Lettore, sei tu di Girgenti? Se nascesti in questa cittadina, proverai, ne son certo, un senso di piacere nello scorrere queste memorie, perché vedrai con soddisfazione il progresso materiale e civile che essa ha raggiunto in questi ultimi anni. Tu non puoi immaginare quali erano le condizioni materiali ed igieniche di Girgenti, capoluogo di provincia, negli anni che precedettero la epopea del risorgimento italiano;
non puoi immaginare un comune cotanto abbandonato per colpa di un governo, che fu giustamente definito: negazione di Dio, e degli abitanti, senza amore per il paese nativo e senza idee di progresso civile. Un contrasto stridente vi era tra il sito delizioso della cittadina, posta ad anfiteatro sul pendio a sud della collina rimpetto al mare, il suo sole fulgido, la dolcezza del suo clima, l’aria sua fine, i suoi orizzonti incantevoli e pittoreschi, e l’aspetto materiale della cittaduzza mal fabbricata, sudicia, miserabile, con vie tortuose, rotte, strette, dove il sole entrava come di sbieco, con case, in complesso, vecchie, basse, sconnesse, quasi tutte di una sola elevazione, con muri pieni di muschi e di licheni e con intonachi screpolati.
Si costruivano le case senza regola e senza vigilanza del municipio. I fabbricatidegni di menzione nella via maestra, oggi via Atenea, di mediocre aspetto, erano quelli dell’avvocato Biondi, di Carbonaro, del barone Celauro, di Caruso, delmarchese Contarini, di Seminerio e di Montana. Si elevavano sopra le case, in tutti i punti della città, le chiese e i conventi. E mancavano i fabbricati per collocarvi gli uffici pubblici. Basta ricordare che l’ufficio postale sino al 1860 era collocato nella stanza terrana, oggi bottega di pizzicagnolo, sottostante alle due camere a primo piano della casa Contarini, in via Atenea, e la buca delle lettere
nel piccolo vano dell’entrata!! E i tre maestri elementari e quello di calligrafia impartivano l’istruzione nelle proprie case di abitazione!! La via maestra, da Porta di Ponte sino alla chiesa di San Giuseppe, era senza livello, con basole di
pietra calcarea sino alla casa Contarini, sciupate, perché erano state poste nel 1841 e in tutto il resto con ciottolato, quasi sempre rotto per il transito dei veicoli e degli animali, e nell’inverno era piena di fango e tutta pozzanghere, in modo che gli abitanti rincasavano colle scarpe sempre infangate e con i pantaloni inzaccherati sino al ginocchio.
La via Sferri, oggi Garibaldi, quella della Neve e la via Carnevale, ora Fodera, le quali per importanza venivano dopo la via maestra, erano sempre luride, con il ciottolato di tratto in tratto scucito e pieno di fossi. Dallo stato materiale delle vie migliori torna agevole immaginare la condizione deplorevole di tutte le altre vie e viuzze, alpestri e mal praticabili, o piane della città.
L’igiene pubblica era del tutto trascurata. In alcuni siti delle vie secondarie stavano addossati ai muri, dove era scritto: Luogo di deposito, per parecchi giorni, e anche per mesi, mucchi d’immondezze di ogni genere. Non vi erano condotti luridi sotterranei, eccetto quello della via maestra, ed era lecito alla gente povera, che non aveva cesso, versare in qualche casolare, che si trovava all’interno della città, nei luoghi sotto gli sbocchi delle mura dell’abitato dai quartieri di San Michele, di San Pietro e di altri siti anche centrali, le deiezioni umane e degli animali, e taluni di quei luoghi, specialmente quelli presso le mura, erano vere cloache, orribili alla vista e nauseanti all’olfatto.
Era pure lecito ai contadini tenere sotto le mura della città depositi di fimo e l’immondezze, che venivano poi trasportati in campagna nel mese di settembre. E come se tutto questo fosse poco, vagavano tutto il giorno liberamente per le vie della città galline e porci e numerosi cani senza museruola. Le pessime condizioni della città, malgrado fosse naturalmente ventilata e benedetta dal sole, ne rendevano infetta l’aria. Poco soffriva il naso in confronto dei polmoni, i quali venivano attossicati da tanti centri d’infezione.
Nella via maestra si vedevano botteghe mediocri con pochissimi generi di commercio, e bottegacci miserabili e sudicie di generi alimentari. Il sudiciume di questa via era incredibile. Vi era putridume di foglie marcie, torsoli di cavoli e buccie d’ogni fatta.
Per gli articoli di commercio fini e di lusso provvedevano Palermo e la fiera di San Gerlando, Patrono di Girgenti, che ricorreva nel mese di maggio di ogni anno. Per questa fiera venivano nella nostra città mercanti e rivendaglioli da Palermo, Messina, Catania e da altri comuni a vendere ogni genere di tessuti, giocattoli, stoviglie ed altre merci, in loggie costruite di tavole dipinte o tappezzate nell’interno con tela bianca o a colore, lungo i fianchi della via del Duomo, alla chiesa, oggi diruta, d’Itria sino alla Cattedrale.
