Il tempio di Giunone conserva ancora le tracce del saccheggio e della devastazione che della potente città di Akragas fecero i Cartaginesi nel 406 a.C.
Il tempio allora bruciò dallo stilobate alla trabeazione come una torcia. La sconfitta dei punici a Imera nel 480 a.C., nella guerra contro le città siciliane, con quel rogo veniva così vendicata, mentre ovunque le armi dei mercenari si abbattevano sulle mura della città e su tutto ciò che incontravano dando il colpo di grazia alla potenza akragantina. Le fiamme divampavano anche dentro la cella del tempio dove si trovava un bellissimo quadro di Zeusi che aveva come soggetto la mitica Elena, la più bella donna dell’antichità.
Alla triste sorte del tempio e del quadro di Zeusi è legata la drammatica vicenda della morte di Gellia, munifico agrigentino, il quale, temendo che il quadro potesse finire in mano ai nemici, si buttò in mezzo alle fiamme cercando di portalo con sé, perché non avrebbe potuto sopravvivere a tanta perdita. Ma Gellia non venne risparmiato dalle fiamme e andò in rovina anche il famoso quadro. Diodoro, invece, di tali eventi ci da una diversa versione, sostenendo che gli Agrigentini si rifugiarono in questo tempio e in quello di Minerva perchè minacciati dai Cartaginesi, che poi diedero il tempio di Giunone alle fiamme.