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Camico

You are here: Home / Storia Comuni / Camico

14 Marzo 2018 //  by Elio Di Bella

 

(DIODORO SICULO di Agira, 90-27 a.C. Biblioteca storica, I, 61; IV, 78-79)

 Dedalo si trattenne molto tempo presso Cocalo e i Sicani, ammirato per la sua grandezza nell’arte. In quest’isola costruì alcune opere che rimangono ancora oggi. Vicino a Megaride costruì ingegnosamente la cosiddetta kolymbetra, dalla quale sbocca nel mare, che è vicino, un grande fiume chiamato Alabone. Presso l’attuale Agrigento, nel luogo chiamato Camico, costruì una città che si trova su di una rupe, la più salda di tutte, assolutamente inespugnabile con la violenza: con un artificio ne fece la salita angusta e tortuosa, da potersi difendere con tre o quattro uomini. Perciò Cocalo in questa città fece costruire la reggia, vi depositò le sue ricchezze e la conservò inespugnata grazie alla inventiva dell’architetto. Come terza costruzione nel territorio di Selinunte apprestò un antro nel quale estrasse con tale misura il vapore umido del fuoco che bruciava in esso, che per la dolcezza del calore coloro che vi si trattenevano trasudavano insensibilmente e a poco a poco, e curavano i corpi con godimento, senza essere danneggiati dal calore. Ad Erice c’era una rupe scoscesa di altezza straordinaria, e poiché l’angustia dello spazio presso il tempio di Afrodite costringeva a realizzare la costruzione sospesa sulla roccia, fece un muro proprio sulla sponda, ampliando in modo inaspettato la parte superiore della sponda. Per Afrodite Ericina realizzò con arte un ariete d’oro, mirabilmente lavorato, e somigliante in modo perfetto ad un ariete vero. Dicono che in Sicilia abbia realizzato con arte molte altre opere, che sono andate distrutte per il molto tempo trascorso.

79 – Minosse, re dei Cretesi, in quell’epoca padrone del mare, quando fu informato della fuga di Dedalo in Sicilia, decise di fare una spedizione contro l’isola. Preparata una considerevole forza navale salpò da Creta e approdò in territorio di Agrigento nel luogo chiamato da lui Minoa. Quando l’armata fu sbarcata vennero inviati messaggeri al re Cocalo: Minosse reclamava Dedalo per punirlo. Cocalo lo invitò ad un incontro, e dopo aver promesso che avrebbe eseguito ogni cosa, ricevette ospitalmente Minosse. Mentre Minosse era al bagno, Cocalo trattenendolo di più nell’acqua calda lo uccise e restituì il corpo ai Cretesi, adducendo come causa della morte il fatto che era scivolato nel bagno e caduto nell’acqua calda era morto. Poi coloro che lo avevano accompagnato nella spedizione seppellirono splendidamente il corpo del re, costruirono un duplice sepolcro, e posero le ossa nella parte nascosta, mentre in quella scoperta costruirono un tempio di Afrodite.

 

(APOLLODORO di Atene, 180-115 a.C. Epitome, I, 12-15)

Quando Teseo giunse a Creta, Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui, e gli promise che lo avrebbe aiutato, dietro promessa di essere portata ad Atene come sua sposa. Teseo lo giurò, e Arianna costrinse Dedalo a rivelarle l’uscita del labirinto. Ancora per suggerimento di Dedalo, diede a Teseo un filo grazie al quale sarebbe potuto uscire: Teseo lo legò alla porta e, tirandoselo dietro, entrò. (…) Teseo uccise anche tutti gli altri suoi oppositori, ed ebbe il potere assoluto. Minosse, quando si accorse della fuga di Teseo e dei suoi compagni, ne ritenne responsabile Dedalo, e lo rinchiuse nel labirinto insieme al figlio Icaro, che Dedalo aveva avuto da Naucrate, una schiava di Minosse.

