Nel periodo del suo massimo splendore politico, l’on. Colonna Di Cesarò non fece demagogia, ma operò da leader nel partito della Democrazia Sociale, mentre, durante il regime fascista, si oppose sempre nella maniera legalitaria tanto da essere citato da Antonio Gramsci nelle sue lettere dal carcere alla moglie Julka.
Il duca Di Cesarò aderì ad un’altra dimostrazione antifascista effettuata dal giovane Ernesto De Bosis, il quale, a nome dell’Alleanza Democratica, volò su Roma lanciando volantini inneggianti alla libertà.
Dal 1924 al 1939, anno della sua morte, Giovanni Colonna Di Cesarò fu costantemente controllato dalla polizia che tuttavia non potè mai impedire gli ingressi trionfali del duca a Ioppolo, quando andava a trascorrere le vacanze nel suo castello. Interminabili erano le processioni di coloni di Raffadali, Santa Elisabetta e Aragona, che a cavallo e con torce accese lo « scortavano » dalla stazione di Aragona Caldare fino a Ioppolo.
Il Di Cesarò si distinse quale uomo politico attento ai problemi della provincia di Agrigento e a tal proposito si vuole ricordare il « I congresso nazionale contro la delinquenza e l’analfabetismo» da lui promosso ed organizzato nella Città dei Templi dal 21 al 25 maggio 1911, cui parteciparono il ministro di Grazia e Giustizia Finocchiaro Aprile, l’on. Colajanni e il professor De Luca. Durante l’occupazione nazista di Roma, gli eredi del duca aiutarono gli agrigentini « braccati » dalla polizia, mentre dopo la fine della guerra, le terre del Di Cesarò non furono assegnate ai coloni del comprensorio di Ioppolo, ma furono cedute ai privati. Il governo dell’epoca, infatti, non accolse l’appassionato progetto del vescovo della diocesi agrigentina Mons. Peruzzo che « disegnava » una riforma agraria sui generis che sarebbe rimasta nella storia della provincia agrigentina. Insomma, l’on. Di Cesarò è un personaggio da riproporre ad una attenta indagine storica e sociale, essendo stato un notabile di prestigio.
Francesco Maratta