Echi di voci e memorie di un paesaggio antico: Monte Guastanella e il Platani nei versi dei poeti raffadalesi Giuseppe Serroy e Salvatore Maragliano
Sito archeologico di Monte Guastanella |
Quanto segue si configura come un piccolo omaggio ed affettuoso tributo alla memoria di chi, originario dello stesso paese dei miei genitori, Nicolò Lombardo e Giuseppina Gueli, dalle cui testimonianze aediche tutte le mie indagini e ricerche storico-archeologiche ed etno-antropologiche sono dapprima scaturite e quindi culminate nella pubblicazione del saggio L’ultima dimora del Re. Una millenaria narrazionesiciliana “svela” la tomba di Minosse (Fara Editore), in tempi diversi ma con la stessa temperie sentimentale e trasporto affettivo ha celebrato un luogo a me così caro come Monte Guastanella, ubicato nelle remote campagne agrigentine della media valle del Platani.
Giuseppe Serroy (Raffadali, 23 0ttobre 1795 – Agrigento, 3 ottobre 1881), poeta, studioso di tradizioni popolari,
saggista, nonché medico, scienziato, politico antiborbonico, patriota dell’Unità d’Italia, originario di una stirpe di olandesi che emigrarono nella provincia di Agrigento a Raffadali, dopo essere passati da Malta, fu spirito di uomo focoso, indomito e ribelle contro ogni male, torto o vessazione ai danni dei deboli da parte dei potenti.
Amò visceralmente il paese di Raffadali a cui dedicò diversi scritti e componimenti lirici e per cui raccolse suggestive cantate popolari contadine che un tempo echeggiavano per i sentieri e le trazzere di campagna all’alba e al tramonto.
Qui sottoriportati alcuni versi in vernacolo siciliano, frammisti a foto d’epoca, che eternano la memoria storica di Raffadali e Monte Guastanella:

Da Salvatore Di Benedetto, Giuseppe Serroy. Uomini e canti da non dimenticare, 1988
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Salvatore Maragliano (Raffadali, 8 settembre 1944 – Raffadali, 16 giugno 2010), indimenticabile poeta raffadalese profondamente legato alla sua terra natia, nonché mio caro ed affettuoso cugino, nelle sue appassionate liriche, ove la parola poetica si libra e si libera potentemente con rara efficacia espressiva in suono e canto dal sapore antico e con accenti simili, a tratti, a quelli della dell’antica lirica greca, attraverso il filo della nostalgia rievoca il Passato come un bene agognato ma irrimediabilmente perduto e ora vagheggiato con amaro rimpianto.
Nei versi che seguono la sua voce si leva, accorata e fiera, contro l’incuria, il saccheggio e la deturpazione di una natura, pregna di Storia, in questo angolo di Sicilia, fino a tempi or sono di solenne e incontaminata bellezza.
