LA SERA
Il tramonto è l’ora della poesia: all’operaio, al contadino, che ha lavorato tutto il giorno, rifulge la speranza dell’imminente riposo. E gode che presto sarà nel suo nido, dove lo attendono le affettuose cure, della sua donna, le carole dei figlioletti e il desco rifocillatore. D’altro lato, per naturale telepatia, la sposa, che ha già accudito alle faccende domestiche, sentendo prossimo l’arrivo del marito, si dispone a preparare la cena. Non restano che un’ora e quarantacinque minuti di giorno, ed ecco, inappuntabilmente suona S. Anna.
Sant’Anna è una linda e pulita chiesa sulle alture a S.O di Acireale, di cui domina le opulente campagne, è servita da una comunità di devoti eremiti, scampata alle leggi eversive, perchè dichiarata, quale realmente è, una società agricola, sebbene in tonaca e cappuccio.
Il suono argentino del sacro bronzo scuote, più che non facciano da se stesse, le buone massaie, che mettono in ordine i legumi, se già non sieno di quelli, che han bisogno di essere precedentemente messi a mollo, le verdure o le paste da minestra in una cucina grossolana, dove per fortuna predomina il tradizionale, prezioso succo della uliva, come per molcere, elidere e mitigare la forza del pepe, che non si risparmia quasi a nessuna vivanda.
Anna sona pri li maritati,
Pri fari la minestra a li mariti:
dice il popolo.
E già il sole è tramontato da pezza : le ombre calano a gran passi; dalle varie chiese degli spessi villaggi, sparsi qua là, e che portano il nome di Aci, parte il suono dell’ Ave Maria ! Quei di casa si segnano, e la madre dice:
Trasiti, sant’Angilu di Diu,
E benedite la famigghia mia,
Angelus Domini nunziata Maria.
Nel mentre che lei- o la nonna – cercano nel luogo topico lo zolfanello, fregandolo alla parete, dà fuoco al lume, dicendo:
Lumen Cristi !
È una reminiscenza del sabato santo, quando il diacono, col nuovo fuoco, accende ad una ad una le tre candele dell’asta, che tiene alle mani entrando in chiesa e portandosi all’altare.
Ed ecco s’ode o par di sentire i passi del babbo, che entra; il quale deposti i ferri, e rassettandosi un po’ della persona, ricevutasi la festa dei piccolini, siede a mensa segnandosi; i ragazzi segnatisi pur essi, dicono: benedicite padre, benedicite madre ecc. e si trionfano tutti, le scodelle fumanti, mentre la madre pur mangiando, va dalla cucina alla buffetta (buffet la tavola) e da questa a quella, or portando, or levando i piatti, non senza qualche richiamo affettuoso del marito, che la vorrebbe seduta, ché non s’affatichi tanto.
Terminata la cena e fatta un po’ di chiaccherata, od anche fumata, alcuni degli uomini, la pipa, si dispongono tutti a mettersi a letto (i cui materassi, ripieni di stoppa o crine vegetale, e che al mattino erano stati levati, sono già distessi ed acconciati ; — cunzari u lettu) che i contadini e gli operai in genere, dovendo la dimane levarsi di buon’ora per andare al lavoro, si mettono pure presto a letto; sanno che
Presto a letto e presto fuore
Dà salute e buon umore.
E allora la donna chiude l’uscio di casa ben bene con ferri e bastoni :
la chiudu la porta mia — Cu lu mantu di Maria,
Di S. Peppi cu’ Vastumi — e ‘a fidi di S. Simuni ,
E, si qualcunu ha fari mali a mia,
Chi nun trovi non porta e mancu via.
Mettendosi a letto :
Mi curcn cu Din — cu Marca e Mattia,
Cu Luca e Giuvanni — il Signor m’accompagni
Pri strata e pri via — cu so cumpagnia.
E poi ancora :
Iu mi curcu pri durmiri — e non sacciu s’haiu a muriti,
Si no agghica cunfissari — perdonatimi Signuri.
Tutti si segnano : i bambini chiedono ancora la benedizione al babbo, alla mamma, ai nonni. La somiglianza tra il sonno e la morte è troppo nota perchè vi s’insista;
quindi abbiamo ancora :
Iu mi curcu ntu sta iettu,
Non si s’è calettu,
E mi copri sta frazzata,
Non si sapi s’è valata, ecc.
E così seguitano le similitudini con versi rimanti a due a due.
I nostri contadini sono religiosi, e, nelle serate lunghe d’inverno sino a Pasqua,- dicono anche, prima di cena, il rosario.
Salvatore Demaria (anno 1912)