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VILLASETA NOTIZIE STORICHE

29 Ottobre 2015 //  by Elio Di Bella

Frazione residenziale di Agrigento, vicina a Porto Empedocle, nei pressi della contrada Caos, dov’è la Casa Natale di Luigi Pirandello.

 Il borgo si presenta nel suo sviluppo urbanistico più recente, risalente agli anni ’60, secondo una tipologia edilizia tanto diffusa nelle zone periferiche.

 Le radici di questo borgo vanno ricercate già nel nome – “a Sita” – che deriva dal greco  =le biade, e che richiama la sua antichissima vocazione rurale.

E’ noto infatti che già a partire dal VI sec. a.C. il commercio di grano soprattutto con Atene era particolarmente florido, come ci testimonia Diodoro Siculo.

Del resto per una eloquente conferma di ciò basti pensare all’antico culto particolare a Demetra e Persefone, presente non solamente nelle vestigia del tempio-chiesa di S. Biagio e nel complesso del santuario dedicato alle due dee nei pressi della porta prima di Akragas, ma anche nei numerosi reperti numismatici (diverse monete, infatti, riportavano immagini cornucopie, spighe d’orzo, grani di frumento, fiori di papavero e di loto, farfalle, cicale); né sembra da respingere l’ipotesi che diverse cisterne scavate non solo all’interno della città ma anche nei suoi dintorni (ivi compresa Villaseta) fossero veri e propri depositi di grano.

Non si esclude, però, la possibilità che derivi dall’arabo “sita” (pr. sida) =signora (il Picone chiama così la contrada a due miglia a sud-ovest di Agrigento, nelle sue “Memorie storiche agrigentine”); o ancora che sia da collegare alla coltura del baco da seta, ivi piuttosto intensa.

Villaseta e l’archeologia

 Segni di civiltà preelleniche, come le tombe a forno o a camera proprie del culto dei morti fra le genti sicule, testimoniano una frequentazione del sito fin da epoche molto remote.

Scavi più regolari effettuati a partire dagli anni Sessanta, dimostrano che resti funerari risalenti alla fine del V sec. a.C. a Poggio Giache (qualche chilometro più ad est di Villaseta) possano appartenere all’estremo lembo sud occidentale della più estesa necropoli di Akragas (Pezzino) oppure addirittura costituire una struttura cimiteriale autonoma, e questo darebbe al luogo il carattere di proàstion, cioè di grosso borgo, come quello di Montelusa o di Mosè, a corona della grande città.

Il livello di raffinatezza espresso dai numerosi pozzetti funerari dotati di eleganti crateri, propri della ceramica attica figurata o a semplice vernice nera (che sistematiche campagne di scavo negli anni ’80 hanno portato alla luce) è collegabile al tardo manierismo classico.

E poi, a poco a poco, anche dalla città dei morti cominciarono a giungere i segni della decadenza della città dei vivi.

Dal secolo IV in poi, infatti, le tombe si vanno facendo sempre più modeste: saranno semplici tombe terragna o a fossa, scavate nella roccia, a testimoniare il declino di quella che il poeta Pindaro aveva chiamato “città, la più bella fra quante albergo son d’uomini”

Villaseta e Pirandello

 Lungo è il silenzio dei secoli che si sono susseguiti in questa contrada la quale, tuttavia, continuò ad essere un nodo di collegamento, all’uscita della strada di Fondacazzo, negli scambi commerciali legati soprattutto allo zolfo, fra la Girgenti della memoria pirandelliana e quella “borgata di mare cresciuta in poco tempo a spese della vecchia Girgenti e divenuta ora comune autonomo” (Porto Empedocle).

 E per restare nel clima del romanzo, forse più autobiografico che storico, I Vecchi e i Giovani, ecco come Luigi Pirandello ci descrive la “Seta” dell’ultimo Ottocento: “Casale d’una cinquantina d’abituri allineati sullo stradone, fondachi e taverne per i carrettieri, la maggior parte, da cui esalava un tanfo acuto e acre di mosto, un tepor grasso di letame, e botteghe di maniscalchi, di magnani, di carrai, con una stamberguccia in mezzo, ridotta a chiesuola per le funzioni della domenica”.

 Eppure non manca in questo modesto borgo qualche sprazzo di eleganza e di ricchezza come l’aristocratica villa dal portale finemente cesellato nel ferro, di Don Domenico La Lomia di Canicattì, imparentato con l’altra famiglia nobiliare dei marchesi Giambertoni di Girgenti, che possedeva vari feudi a Villaseta.

 E poi è ancora con Pirandello che scopriamo a Villaseta la “magnifica tenuta di Primosole”, primo scenario naturale della “Giara”, vero trionfo di quella ruralità che fu nel grande scrittore un segno di fedeltà alla terra dove nacque e dove volle essere ricondotto dopo la morte.

 Né Villaseta, pur dietro il torpore che sembra acuito dalla calura del sole, è rimasta estranea ai primi moti risorgimentali, quando nel 1820 gli abitanti del luogo umiliarono un intendente borbonico, simulandone più volte la fucilazione dopo averlo bendato.

Villaseta e il Novecento

Giunti alle soglie del XX secolo, il borgo si ingrandisce sempre più, pertanto diventa indispensabile dotarlo di servizi necessari.

Arriva così l’acqua del Voltano nel 1907, l’impianto di illuminazione elettrica nel 1908, le scuole elementari nel 1910.

 Una data triste da ricordare è il 1943, anno nel quale a Villaseta furono radunati soldati italiani e soldati tedeschi per essere deportati dagli Alleati nei campi di concentramento della Tunisia.

fonte il globo

Categoria: Agrigento Racconta, Storia AgrigentoTag: villaseta

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