Non deve stupirti, o lettore, il luridume di Girgenti prima del 1860, perché per la nettezza delle vie erano allogate nel passivo del bilancio 180 ducati (£. 765) e nelle condizioni di appalto era prescritto che la strada maestra doveva pulirsi due volte la settimana, il mercoledì e il sabato, e le altre vie tre volte al mese!!
Al presente il comune, per lo sgombro e la nettezza delle vie e delle piazze pubbliche, ha stanziate in bilancio £. 33.600.
Non vi era acqua sufficiente ai bisogni degli abitanti. L’acqua potabile eccellente della piccola sorgente di Bonamorone bastava appena per bere alle persone vili, che la compravano a caro prezzo dagli acquaiuoli, i quali la portavano alla fonte alla città in brocche, dette lancelle.
Era l’acqua di pioggia, che si raccoglieva nell’inverno nelle cisterne, che dissetava gli abitanti e serviva per gli altri usi domestici; acqua quasi sempre indigesta, perché non areata e spesso imbrattata di materie dannose, provenienti dai tetti delle case, e che perciò non aveva le condizioni chimiche ed igieniche dell’acqua stabile.
La pubblica illuminazione era deficiente. Vi erano nelle vie principali, e anche nelle secondarie, pochi lampioni ad olio, che mandavano una luce fioca, e venivano spesso spenti dal vento; e quando non splendeva in cielo la luna, le vie rimanevano perfettamente al buio, e le persone e le famiglie civili, che uscivano sera da casa, o rincasavano, si facevano precedere da un servitore con in mano una lanterna a vetri per illuminare la via.
Nello stato discusso, oggi bilancio, del comune prima del 1860 era stanziata per l’illuminazione notturna la cifra di ducati 1300 (£. 5525). Al presente per questo oggetto ne sono allogate £. 37.000.
Non vi erano alberghi decenti e comodi. Esistevano, prima del 1860, il Centrale nella via maestra, dirimpetto all’attuale elegante albergo Gellia, e la locanda La Bella Napoli, nel Piano di Lena, dietro il nuovo edificio dei collegi giudiziari, tutte e due mal tenuti e miseramente arredati. Non mancavano fondaci e qualche casa mobigliata, ma tutti poveri e indecenti.
Esistevano nella città, prima del 1860, due teatrini, uno assai minuscolo, che era quello dell’archeologo e pittore di vaglia, Raffaele Politi, a pian terreno della sua casa di abitazione, nella via Carnevale, il quale non era altro che un grande magazzino con una fila di palchi, simile all’attuale teatrino Empedocle, posto presso l’ospedale civico, nella via Atenea; e l’altro migliore e più grande del primo, con una fila di palchi e col loggione, che fu costruito nel 1845, vicino al convento di San Domenico, con l’ingresso nella via, che ora si appella del Teatro, rimpetto la porta della casa Zirafa;
si accedeva ai palchi di fuori, da una piccola porta che era a pochi passi di distanza da quella d’ingresso. Questo teatro, che era di proprietà di Simone Amoroso e di Amedeo Bonfiglio, fu trasformato in stanze, le quali ora fanno parte della casa comunale.
Non vi erano strade rotabili necessarie allo sviluppo della città e alla sua economia; e perciò mancanza di comunicazioni con gli altri comuni e di commercio. I mezzi di comunicazione erano primitivi. Il re Ferdinando II, nel mese di Ottobre 1838, venne a Girgenti per via di terra a cavallo, e la sua augusta consorte in lettiga. Questa, o lettore, era la Girgenti, visitata spesso da illustri viaggiatori, prima del 1860; queste erano le sue pessime condizioni igieniche, di cui conservo tuttora chiare le immagini.
Nulla valeva per essa il sorriso della natura e la sua elevazione di più di 300 metri sul livello del mare. Tutto dimostrava incuria, accidia e abbandono universale. In seguito ti darò di essa altre notizie che potranno appagare la tua curiosità, o meritare la tua attenzione. Per ora ti dirò che la cittadina oggi giorno ha preso un aspetto moderno, civile e pulito. Si é abbellita di molti edifici per abitazioni di privati e per uffici pubblici, di buone case in tutti i quartieri, di vie lastricate, di decenti alberghi e taluni di lusso.
La via Atenea é ora comoda, pulita, lastricata con basole di lava del Vesuvio e fiancheggiata da buoni palazzi, dei quali alcuni con facciate eleganti, e di botteghe fornite di ogni genere di commercio.
Talune vie strette sono state allargate, alcune tortuose allineate e selciate. Cinquanta spazzini, sorvegliati da sedici guardie municipali, ne curano la nettezza, e quattrocentoventisette fanali a gas la illuminano la notte. Una rete di condotti sotterranei per tutta la città conduce le materie luride oltre trecento metri fuori dall’abitato, e la fonte del Voltano fornisce settanta litri di eccellente acqua potabile al giorno ad ogni abitante. Le povere e vecchie case sono quasi tutte sparite, trasformate o abbellite, e oggi Girgenti apparisce come una città nuova.
Francesco Paolo Diana 1912