Villa Garibaldi ad Agrigento, un agrigentino ricorda il venerdì alla villa durante la festa di san Calogero
“Così come cambiano i tempi, cambiano le usanze collegate al mutare del gusto e delle esigenze, ed è cambiata la scaletta della stessa festa di San Calogero. Oggi un certo livellamento dei gusti ha fatto venire meno le premesse che consigliavano, alcuni decenni fa, di dedicare due giornate dei festeggiamenti a due classi diverse della popolazione: il mercoledì al popolo che a frotte al pomeriggio conveniva da ogni quartiere dalla campagna per ghermire il piano San Filippo e il venerdì e la borghesia che si sarebbe data convegno alla Villa Garibaldi.
Ricordo negli ultimi anni 20 di piano San Filippo ancora in terra battuta delimitato ad est e da lungo muro di cinta della villa e del suo elegante ingresso, ad ovest dei due edifici della prefetture della questura e assunti dalla caserma dei carabinieri e della villetta che come le altre tre era recintata tutto intorno da un elegante inferriata in ferro battuto. Il Nord, ancora libero di costruzioni, ti consentiva di godere di un panorama ingiustamente considerato di secondo ordine perché messo raffronto con quell’opposto quei templi e il mare.
Nel bel centro di quella piazza veniva approntato il necessario per la manifestazione e la faceva da padrone un ripidissimo piano inclinato di assi di legno ben levigate, la ‘ntinna, su cui veniva spalmato in abbondanza il sapone in uso allora, più simile alle marmellate che non ne ai saponi che si usano oggi. Su quella struttura si sarebbero arrampicati, per darvi divertente spettacolo, i simpaticissimi personaggi popolari dell’epoca, non prima di aver eccitato i presenti con l’albero della cuccagna col tiro alla fune e con la corsa coi sacchi.
Il giovedì aveva connotazione diversa, quasi di transizione e si esauriva con il concerto bandistico all’emiciclo Cavour dopo che nel corso dell’intera giornata molti devoti si erano recati in visita al santuario di San Calogero in “piduni”, scalzi cioè.
Le signore della borghesia nel frattempo siamo date un gran da fare per gli ultimi ritocchi alla”mises” preparate per ben figurare alla serata che quasi esclusivamente si preparava il loro onore lì, alla Villa Garibaldi.
giochi popolari durante la festa di san calogeroVenerdì della villa
già subito dopo l’imbrunire le famiglie dopo un tutt’altro che frettoloso attraversamento di via Atenea si avviavano verso l’ingresso della villa e qui, superati i pochi comodi gradini esterni al cancello, un primo ampio ripiano consentiva di prepararsi ad affrontare l’ampia scala di marmo le cui fiancate erano presidiate da quattro imponenti sfingi marmoree regalmente accovacciate che sembrava volessero dare il benvenuto e raccomandare più piccini un comportamento confacente mentre rispettoso. I piccoli ne capitavano messaggio e si comportavano di conseguenza tra quei dialetti di dell’andamento simmetricamente sinuoso ed avvolgente e ricchi di alberi esotici ora illuminati con sapiente discrezione da lampioncini veneziani.
Don Peppino Castellana che quell’immenso salotto aveva preparato con tanto amore, si aggirava compiaciuto per quei vialetti, impegnato a fare gli onori di casa.
Romeres ed Argento i prestigiosi caffettieri della città avevano trasferito lì le loro impareggiabili gelaterie e le signore, elegantemente seduti ai tavoli di marmo in ferro battuto di quei gioiosi Caffè all’aperto, sotto lo sguardo severo ma compiaciuto dei quasi sempre baffuti mariti, indugiavano con malcelata indifferenza a commissionare quello che sapevano di dover commissionare già quando erano ancora a casa: un saporitissimo trancio di cassata siciliana gelato. Non c’erano ancora i coni ed anche più piccole era riservata la cassata o la granita. Nel frattempo quasi tutti i tavoli erano stati occupati ed anche l’elegante anfiteatro di marmo denominato emiciclo Garibaldi era al completo con gli elementi del corpo bandistico in attesa del maestro Virgilio Lizzi. E questi, tempestivo come si addiceva a chi della suddivisione del tempo aveva fatto professione, sarebbe comparso subito dopo l’arrivo delle autorità. Aveva allora inizio uno di quei raffinati concerti bandisti che contribuivano a soddisfare ed affinare il gusto di chi sapeva ascoltare musica mentre all’occhio veniva appagato dalla venustà delle artistiche statue rappresentanti le quattro stagioni e che arricchivano lo stesso emiciclo. Si era orgogliosi di quel signorile salotto addobbato a festa in quella serata di intenso godimento.
Alla fin fine, avrebbero detto nelle non rare dispute campanilistiche quelli che Giurgintani non erano, voi Giurgintani non avete nulla all’infuori del teatro, della villa dei templi, che era come dire a Rockfeller: alla fin fine non non hai altro che il denaro! Chiesa non è tutto è però indispensabile per avere quasi tutto.
Rimpianga pure quel bene perduto chi come me ebbe il piacere di fruirne, ma si adoperino i giovani che avranno la ventura di amministrare la città per identificare la propria tossito per costruirne una ancora più bella di quella che è stata oggetto del nostro rimpianto perché possa esser orgoglio e godimento delle generazioni future!”.
Giuseppe Iannuzzo