panorama anni cinquanta
Diario agrigentino: Miseria e nobiltà nell’immediato dopoguerra. Agrigento ritrova la pace e affronta i nuovi problemi
L’anno millenovecentoquarantasei cominciò con la pace. Per tutti. Poi rientrarono i primi reduci, con sollievo di parrini e di mammane quindi, calò un po’ di benessere: comparvero finalmente zucchero, sigarette anche dal tabaccaio, lampadine, aghi per macchine per cucire, lucido per scarpe Brill, Marga. Bomboloni multicolori filati per strada.
Dal Connecticut, il soldato Harry M. May mandò il pacco CARE. Ad Agrigento, nel ’43, nella caserma della MVSN era il cambusiere: non aveva perduto le buone abitudini.
Calarono i ciarlatani e nello slargo davanti Miceli si vendettero pettini, posate, stoviglie, stoffe, mutande, orologi e catenine d’oro….. I callifughi a Porta di Ponte, lato via Gioeni.
Lato caffè Patti, Coccòpiriccoccò madama catarina andiamo a fare un altro piccolo uovo, fra l’esterrefazione degli ovari, autentici da Giardina Gallotti e Raffadali. Madama Catarina, un sacchetto grigio, fetava uova, tante, uno dopo l’altro.
L’addivinavintura:……………….Amoringannettradimenti,…………………litinfamiglioltraggincampagna, saveteunfigliomilitariosventuratamentecarcerato,…………………….. velovadarricercarevelovadaritrovare evvenepossodarunesattaspiegazionedelluogoprorincuisitrova. L.10.
Il pane, il granone, le donne, da Rabbato e Santa Croce, dall’Itria e Bibbirria, fiumarono inviperite per via Atenea, fino alla Prefettura. Il professore Stefano Castiglione le arringò dal balcone, recitando Dante. Se ne andarono. Convinte.
Riavemmo notizie dai parenti del continente. Il nonno di Ficarolo (RO) era morto. In primavera si tennero le elezioni amministrative. Vinse la DC. uno dopo l’altro per eventi diversi, s’accomodarono, alla Sala dei Giganti, tutti i suoi candidati. Anche quelli che avevano avuto più “scancellature” che preferenze. Fra i radi comunisti, in doppiopetto blù, il Mazzarella.
Dal terzo piano della Federazione, liceali, plaudimmo al transito di Vittorio Emanuele Orlando; Italo Magli, dentista, ducesco di mascella, testa pelata e nostalgica, esponeva il giornale murale, giorno per giorno al lato del liceo.
Feci la campagna referendaria con Eduardo Pancamo (per Magli, il pappafico repubblicano, alludendo al pizzo), disegnando foglie d’edera e poster. Con la caricatura del Re.
Vinse (altrove) la repubblica.
Su un camioncino, ammantata di tricolore, cucito in fretta, senza stemma, una giovane percorse la città sino a San Calogero. Altera.
A luglio, Licenza liceale nei sotterranei gelidi del seminario: promossi, 8 per cento. L’indulto settembrino sanò l’ecatombe.
A San Leone rari costumi castamente “osé” lungo il torpido arenile.
Ressa, di sera, al cinema Arena Bonsignore. Giovanotti trepidi, la “sponza” di gelsomino, all’amata.
Donnantonio e doncarluzzu, si indaffaravano fra espressi e brioches con gelato. Caffè della Vittoria ritrovo della Agrigento “per” bene, con cafè chantant d’estate, prima della guerra. E gli spumoni con panna di don Carmelo.
L’unico bigliardo, sopravvissuto, di strappi come bandiera vecchia, palestra di molti. Professionisti, uno per tutti Giugiù, in arte Stecchino. Il “maestro” Pippo Siringo eterno rivale del Martorana. Astro nascente. Nino de Stefani.
Le orfanelle passavano il sabato pomeriggio. Gli offrivamo un gelatino.
Le coppiette passavano tutti i pomeriggi (quasi) indisturbate.
I parrineddi quando stava per piovere. Pasqualina: Ora chiovi.
Loro: accussì ti lavi ‘u mussu. I parrineddi uscivano col tempo cattivo, per via delle tentazioni.
Uno scialo, ai funerali. Salmodiando, dondoloni sottecchiavano.
Col separatismo, si seppe che la bandiera USA era a quarantanove stelle, Sicilia compresa.
In autunno, cominciai a studiare giurisprudenza sui libri di Angelino Bonfiglio che, saltato il terzo, mi aveva preceduto.
L’otto dicembre, morì mio Padre. A quarantasette anni.
Il dieci dicembre arrivò l’urna di Pirandello. Depositata (più che deposta), dopo le cerimonie, al Museo. Il professore Zirretta, la sistemò – suo malgrado – dignitosamente nella saletta attigua il suo appartamento di servizio. Tanto fece che riuscì a farla trasferire al caos, dopo lunghi lavori di ripristino, nel millenovecentosessantuno. Nella rozza pietra, le Ceneri, paghe, riposano.
Ma questa è un’altra cosa e non posso raccontarla. Qui.
IL MILLENOVECENTOQUARANTASETTE
Si proseguì, campando, con qualcosa di più.
I socialisti s’erano divisi. Saragat, dal mitico balconcino del Gellia, fu presentato da Lullù Restivo: “Vi presento l’onorevole Sargàt,… pausa…che…pausa non ha bisogno di presentazione”.
Andrea Finocchiaro Aprile apostrofò il buon Parri: Gran visir da operetta.
Un palermitano arringò, al Purgatorio: siciliani, aldiqquà dei monti, siciliani aldilà dei mari. Trombato, altalenando, fece carriera.
Il 20 aprile si celebrarono le elezioni al primo parlamento regionale. Luogo d’incontro e di spasso. Piazza Gallo, arenghetto del Gellia. Gli eletti furono chiamati onorevolini.
Il ventotto dicembre, ad Alessandria d’Egitto, morì Vittorio Emanuele III. Nessuno ci fece caso.
Imperversava Giannini coll’UQ. Fece, poi, la fine che gli fecero fare.
IL MILLENOVECENTOQUARANTOTTO