gli abitanti con il loro tipo greco o africano, con i loro costumi dai colori vivaci, sembrano anche non appartenere più all’Europa
Partenza da Palermo
Partimmo da Palermo, il sabato 18 aprile, alle 6:20 del mattino, su un treno veloce, e dopo aver attraversato pianure e valli molto ben coltivate, con gerani, rose e fichi che formavano siepi lungo la linea, e a volte montagne ripide, torrenti selvaggi, lunghi tunnel, arrivammo alle 11:00 del mattino a Girgenti, l’antica Agrigento. Una macchina ci condusse all’Hotel dei Templi, che si trova in mezzo alle rovine che volevamo visitare.
La città moderna di Girgenti
La città moderna di Girgenti non è situata sul sito dell’antica Agrigento; è stata fondata sul fianco e sulla cima di una collina vicina molto ripida. È una città con strade in pendenza e talvolta a gradini, tortuose, mal tenute, dove circolano capre e altri animali domestici; dove c’è da vedere solo la cattedrale, vasta chiesa gotica costruita sulle rovine di un tempio antico e alterata da restauri di pessimo gusto. Niente, nella città attuale, ricorda l’antica città che i Greci avevano chiamato la Bella. Di quest’ultima, rimangono diversi templi in parte distrutti, situati su colline e in valli deserte.
I templi di Agrigento
Il Tempio della Concordia, il meglio conservato dei monumenti antichi della Sicilia, occupa la cima di un’altura e forma un punto di vista magnifico nel paesaggio. Sovrastato da quattro gradini, lungo 42 metri e largo 19, presenta trentaquattro colonne scanalate, di ordine dorico, di cui sei su ciascuna delle due facciate e le altre sulle facce laterali. Le assise delle pietre sono posate senza malta e le giunture sono tagliate con tanta perfezione che sono quasi impercettibili. La trabeazione, i triglifi e i frontoni sono conservati sopra le facciate; non sono stati trovati soggetti scolpiti né tracce di colore; ma il tempo ha dato al monumento una patina di un tono rossastro-giallastro di grande effetto. All’interno della galleria, si vedono ancora i muri che consentono di comprendere la destinazione di diverse parti del monumento. Ricorda il Partenone, sia per l’aspetto che per la bellezza delle sue colonne; ma è un po’ più piccolo.
Il Tempio di Giunone Lucinia è elevato su un roccione alto 122 metri, da cui si gode di un panorama magnifico. Ha le stesse proporzioni del Tempio della Concordia; ma delle sue trentaquattro colonne, ne rimane solo una fila di sei che è intera; di altre, molte sono state rovesciate da un terremoto, alcune si ergono isolate, o sono troncate, e la maggior parte giace, qua e là, in frammenti e in pezzi sulle lastre e sul roccione. L’insieme è molto pittoresco.
Del Tempio di Ercole, che era più grande dei due altri, rimane in piedi solo una colonna, che si erge solitaria in mezzo a un cumulo di pietre enormi e di fusti spezzati; le colonne della parte sud sono sdraiate per terra dello stesso lato; sembrano essere cadute insieme. È lì che è stato trovato un bel fregio e una statua di Esculapio, che sono conservati nel museo di Palermo.
Il Tempio di Giove Olimpico, spesso chiamato il Palazzo dei Giganti, è il monumento più gigantesco eretto dagli artisti greci. Aveva 111 metri di lunghezza, 56 di larghezza e 38 di altezza, senza contare un basamento di venti gradini. Non rimane più in piedi che i muri del basamento, alcune basi e alcune assise di colonne; qua e là giacciono nell’erba e sul roccione capitelli e pietre. Una figura colossale di Telamon, che serviva da cariatide, giace in mezzo a questi detriti; stupisce per le sue dimensioni gigantesche e dà un’idea delle vaste proporzioni dell’edificio. Diodoro Siculo dice che era il tempio più grande e più bello dell’isola, e che le colonne erano così grandi che le loro scanalature potevano contenere il corpo di un uomo. Studi recenti condotti da eminenti archeologi hanno dimostrato che non c’è nulla di esagerato nel racconto di questo storico.
A poca distanza si vedono i resti della Casa greca, di cui si ritrova solo il basamento delle colonne, e più a nord il Tempio di Castore e Polluce, che non offre più che quattro colonne d’angolo con un ricco fregio, e infine un po’ più in basso, tra gli alberi, alcuni fusti di colonne che, si dice, appartenevano a un Tempio di Vulcano, che sarebbe di costruzione romana.
Visita ai templi
Due o tre ore possono essere sufficienti, quando si è in macchina, per visitare i templi. Noi gli dedicammo tutta la nostra giornata del sabato, e li contemplavamo ancora verso il tramonto. La solitudine in cui si trovano, lo stato di rovina a cui li ha ridotti il tempo, la perfezione che si nota in ciò che è ancora in piedi e nei detriti sparsi, danno, come si è detto, ai monumenti dell’antica Agrigento, un carattere di sublime tristezza. Ci si lascia andare a sedersi sui basamenti degli edifici crollati e a contemplare a lungo le rovine che da tutte le parti si scorgono sulle colline deserte.
Partenza da Girgenti
Il giorno dopo, domenica 19 aprile, dopo aver visitato di buon’ora la città moderna di Girgenti e la sua cattedrale, lasciammo questa città alle 9:40 del mattino. Il viaggio fu lungo, poiché non scendemmo dal treno a Catania che alle 5:45 del pomeriggio; ma l’aspetto della campagna che attraversammo lo rese interessante, tanto più che godavamo di un tempo molto mite e di un bel sole.
Qui c’erano magnifiche coltivazioni, là rocce quasi senza vegetazione, dove qualche capra e qualche pecora brucavano sotto la guida di una bambina che filava in piedi su una pietra, o di un giovane ragazzo che suonava la musette, altrove banchi di zolfo che sono una delle principali fonti di ricchezza della regione, spesso alte montagne ripide e torrenti selvaggi, foreste di olivi, di limoni e di aranci con enormi cactus, aloe, palme e altri esemplari della vegetazione africana, e qua e là, sui versanti e sui tetti dei monti e dei pendii, città costruite in pietre grigie che presentano, con i cupole dei loro edifici e i tetti terrazzati delle loro case, un aspetto del tutto orientale; gli abitanti con il loro tipo greco o africano, con i loro costumi dai colori vivaci, sembrano anche non appartenere più all’Europa. .
L. QUARRÉ – REYBOURBON, CARNET DE VOYAGE, LILLE, 1894, pp. 90-91