Raffaello Politi traduttore di Dumas
La pubblicazione, con i tagli resi necessari dalla lunghezza del testo, dei Cenni sulle antichità agrigentine estratti dal Viaggio in Sicilia (1835) di Alessandro Dumas, «voltati in italiano» nel 1862 (non 1861 come reca il frontespizio del volumetto) da Raffaele Politi, costituisce un duplice omaggio alla memoria di Girgenti e di Raffaele Politi, suo illustre figlio adottivo.
Politi, conosciuto con il nome di Raffaello, era nato a Siracusa nel 1783 e nel 1809 si era trasferito a Girgenti dove visse fino al 1870, l’anno della morte. Fu un raffinato ritrattista, incisore, disegnatore (si deve a lui il prospetto neoclassico del Circolo Empedocleo), autore di monografie sulla pittura e l’archeologia, di una guida illustrata della città e di gradevoli poesie. Appassionato di arte drammatica, nel 1830 ricavò nel piano terreno della sua abitazione, nell’odierna piazza Sinatra, un piccolo teatro dotato di una fila di palchi che, fino all’apertura nel 1881 del Teatro Regina Margherita, oggi Pirandello, fu l’unica sala teatrale della città.
Raffaello Politi fu il punto di riferimento degli illustri viaggiatori italiani e stranieri diretti nell’Ottocento a Girgenti. Fu stimato dal Principe Ludwig di Baviera che visitò la città nel 1818, interessato all’acquisto di una preziosa collezione di vasi greci provenienti dagli scavi di Agrigento. Salito al trono, Ludwig lo nominò suo Console generale. Ferdinando II di Borbone gli affidò la carica di Direttore degli scavi girgentini; divenne membro di varie accademie siciliane, di quella archeologica di Roma, dei Lincei e socio di istituzioni culturali italiane ed europee.
L’incontro di Politi con Alessandro Dumas avvenne nel settembre del 1835 in occasione della tappa girgentina del tour siciliano che lo scrittore francese, partito da Napoli, compì dal 23 agosto al 18 settembre. Fra i due si stabilì una viva simpatia e stima reciproca. Per Dumas Raffaello Politi era «un moderno Gellia […] uomo amabilissimo, la di cui vita è intieramente consagrata allo studio delle antichità». Politi nel 1862, in occasione di un secondo soggiorno di Dumas a Girgenti, tradusse il capitolo del Viaggio in Sicilia dedicato a «Girgenti la Magnifica» definendo l’autore de I tre moschettieri e de Il conte di Montecristo, pubblicati intanto tra il 1844 e il 1845, «uomo straordinario, splendore non della Francia tutta, ma dell’intero universo!».
Del Viaggio in Sicilia esiste un’introvabile edizione moderna pubblicata dal Pungitopo (Marina di Patti, 1988) con traduzione e introduzione di Valeria Gianolio. Dall’attenta nota della prefatrice si ricavano preziose informazioni e gustosi particolari . Dumas aveva progettato da tempo «un viaggio tutto di poesia, storia e scienza, fatto attorno al mar Mediterraneo» e ostinatamente aveva cercato sovvenzioni pubbliche e private per la sua impresa. Trovati finalmente i finaziatori fra cui Victor Hugo e Gèrard de Nerval, il 12 maggio 1835 parte per l’Italia accompagnato dal pittore paesaggista Godefroj Jadin, dal cane alano Milord e dalla bizzosa amante Ida Ferrier. Il viaggio si snoda attraverso le tappe di Genova, Livorno, Roma, Napoli, la Sicilia e la Calabria.
Il 25 agosto a Napoli Dumas noleggia la speronara Santa Maria di Piedigrotta, comandata dal capitano Giuseppe Arena con nove uomini di equipaggio e il cuoco Cama. Rimasta a terra l’amante, salgono a bordo la cantante d’opera Caroline Hungher scritturata per una Norma nei teatri siciliani e il fidanzato, il compositore Henri Ruolz-Monchal. Durante la traversata una burrasca notturna favorisce uno scambio di ruoli da vera pochade: Henri, in preda al mal di mare trascorre la notte sul ponte e la cantante si rifugia nella cuccetta di Dumas.
Il primo approdo è Messina, poi Taormina, Catania, con una escursione sull’Etna, Siracusa e, dopo uno scalo a Pantelleria, Girgenti. Seguono Palermo, raggiunta dopo «tre giorni di cavalcata» a dorso di mulo attraverso «l’interno della Sicilia in tutta la sua solitudine e nudità», con la scorta di «un ladro in ritiro, un bandito riconciliato» per garantirsi da incontri malavitosi. A Palermo il gruppo è raggiunto dalla speronara e riprende il viaggio per mare verso le Eolie e Messina.
Quella di Girgenti, dove Dumas con il fido Jadin e l’inseparabile cane Milord soggiornano il 12 e 13 settembre, sarà una tappa disagiata per «l’ardente sole, vero africano» che dardeggiava sulle teste dei visitatori e per la squallida «recezione» dell’alloggio. Nella sua visita Dumas era stato certamente meno fortunato di Goethe che nell’aprile del 1787 aveva potuto godere a Girgenti di una «splendida visione di primavera» e, poiché nella città non c’erano alberghi, aveva trovato ospitalità presso «una cortese famiglia» che gli «cedette un’alcova sopraelevata, con una grande stanza adiacente» in cui una tenda separava gli ospiti dai padroni di casa occupati a fabbricare «maccheroni della specie più prelibata» che il poeta aveva mangiato con gusto. Raffaello Politi riconosce l’inadeguata accoglienza offerta nel 1835 dalla città ai forestieri, al punto che, «moderno Gellia», si offre di alloggiarli nella sua casa come era solito fare con gli ospiti illustri, ma nel 1862, in nota alla sua traduzione del testo dumassiano, tiene a precisare: «Oggi Girgenti è assai migliorata nelle fabbriche, nelle strade, e negli alberghi, mercè la solerzia de’ governanti, e il buon volere dei cittadini».
Nell’episodio della locanda, Dumas mostra nei confronti degli agrigentini un atteggiamento di insofferenza scostante; in altri casi connotato da irridente supponenza, valga ad esempio il rapporto che stabilisce con il cicerone-pataccaro Antonio Ciotta, che gli si era proposto come guida allo sbarco e di cui si diverte a rimarcare la verbosa ignoranza, oppure il rilievo antifrastico che conferisce all’«epiteto che i girgentani avevano apposto alla loro città – Girgenti la Magnifica».
Un rilievo umoristico che non sarebbe dispiaciuto a Pirandello che ai suoi personaggi, e quindi ai concittadini a cui tante volte si è ispirato, rimprovera la sventura di credersi diversi da quello che in realtà sono.
La scrittura di Dumas spesso restituisce in maniera provocatoria il contrasto avventante fra la magnificenza del passato e la miseria del presente: «A misura che ci avvicinavamo a Girgenti, perdevasi il grandioso e la città mostravasi qual è realmente…». Ma sa anche cogliere con grazia le persistenti tracce della bellezza greca nel gruppo di giovinette alla fonte: «coverte di cenci […] seminude non già per civetteria ma per miseria, eran sempre le figlie della Grecia». Si può notare che quella descritta nel capitolo del Viaggio in Sicilia è solo la Girgenti di Dumas, ma le città rese «invisibili» dalla distanza del tempo restano inevitabilmente consegnate ai registri della parola.
Luigi Sedita