Iniziata la campagna di scavi per portare alla luce l’antico teatro di Akragas. L’evento ha suscitato grandi emozioni, anche in tante parti del mondo, e non solo tra gli appassionati di archeologia.
Ma non è la prima volta che dalle zolle dell’antica Valle che accolse i greci provenienti da Gela e presto divenne sede di una delle più grandi potenze del Mediterraneo sono riaffiorate le testimonianze di quell’antico e fugace splendore.
I turisti che arrivano nell’area dove un tempo c’era il tempio di Giove ammirano il colossale telamone, il gigante ricostruito a ricordo di quelli che sorreggevano uno templi greci più grandi. Ma fu quasi duecento anni fa, nel 1825, che uno di quelle colossali statue, giacenti in pezzi e occultate tra le macerie del gigantesco Olympieion, venne scoperto e ricomposto da Raffaello Politi, (referente imprescindibile per studiosi e viaggiatori che in quegli anni arrivavano a Girgenti seguendo il Grand Tour). Solo nel 1965 venne custodito nella sala dei Giganti del Museo archeologico di Agrigento e al suo posti venne colocata l’attuale copia.
Nella Chiesa di San Nicola sì è conservata un’altra grande scoperta tutta agrigentina: il sarcofago di Fedra.
Johann Wolfgang Goethe scrisse: “Credo di non aver mai veduto cosa più stupenda in fatto di bassorilievi, né più perfettamente conservata. Esso è per me un esempio del più vago periodo dell’arte greca”.
Fu scoperto nel 1750 nel fondo del canonico agrigentino Libertino Sciacca che donò l’ opera alla Cattedrale ma non sapendo di cosa si trattava venne usata per molto tempo come fonte battesimale.
Al tempio agrigentino di Castore e Polluce si dedicarono invece Valerio Villareale e Francesco Saverio Cavallari
che nel 1836 con materiali raccolti sul posto hanno ricostruito un angolo del tempio dei Dioscuri, che è diventato poi negli anni un emblema turistico di Agrigento.
L’Efebo
Non possiamo dimenticare certamente uno dei capolavori della scultura greca del V secolo a.C. in Sicilia, la statua raffigura un Efebo stante, conservata nel museo archeologico di Agrigento. Alta 102 cm fu ritrovata nel 1897 in una cisterna della Rupe Atenea. E’ stata esposta per sei mesi di recente al museo Getty di Los Angeles con un successo strepitoso.
C’è stato chi poi un secolo dopo ha interrogato e scrutato ogni zolla nell’area dove si trovano i resti dei templi di Giove e dei Dioscuri e negli anni venti del secolo scorso durante la sua fruttuosa permanenza ad Agrigento ha portato alla luce il santuario delle “potenti dee della natura e degli inferi”, le divinità ctonie. Fu l’archeologo Pirro Marconi. Da quegli scavi sono poi venuti alla luce altari rotondi, terracotte plastiche e altri reperti che hanno rivelato i culti più antichi ad Akragas. Già nel 1926 scoprì i resti di quattro dei colossali telamoni dell’Olympieion, portò alla luce l’area sacra sulla rupe atenea su cui poi venne edificata la chiesa di S. Biagio, gli edifici pubblici greci nel sito del cosiddetto “oratorio di Falaride”, le fortificazioni dell’antica città e tante altre scoperte che ancora gli studiosi esaminano.
Negli anni recenti l’impegno di sovrintendenti come Pietro Griffo ed Ernesto De Miro è stato fondamentale per comprendere meglio anche la preistoria agrigentina e la topografia della citta antica con campagne di scavi che hanno arricchito il museo archeologico anche con reperti provenienti da altre aree come Serra Ferlicchio, Monserrato, Cannatello.
Ma andando adesso ai giorni nostri, gli interessi di ricerca del Parco Archeologico della Valle dei Templi sono stati rivolti verso momenti della storia della città meno noti ai non addetti ai lavori, ed in particolare al periodo che va dall’età ellenistica al periodo tardo-antico ed alto-medievale, cioè dalla fine del IV secolo a.C. al VII d.C.
“Queste ricerche si sono concentrate in particolare nel settore centrale della città antica, comprendente il cosiddetto Quartiere Ellenistico-Romano e l’area di San Nicola, dove si sviluppò l’agorà ellenistica ed il Foro di età romana – dice l’archeologa Serena rizzo – Il Quartiere è sottoposto oggi ad un intenso lavoro di studio e reinterpretazione, anche grazie ai lavori di analisi condotti da diversi studenti e missioni universitarie: tra queste, la missione dell’Università di Bologna che sta svolgendo le sue ricerche proprio in questi giorni.
Tra le novità più rilevanti delle ricerche condotte dal Parco negli ultimi anni si può ricordare la scoperta di un edificio termale nell’isolato IV, di cui si è iniziata l’esplorazione”.
Nell’area dell’agorà le ricerche vengono invece condotte in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria e dell’Architettura del Politecnico di Bari, che ha proseguito lo studio, già iniziato da Ernesto De Miro, del tempietto ellenistico-romano che si innalza, all’interno di una piazza porticata, a nord del Museo Archeologico.
E’ da quest’area che provengono due statue di togati databili nella prima metà del I sec.d.C. rinvenute nel corso degli scavi del 2005 e forse anche le due simili esposte al Museo Archeologico Pietro Griffo. Esse dovevano fare dell’arredo scultoreo del complesso monumentale.
Questo studio ha offerto l’occasione per ampliare lo sguardo all’intero complesso dell’agorà ed in particolare alla sua riorganizzazione a partire dalla fine del III sec. a.C.e fino al I, quando, attraverso la realizzazione di un imponente sistema di muri di contenimento e riempimenti artificiali e di piazze porticate si ottiene un complesso di grande effetto scenografico, che rivaleggia con le città dell’Asia Minore. E’ in questo quadro che si inserisce anche la scoperta dell’edificio semicircolare venuto in luce recentemente, che sembra costituire la fronte monumentale dello spazio dell’agorà sul lato sud-orientale.
Adesso siamo ad una nuova pagina di storia dell’archeologia agrigentina con gli imminenti scavi per trovare l’antico teatro.
Elio Di Bella