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Agrigento-Panorama-1969
Agrigento-Panorama-1969

Veduta di Agrigento

25 Giugno 2018 //  by Elio Di Bella

Un cielo vasto, azzurrissimo, sembrava si compiacesse a confondere ogni cosa lontana abbagliandola, e a far spiccare, cariche di colore, quelle vicine : come se l’azzurro si rovesciasse nel paesaggio, risvegliandolo.

I giardinetti all’ingresso avevano questi toni del cielo vicinissimo, e nel verde disordinato delle piccole aiuole tinte scure che ne facevano risaltare il rigoglio sotto il sole di agosto.

E per noi che li avevamo visti tutti i giorni in anni lontani, avevano ora un’apparenza più trascurata. Non potemmo cogliere — come allora — lo stridere allegro e il girotondo delle rondini fra Porta (di) Ponte e i giardinetti appena svegli dalla calura. Di faccia, più lontano, la massa quadrata di S(an) Vito, su cui torno tomo, ai piedi, ramificano erbe e sterpi che allora (circondavano) i vialetti in salita della Villa Garibaldi; e su una proda il boschetto delle ginestre e più giù, in un angolo, la vaschetta dei pesci rossi (dove) sognammo e immaginammo da giovani chimere vane, esili figure. Per chi torna ad Agrigento dopo anni di lontananza, anche l’aria sembra mutata : non i luoghi soltanto. Ma è sempre lo stesso azzurro che fa tanto male al cuore e sembra assalirci col suo ardore dimenticato.

I luoghi piangono dentro di noi come memorie spente e con i nostri primi tentativi artistici. E se un colore rimane identico per sempre è questo azzurro che scende fra noi (e ci fa pigri), sulle case, sulla Rupe illustre, negli orti, negli aranceti, sulla fontana, laggiù, di Bonamorone, sul ponticello in ferro che subito muore in un anfratto del terreno e si congiunge alla strada nei pressi del Caos di Pirandello a Villa Seta.

* * *

Abbiamo raggiunta la città direttamente dalla via dei Templi, ora asfaltata e lucida, un tempo era del colore della polvere, ed era arida come il dorso d’un serpente rimasto da secoli ad essiccare al sole; e fremiti d’ogni cosa e cicale si confondevano fra un lato e l’altro dello stradone in salita, tenendo nascoste passioni e a noi concedendo un’illusione di canto nella campagna solitaria. Nell’aria, d’un tratto, si levavano canti e nenie chissà da quale angolo : forse da quel muretto a secco, da quella piega d’un folto d’alberi o da presso lo specchio del biviere di Bonamorone : o forse dalla macchia scura del Cimitero dove gli amici riposano sotto lo stridore lento delle cicale e il lamento del chiù.

* * *

Noi abitavamo in una strada (via S. Girolamo, 92, n.d.r.) tutta svolte e lunga nella sua stramba architettura; di fronte ad una chiesetta (Madonna del Soccorso, detta Badiola, n.d.r.) addossata, stretta stretta e un po’ rientrata, ad un vecchio monastero (non esiste più dalla seconda metà degli anni Venti, n.d.r.), vuoto e decrepito. La Storia di una capinera mi venne in mente dopo : forse mi viene in mente solo adesso, per tanta letteratura che mi si è caricata addosso e il vizio più assiduo dello scrivere (come ora che annoto queste impressioni, malgrado dicano qualcosa solo a me che vissi ad Agrigento come in un lungo sogno : ed ora non è più. E perché fu da lì che presi il volo per altri lidi e lì esiste ancora la cameretta dove scrissi le mie lettere più lunghe ed acerbe a Cornelia).

Il monastero è stato abbattuto e al suo posto sì apre un piccolo spiazzo da cui si mira più larga striscia di mare; cosicché la strada si apre da una parte sul panorama stupendo, e dall’altra finisce in un intrigo di viuzze che salgono alla Cattedrale normanna.

A.G. Peritore in rivista “Ipotesi 80”,  n. 10, giugno 1984

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

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