Allora Dedalo costruì delle ali e le legò alla schiena sua e del figliolo, raccomandandogli di non volare troppo in alto, perché i raggi di Elio non sciogliessero la colla che teneva insieme le penne, e neanche troppo vicino al mare, perché l’umidità non appesantisse le ali. Ma Icaro, trascinato dall’entusiasmo, dimenticò le raccomandazioni paterne, e volò sempre più in alto: e allora la colla si sciolse e il ragazzo precipitò nel tratto di mare che dal suo nome poi si chiamò Icario, e morì. Dedalo invece si salvò, e riuscì ad arrivare a Camico in Sicilia. Minosse andò all’inseguimento di Dedalo, e in ogni regione che attraversava faceva vedere agli abitanti una grossa conchiglia tritonide, e i suoi araldi promettevano una enorme ricompensa a chi fosse riuscito a far passare un filo di lino nella spirale della conchiglia: solo Dedalo, pensava Minosse, ne sarebbe stato capace, e in questo modo certo avrebbe scoperto dove si trovava. E un giorno Minosse arrivò anche a Camico, in Sicilia, alla corte di Cocalo, proprio dove Dedalo si nascondeva: e anche qui fece vedere la conchiglia. Cocalo la prese, dichiarò che era in grado di far passare il filo, e portò la conchiglia a Dedalo. Dedalo allora fece un buchino nella conchiglia, poi legò il filo di lino a una formica, la fece entrare da lì e quella poi uscì dalla parte opposta, dopo aver tirato il filo lungo tutta la spirale della conchiglia. Quando Minosse vide che il problema era stato risolto, capì che Dedalo si trovava alla corte di Cocalo, e chiese che gli venisse consegnato. Cocalo glielo promise, e intanto invitò Minosse a fermarsi come suo ospite: ma mentre faceva il bagno le figlie di Cocalo lo uccisero – e qualcuno dice che gli fu versata addosso dell’acqua bollente.

 

( ERODOTO, Alicamasso/Thurii, 484 -420 a.C. Le Storie, 7, 169-170)

 – Ecco come si comportarono i Cretesi, quando i Greci in tal senso incaricati li invitarono nell’alleanza: mandarono a Delfi a nome di tutti una delegazione per chiedere al dio se fosse vantaggioso per loro soccorrere la Grecia. E la Pizia rispose: “Sciocchi, e poi vi lamentate di tutte le lacrime che vi fece versare Minosse, incollerito per l’aiuto portato a Menelao? I Greci non avevano collaborato a vendicare la sua morte a Camico, e voi invece li aiutaste a rivalersi per la donna rapita a Sparta da un barbaro”. I Cretesi, come udirono queste parole riportate dai messi, si astennero dall’inviare aiuti.

 – Si racconta infatti che Minosse, giunto in Sicania (oggi detta Sicilia) alla ricerca di Dedalo, vi perì di morte violenta. Tempo dopo i Cretesi, indotti da un dio, tutti tranne quelli di Policne e di Preso, arrivarono in Sicania con una grande flotta e strinsero d’assedio per cinque anni la città di Camico (ai tempi miei abitata dagli Agrigentini). Infine, non potendo né conquistarla né rimanere lì, oppressi com’erano dalla carestia, abbandonarono l’impresa e se ne andarono. (…)

Altro: Il mistero della tomba di Minosse

 

Dalla Enciclopedia Treccani

 

Sant’Angelo Muxaro Comune della prov. di Agrigento (64,5 km2 con 1552 ab. nel 2008). Il centro è situato a 335 m s.l.m. sul fianco sinistro della valle del fiume Platani.

In vicinanza si trova un’importante necropoli, che conserva le più notevoli tombe a thòlos della Sicilia (la più monumentale è la Tomba del Principe trasformata in cappella nel periodo bizantino), che denunciano influenze egeo-micenee, forse irradiate dalla vicina Eraclea Minoa, in un’età comunque posteriore a quella micenea; ne proviene una suppellettile assai interessante in cui, accanto alla ceramica e a oggetti in bronzo prodotti localmente, figura materiale greco d’importazione (10°-5° sec. a.C.) con una particolare concentrazione di manufatti subgeometrici (8°-7° sec. a.C.). Della città si è proposta l’identificazione con Camico, la capitale del re sicano Cocalo.

