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Viaggi e viaggiatori nelle novelle pirandelliane

12 Dicembre 2019 //  by Elio Di Bella

Le stazioni ferroviarie, i treni e le prime automobili sono il simbolo della modernità e, come tali, sono rappresentati nelle novelle pirandelliane. Accanto ai mezzi di trasporto, sono anche simboli della modernità gli edifici pubblici connessi e funzionali all’atto del viaggiare.

L’uomo dal fiore in bocca (Prima del testo teatrale, è la novella “La morte addosso”), nella solitaria e affliggente stazione ferroviaria racconta ad un viaggiatore di passaggio la sua storia, senza sperare di averne consolazione: è come se lui rinunciasse in partenza alla altrui compassione!

Un moderno luogo aggregante della stazione ferroviaria è il caffè; invece, nelle novelle tende ad accrescere le solitudini, sottolinea il distacco relazionale, indugia sulla superficialità dei rapporti umani. “Meno male che, nella stazione, c’era il caffè aperto tutta la notte, ampio, bene illuminato, con le tavole apparecchiate, nella cui luce e nel cui movimento si poteva in qualche modo ingannar l’ozio e la tristezza della lunga attesa. Ma erano dipinti sui visi gonfi, pallidi, sudici e sbattuti dei viaggiatori una tetra ambascia, un fastidio opprimente, un’agra nausea della vita che, lontana dai consueti affetti, fuori dalla traccia delle abitudini, si scopriva a tutti vacua, stolta, incresciosa.” (Luigi Pirandello, Tutte le novelle, a cura di L. Lugnani, Notte, II, p. 737).

Questo senso di desolazione esistenziale è accresciuto dalla costrizione a vivere con fastidio l’attesa di un treno o la coincidenza: il tempo di attesa appare inutile, sprecato, e spinge a riflettere su se stesso e sul senso della propria vita. “Strappato dal sonno, forse per sbaglio, e buttato fuori dal treno in una stazione di passaggio. Di notte; senza nulla con me. … Mi trovo a terra, solo, nella tenebra d’una stazione deserta; e non so a chi rivolgermi per sapere che m’è accaduto, dove sono. Ho solo intravisto un lanternino cieco, accorso per richiudere lo sportello del treno da cui sono stato espulso. Il treno è subito ripartito. E subito scomparso nell’interno della stazione quel lanternino, col riverbero vagellante del suo lume vano.” (L. Pirandello, op. cit., Una giornata, III, p. 614).

Oltre ai disagi del treno, per raggiungere Milocca, si doveva fare ricorso a vecchie vetture, provate dai numerosi anni di servizio. Le strade erano dissestate. Per raggiungere il paese, bisognava sottomettersi ad ulteriori imbarazzi e a dure fatiche fisiche causati dalla vettura: questi erano viaggi proibitivi nella Sicilia di allora!

“Otto ore buone di ferrovia e cinque di vettura. Ma piano, con questa vettura! Cent’anni fa, non dico, sarà anche stata non molto vecchia; forse qualche molla, cent’anni fa, doveva averla ancora, a che se tre o quattro razzi delle ruote davanti e cinque o sei di quelle di dietro erano di già attorti di spago così come si vedevano adesso. Cuscini, non ne parliamo! Là, su la tavola nuda; e bisognava sedere in punta in punta, per cansare il rischio che la carne rimanesse presa in qualche fessura, giacché il legno, correndo, sganasciava tutto. … E che strada! Non posso dire d’averla proprio veduta bene tutta quanta, perché in certi precipizi vidi piuttosto la morte con gli occhi.” (L. Pirandello, op. cit., Le sorprese della scienza, II, p. 159).

Ancora nella novella “Notte” il narratore esprime tutto il suo disappunto per lo stravolgimento delle umane abitudini nel viaggio notturno sui treni:

il correre della locomotiva e dei vagoni sui binari è un segno di vitalità forsennata di notte, in un tempo in cui gli uomini stanno nella quiete del riposo. Il sibilo notturno dei treni, unito all’assordante fragore delle rotaie diventa, per il narratore, il simbolo radicale e plastico dell’inquietudine umana.

“Forse tanti e tanti s’eran sentiti stringere il cuore al fischio lamentoso del treno in corsa nella notte. Ognun d’essi stava lì forse a pensare che le brighe umane non han requie neanche nella notte; e, siccome soprattutto nella notte appajon vane, prive come sono delle illusioni della luce, e anche per quel senso di precarietà angosciosa che tien sospeso l’animo di chi viaggia e che ci fa vedere sperduti su la terra, ognun d’essi, forse, stava lì a pensare che la follia accende i fuochi nelle macchine nere, e che nella notte, sotto le stelle, i treni correndo per i piani bui, passando strepitosi sui ponti, cacciandosi nei lunghi trafori, gridano di tratto in tratto il disperato lamento di dover trascinare così nella notte la follia umana lungo le vie di ferro, tracciate per dare uno sfogo alle sue fiere smanie infaticabili.” (L. Pirandello,op. cit., Notte, II, p. 737). Anche i cavalli sono contro il progresso nell’unica novella del corpus in cui è privilegiata l’osservazione straniante degli animali sul conto della vita degli umani.

I cavalli discutono della novità dell’irruzione delle automobili nella vita delle città.

“Nero veniva da una scuderia principesca, dove uno si poteva specchiare nei muri: greppie di faggio a ogni posta, campanelle d’ottone, battifianchi imbottiti di cuojo e colonnini col pomo lucente. Mah! Il giovane principe, tutto dedito ora a quelle carrozze strepitose, che fanno – pazienza, puzzo – ma anche fumo di dietro e scappano sole” (L. Pirandello, op. cit. La rallegrata”, II, p. 86);

Zino Pecoraro pubblicato sul quotidiano  La Sicilia del 17 .09.2019

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, girgenti, luigi pirandello

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