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Toponomastica agrigentina nella novella di Pirandello “Il Vitalizio”

You are here: Home / Senza categoria / Toponomastica agrigentina nella novella di Pirandello “Il Vitalizio”
rabato agrigento

15 Ottobre 2020 //  by Elio Di Bella

il rabato

Girgenti, le sue strade e i suoi quartieri, i templi, i sobborghi  costituiscono lo sfondo o la dimensione spaziale di molte pagine di Pirandello

Nella novella “Vitalizio” molti sono i riferimenti a vie e piazze dell’antico centro storico cittadino.

Il protagonista della novella, il vecchio Marabito, ci presenta  Girgenti  che “sedeva alta sul colle con le vecchie case dorate dal sole, come in uno scenario” e ricorda  il sobborgo Ràbato, “che pareva il braccio su cui s’appoggiasse così lunga sdrajata” e da dove si può scorgere  “il campaniletto di Santa Croce” e     «le viuzze a sdrùcciolo del quartiere di San Michele» e il ciglione «su cui sorgono i due Tempii antichi, quello di Giunone da una parte e quello detto della Concordia dall’altra».

Descrivendo la parte opposta della città, Morabito indica «il viale detto della Passeggiata, all’uscita del paese» dal   «poteva scorgere la sua terra lontana, laggiú laggiú nella vallata, tra i due tempii antichi».

Poi nella novella viene indicato l’ingresso principale della città:  «Porta di Ponte», poco più sotto della quale c’è «la via solitaria sotto San Pietro», una sorta di circonvallazione cittadina, su cui si apre il « Piano di Ravanusella», ove sorge anche  «lo stretto di Santa Lucia […] malfamato e quasi sempre deserto».

Ecco il testo pirandelliano: “Anziché da Porta di Ponte preferiva prendere per la via solitaria sotto San Pietro fino al Piano di Ravanusella; con tutto che fosse malfamata quella via per tanti delitti rimasti oscuri e, a passarci sul tardi, incutesse un certo sgomento.

I passi vi facevano l’eco, perché il pendio del colle troppo ripido metteva lì quasi a ridosso i muri delle case. Case che, sul davanti, nella straduccia più su, erano d’un sol piano e di misero aspetto, qua di dietro avevano certi muri che parevano di cattedrale.

Dall’altro lato, in principio, la via mostrava ancora l’antica cinta della città con le torri mezzo diroccate. Nella prima, chiusa appena da una portaccia stinta e sgangherata s’esponevano i morti sconosciuti e si portavano per le perizie giudiziarie gli uccisi.

Attraversando quel tratto, Maràbito avvertiva realmente, nel silenzio e tra l’eco dei passi, come un sospetto che ci fosse qualcosa, in quella via, di misterioso; e non gli pareva l’ora d’arrivare al Piano di Ravanusella, arioso. Ma vi respirava per poco. Gli toccava di là risalire verso lo stretto di Santa Lucia, anch’esso malfamato e quasi sempre deserto, per riuscire a Porta Mazzara, dove imboccava la via del Ràbato”.

Ben più elegante ed animata è   «la via Atenea»  che il vecchio Maràbito «non chiamava col suo nome — via Atenèa — ma a modo di tutti (e chi sa perché) la Piazza Piccola», anche se — aggiunge Pirandello — «di piazza non aveva proprio nulla».

Agrigento piazza dei tribunali

E Pirandello precisa che la via Atenea “era una via un po’ più larga e più lunga delle altre, serpeggiante, lastricata, con case signorili e botteghe in fila”.  Poco più avanti ecco il «Largo dei Tribunali» che confina con la strada in salita più irta del centro storico, la via Bac Bac che porta al  «Piano di San Gerlando» «sú in cima alla collina».

E “ arrivato lassù, di tutta la città non scorgeva altro che tetti: tetti tesi in tanti ripiani, tetti vecchi, di tegole logore, o tetti nuovi, sanguigni, o rappezzati, che sgrondavano di qua e di là, chi più e chi meno; qualche cupola di chiesa col suo campanile accanto e qualche terrazza su cui sbattevano al vento e sbarbagliavano al sole i panni stesi ad asciugare”.

Elio Di Bella

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