SANT’ANGELO MUXARO. – Centro abitato in provincia di Agrigento; sorge sulla cima di un colle di costituzione geologica gessosa, alto circa m 400.

La località fu occupata da uno stanziamento preellenico che si mantenne etnograficamente anche in età di predominio greco. La sua posizione geografica era notevole da un punto di vista strategico, poiché dominava la strada che dal mare, attraverso la valle del Platani (antico Halykos), conduceva verso l’interno. Nei fianchi settentrionali ed orientali del colle si aprono numerose grotte funebri, per la maggior parte già in antico spogliate delle loro suppellettili.

La necropoli conserva le migliori tombe a thòlos della Sicilia. Tali sepolcri sono i primi ad esser stati trovati nella parte occidentale dell’isola e denunziano influenze egeomicenee che erano state postulate solamente per la Sicilia orientale (thòloi di Thapsos, Molinello, Caltagirone, Siracusa). Viene confermato indirettamente, così, il dato della tradizione che vuole Eraclea Minoa (a pochi chilometri in linea d’aria, da S. Angelo M.) fondata da genti egee. Da Eraclea sarebbero giunte a S. Angelo M. le influenze cretesi, rivelate dalla costruzione delle thòloi a falsa cupola ogivale.

Il più importante di questi sepolcri a cupola è costituito dalla cosiddetta Grotta di S. Angelo che consta di due grandi ambienti intercomunicanti con cupole ribassate; il vano maggiore ha i diametri di m 8,8o × 8,oo e l’altezza di m 3,20. In alcune di queste tombe è stato rinvenuto il letto funebre con capezzale e gradini per accedervi e con il defunto sdraiato.

Dalle poche grotte inviolate che è stato possibile esplorare proviene una suppellettile assai interessante che conferma l’influenza orientale sulla civiltà indigena. Accanto alla tipica ceramica locale impressa di impasto o graffita ed incisa con forme di fruttiere tipo Cassibile ed oinochòai trilobate, si hanno prodotti peculiarmente greci, importati, piuttosto che lavorati sul posto: predomina il materiale sub-geometrico, mentre scarsi sono i vasi corinzî e quelli a figure nere. Anche per quanto riguarda la suppellettile metallica, osserviamo accanto alle fibule ed ai modesti ornamenti locali, una oreficeria orientalizzante mutuata per il tramite dell’ambiente fenicio-cipriota e di chiara derivazione minoica.

Il grosso del materiale restituito dalla necropoli di S. Angelo M. va collocato fra l’VIII ed il VII sec. a. C.; qualche frammento può risalire fino al X-IX sec. a. C. e qualche altro discendere fino al VI sec. a. C. o anche fino alla prima metà del V sec. a. C. L’influenza orientale si manifesta soprattutto negli anelli, nelle forme e decorazioni vascolari, oltre che nelle peculiari costruzioni a thòlos.Abbondante anche la produzione indigena che si inserisce nel quadro generale della cultura sicano-sicula e quella solo parzialmente influenzata dai contigui stanziamenti greci. Le caratteristiche della produzione vascolare, legata più alla parte occidentale, ma pur distinta da queste manifestazioni artistiche, conferiscono a S. Angelo M. una sua facies particolare, ben riconoscibile ora in tutta la Sicilia centrale e centro-meridionale.

È assai arduo il problema della identificazione di resti così imponenti con una delle città indigene che poterono esistere nella zona. Particolare favore ha incontrato recentemente il nome di Camico, la capitale del leggendario Kokalos; tuttavia, qualche dubbio sussiste per la scarsa corrispondenza con le fonti; uno degli ostacoli maggiori sarebbe quello di dover dare al Platani il doppio nome di Halykos nel suo corso superiore e di Kamikos nel tratto vicino alla foce.

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Categoria: Storia ComuniTag: caltabellotta, camico, minosse, sant'angelo muxaro

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