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tomba di terone 1933
tomba di terone 1933

Terone di Agrigento

20 Agosto 2018 //  by Elio Di Bella

Terone venne in luce ad Agrigento da Anesidemo della nobilissima famiglia degli Emmenidi, componenti in Sicilia una Tribù assai ragguardevole.

Da quei pochi lumi, che nel silenzio dell’istoria trar possiamo da Pindaro, e dal suo Scoliaste, par che Terone dovette il suo inalzamento al trono d’Agrigento a una segnalata vittoria, ch’ei riportò contro la fazione dei malcontenti del governo, che posto aveva in grande pericolo la città. A questa preso avevano parte i di lui cugini Capi, ed Ippocrate, comecchè beneficati da lui, ma sopra i quali più valse la gelosia, e la invidia, che la parentela e la riconoscenza. Terone vinse in una battaglia presso Imera i faziosi, e al suo valore, e  alla sua prudenza essendosi attribuita la salvezza della Patria, fugli affidato il supremo comando della cosa pubblica . Per render più stabile il suo dominio, egli fece alleanza con Gelone Signore di Siracusa, assai riputato per le sue virtù militari e politichej sposò una figlia di Polizele suo fratello, e a lui diede in moglie Demarete sua propria figliuola.

Poco dappoi venuti essendo i Cartaginesi in Sicilia, con una formidabile armata di 300 mila uomini, e una numerosissima flotta con animo di conquistarla, Terone volò tosto alla difesa della importante piazza d‘ Imera, che il nemico aveva assalita. Sul pericolo che non rimanesse sopraffatto da forze così imponenti, spedì lettere a Gelone sollecitandolo ad avanzarsi prestamente colla sua armata verso la medesima. Sotto il comando di così esperti capitani i loro soldati venuti alle mani col nemico, fecero prodigj incredibili di valore, e la giornata d’Imera, che decise del destino di Cartagine, rimase per sempre memorabile nei fasti della nostra istoria. Il numero dei prigionieri e dei morti fra nemici fu così immenso, che per usar l’espressione stessa di Diodoro, trovossi appena chi di lor ne recasse la infausta nuova a Cartagine .

Immenso altresì , e straricco ne fu il bottino, che partito fra due principi, e le città collegate, impiegato venne in gran parte alla costruzione di più tempj in riconoscenza agli dei di si fortunato successo. Narra Diodoro che Agrigento allora divenne tale altra città ch’ella non era, assai più spaziosa, adorna, magnifica : che i prigionieri e gli schiavi toccati in sorte non solo al Comune, ma eziandio ai particolari erano in si gran numero, che la porzion di ciascuno giunse sino a cinquecento: che eglino tutti furono fatti servire a fabbricare dei grandi palagi, delle nuove strade, dei canali per condurre in abbondanza le acque alla città di una maravigliosa costruzione, e soprattutto dei tempj di straordinaria grandezza: e che tutte finalmente coteste opere pubbliche si dovettero all’ingegno e alla invenzione di Feace valentissimo architetto di que’ tempi natio del paese. Egli è assai verisimile il credere, che il famoso tempio di Giove Olimpico, di cui in altro luogo una esatta descrizione ci ha lasciato lo stesso Diodoro  di cui tuttora rimangono gli ammirevoli avanzi, che la delizia, e lo stupore formano de’ più dotti antiquarii, sia stata opera dello stesso Feace, e della prosperità del regno di Terone.

A darci qualche idea della grandiosità di siffatte opere, e delle ingenti spese che costar dovettero, il prelodalo Istorico si contenta di descriverci solo una peschiera, che per sollazzo costruirono gli Agrigentini. Era la sua ampiezza di sette stadj, di presso cioè a un miglio, la profondità di venti braccia. Feace vi avea condotte le acque da fiumi, e dai fonti vicini. I pesci che vi si erano introdotti e per il pascolo del luogo, e per la qualità delle acque, moltiplicarono all’infinito, talchè servivano non solo alla delizia, ma a copiosissime imbandirne le mense più squisite. Gli alberi che di attorno vi si erano piantati, l’erbe ed i fiori che su quel terreno aveanvi fatto nascere la natura e l’industria, i cigni, gli usignuoli, e ogni generazione di uccelli quivi venuti a stazionarsi, con loro varj canti rendevano quel luogo il più ameno, il più vario, il più dilettevole del mondo .

Diodoro ricorda oltre ciò le varie bellissime dipinture , le innumerevoli statue di finito lavoro, e d’incredibile perfezione, di cui i cittadini a gara fra loro ne ornarono le case, i templi, le piazze, onde divenne Agrigento una delle più splendide, più opulenti e belle città della Grecia.

Cosicchè ben può dirsi che epoca assai per lei felice sia stato il regno di Terone, e che tulle prosperarono per lui le Belle  Arti. Fra esse la Poesia non andò esente della protezione di Terone, se poniamo mente a quel che ne scrisse Pindaro nella Ode a questo Re, con la quale ei celebra la vittoria da lui riportata nei giuochi della Olimpiade 77 ( cioè 472 anni inn. G. C. ), ne lauda a cielo la generosità e l’amicizia da lui dimostrata con larghi premj ai cultori delle Muse: Largo altrui donatore – E di caro agli amici ingenuo cuore. Quattro anni innanzi ch’ei terminasse di vivere , ebbe anche la gloria di far cessare le discordie e rappacificare gli animi dei due fratelli , l’invido Gerone succeduto a Gelone nel regno di Siracusa  e il virtuoso Polifele, a cui lo stesso Gelone raccomandato aveva morendo di sposar Demarete sua moglie , e figliuola di Terone.

Nella surriferita Olimpiade celebrando egli le feste Teossenie ( ossia del Convito degli Dei ), ebbe la piacevole nuova, che i suoi destrieri erano stati vincitori nella olimpica corsa. Sa ben ciascuno quale sia stata l’ambizione dei Greci per siffatte vittorie e l’onore che essi vi attribuivano in nulla differivasi dalla gloria della più strepitosa vittoria riportata sul nimico. Ma nel medesimo anno egli cessò di vivere dopo sedici anni di gloriosissimo regno, lasciando fama di se , e di prode guerriero , e legislatore pacifico, e di Principe a cui diffìcilmente trovrebbesi uguale»

. . . Io giuro

In mio dir fermo, e con verace spirto

Che al volgere di cento

Anni, mai nulla fia città che primo

Altri a Teron produca …..

Certo all’estremo vertice Terone

Giunse, con le domestiche virtuti,

Toccando i segni Erculei ,

Oltre cui giace il guado inaccessibile

All’ignaro, al sapiente

Dall’ab. Giuseppe Bertini.

in Giuseppe Maria Ortolani, BIOGRAFIA DEGLI UOMINI ILLUSTRI DELLA SICILIA

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, akragas

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