell’istessa trina sopra bottoncini di acciajo;
b) di una sinàva, gonnella di seta e filo di color verde pisello. La parte anteriore, quella che vien coperta dal grembiule, è tessuta di solo filo, a risparmio di seta;
c) di un faciali di mussola bianca, con nastro, per legarsi in cinto, di seta gialla;
d) di una cuvirtina di mussola bianca, che si adatta sul collo e sul petto, sotto la tudischina;
e) calze di colore turchino;
f) di scarpe di cuojo rigato, legate da nastrino nero al davanti;
g) di una mantillìna di saja bianca.
A questo costume vanno uniti: la spatuzza di argento per i capelli; i circeddi o circuna d’oro, oppure altri orecchini speciali (a l’arca, a ‘ncinseri, a la turca, a la pumpiana); una gulera di coralli; i soliti e numerosi anelli.
L’abito festivo del burgisi, (che si è anche indossato nel dì delle nozze), si compone:
a) di un ciliccuni, giacca di velluto turchino, corta fino alla vita, con maniche piuttosto strette con svolta al polso;
b) di un cileccu, panciotto di simil velluto;
c) di una càusa curia, calzone corto con la brachetta, pur di velluto turchino, fibbia d’argento al ginocchio e bottoni di bronzo ben lustrati. Simili bottoni stanno sul ciliccuni e sul cileccu;
d) di calze bianche, che son di filo per l’està e di lana per l’inverno;
e) di un berretto bianco di cotone, berretto doppio o a doppia punta, una delle quali si capovolge e introduce dentro l’altra;’
f) di scarpe di vitella ad un pirtusu (dove passa un nastrino nero), con numerose bullette su la pianta e sul tacco;
g) di una cincedda russa, fascia di cotone, larga centimetri 15 e lunga due metri, che si avvolge in cintura per fermare i calzoni, facendone pender le punte ai due fianchi. Qualche volta è di lana, ma sempre rossa, e con qualche striscetta in turchino, bianco, giallo, verde;
h) di una camicia di tila di casa, con largo collaretto che svolta sul cileccu e senza polsi, ed i bottoncini di filo ritorto, che con simmetria e saldezza vennero lavorati con l’ago;
i) delle mutande, ugualmente di tila di casa, larghe, ma corte fino a 5 centim. sotto il ginocchio.
Con quest’abito si portano nelle due tasche del ciliccuni due moccichini di color rosso e giallo, o rosso e verde, o verde e giallo, con le punte che pendono al di fuori : a ciascuna punta è una piccola nappa di filo del colore stesso del moccichino. Una varietà di questo costume è quella in cui il velluto è di colore oglino, co’ bottoni d’acciajo brunito, il berretto nero; e, in cambio di scarpe, si calzano stivali di vitella con piccola nappa di seta all’apice del gambale.
Le famiglie dei jummatara non possono gareggiare, certo, con quelle dei burgisi nei vestiti; non c’è presso di esse l’abito nuziale, che ha un reale valore, ma ben c’è l’abito festivo, che pur si tiene conservato, e della stessa forma e materia, però di qualità più scadente.
Il vestito giornaliero è uguale per tutti, sciupato e rattoppato più o meno. Pegli uomini, o è uno de’ soliti di velluto, consunto dagli anni c dall’uso, o è di fustagno scuro o bigio; gli scarponi di grossa vacchetta e doppia suola tutta coperta di grossissime bullette, legati su la faccia da un legaccio di cuojo che passa attraverso una doppia fila di buchi (scarpuna a quattru pirtusa, a otiu, a dudici).
Per le donne, il costume ordinario si compone :
a) di un jippuni (busto) di barracani di casa, tessuto bambagino a quadretti, rosso e turchino, o bianco e turchino;
ò) di una fadedda di rigatimi, gonna di tela di casa, a righi bianchi e turchini;
c) di un fadati di rigatimi, sempre più scuro di quel della gonna;
d) de’ papucci, scarpe di cuojo di vitella, ben forti, con punta acuta e tacco brevissimo:
e) di calze di cotone turchine;
f) di un fazzoletto di cotone a fiori, il quale si avvolge intorno al collo ed al seno (jazzulettu di ’ncoddu), facendo I’officio di cuvirtina.
La mantellina, che le donne portano in capo, è semitonda e copre le spalle fino alla cintura; ordinariamente è bianca e di saja; pur in molti comuni dell’interno è di panno morato, o cerùleo; in altri poi, è sostituita dal mantu, ampio manto di lana o seta che avvolge il corpo dal capo alle piante; oppure dalla piddèmia, specie di scialle di saja in color passulina (di uva passa) a forma rettangolare.
1) Trasmesse da generazione a generazione, le artistiche casse di noce contadinesche si conservano gelosamente; ma negli ultimi anni, i mercatori di oggetti antichi han saputo, con assidua caccia, spogliarne quasi tutte le case de’ villici; oggi, le casse di semplice assicella le sostituiscono. Più assidua e spietata caccia hanno avuto gli abiti, le stoffe, le biancherie, gli utensili che dai loro padri avevano avuto in retaggio i contadini e guardavano con religiosa cura.
Salamone Marino, Costumi ed usanze dei contadini di Sicilia, Bologna, Farni 1970