
Ad appena dieci chilometri da Agrigento riemerge una straordinaria storia di cinquemila anni fa che ci viene oggi raccontata da una mostra allestita dalla sovrintendenza archeologica di Agrigento nelle sale del Castello chiaramontano di Favara.
La mostra è intitolata “ Storie Sepolte. Racconti di archeologia. Storie e itinerari archeologici nel territorio di Favara”. Si tratta di un itinerario virtuale dei siti più significativi del territorio di Favara, ma in particolare illustra lo scavo della necropoli preistorica di contrada Scintilia e i relativi studi multidisciplinari. Viene esposta in la ricostruzione del volto di una donna, a cui è stato dato il nome di “Sofia”, sepolta in una delle tombe della necropoli, datata agli inizi del IV millennio a.C.
Al centro del progetto c’è dunque soprattutto lo scavo della necropoli prestorica scoperta tra Agrigento e Favara con gli studi multidisciplinari che ne sono seguiti e che hanno portato alla luce alcuni aspetti della vita degli uomini e delle donne sepolti nella necropoli in caratteristiche tombe familiari. Uno spaccato affascinante della vita quotidiana, delle condizioni di salute, della fatica del lavoro e della dieta alimentare di uomini primitivi, dediti all’agricoltura e alla caccia viene “raccontato” nelle ampie sale del Castello di Favara attraverso pannelli testuali e video in cui sono mostrati i procedimenti di riproduzione tridimensionale e altre tecnologie innovative utilizzate nello studio della necropoli.
I visitatori vengono accompagnati alla scoperta della vita del villaggio preistorico di Scintilia con un docufilm che raccoglie tutta la gamma di foto e riprese effettuate al momento dei lavori, disegni tecnici e ricostruttivi, amalgamate con ricostruzioni tridimensionali, modelli 3D ottenuti in photomodelling e riprese live in teatro di posa con attori su green screen. Le indagini scientifiche sono state tradotte in immagini, accompagnate da un linguaggio semplice e immediato adatto a ogni tipo di pubblico.
Tutto è nato quasi casualmente, come ci racconta la sovrintende dei beni archeologici di Agrigento Gabriella Costantino: “Nel 2008 durante i lavori per il riammodernamento della strada statale Agrigento -Caltanissetta sono stati fatti dei saggi a campionatura lungo il percorso e in contrada Scintilia è stata rinvenuta la necropoli, poi scavata nel 2012 e nel 2013 – dice la sovrintendente Costantino – Le ricerche ci hanno permesso di scoprire che si tratta di uno dei siti più importanti della preistoria siciliana che possiamo collocare tra la fine dell’eneolitico e l’inizio dell’età del bronzo”.
Gli scavi condotti sul fianco di un vasto costone roccioso hanno presto svelato un gruppo di tombe collettive familiari a cella ipogeica, precedute da pozzetto verticale, databili all’età del rame che custodivano i resti di un gruppo di uomini e di donne che in quel territorio avevano vissuto. Il rito funebre era semplice e consisteva nella nuova disposizione delle ossa più vecchie secondo un ordine preciso: spostando le ossa più lunghe ai margini della tomba, una accanto all’altra. In tal modo si realizzavano sepolture collettive e familiari. Così i corpi di genitori, figli e fratelli tornavano ad essere vicini, in una sorta di cappella funeraria preistorica familiare che ci dice anche quanto fosse forte il legame di sangue.
“Abbiamo capito dallo studio dei resti degli scheletri che i corpi di quegli uomini erano sottoposti a fatiche stressanti. Le donne erano spesso inginocchiate per pulire il grano e avevano dolori alle ginocchia. Mantenevano una postura accovacciata necessaria alla macinatura dei cereali con macina e pestelli di pietra. Ma presentavano anche traumi al petto perché portavano i bambini al collo – aggiunge la sovrintendente Gabriella Costantino.
Analizzando i reperti ossei di una decina di individui sepolti con le più avanzate tecniche di indagine – in modo da scoprire quanto più possibile lo spaccato di vita quotidiana ed anche le cause della morte – si è appurato che gli arti degli uomini erano sottoposti a notevoli stress meccanici per i lavori ripetitivi, gli sforzi intensi e pesanti che nel tempo hanno logorato il fisico, perché anche i gesti più usuali costavano fatica e dolore. Traumi, malattie, alimentazione, lasciano sulle ossa dei segni che possono essere studiati e interpretati.
“Grazie alla collaborazione con l’Istituto di Antropologia forense dell’Arcadia University di Philadelphia, è stata realizzata la ricostruzione craniofacciale di un individuo femminile sepolto in una delle tombe, battezzata idealmente al momento della scoperta con il nome di Sofia – dice la sovrintendente Costantino – Grazie a dei modelli tridimensionali ottenuti da TAC volumetrica gli esperti americani hanno creato il modello fisico in 3D ed è stato ricostruito il volto che si può ammirare visitando la mostra. Presenta zigomi alti e mascella squadrata, ma lineamenti molto eleganti. I capelli sono folti e sono stati adornati da conchiglie al momento della sepoltura.”.
Importanti anche gli studi bioarcheologici indispensabili per la ricostruzione del paleoambiente.
“Completate le analisi paleonutrizionali abbiamo scoperto vasi finemente prodotti e decorati contenti una serie di piante e di pesci che sono stati consumati e che quindi erano presenti nella dieta – aggiunge la sovrintendente – Molto importanti sono gli studi che si stanno facendo sul DNA di cui aspettiamo i risultati, che potranno darci persino il colore degli occhi degli abitanti del villaggio e il colore dei capelli di Sofia, ad esempio”.
La mostra presenta anche un itinerario virtuale del territorio di Favara con siti archeologici e paesaggistici come contrada Saraceno dove c’è un sito romano e la miniera Ciavolotta.
di Elio Di Bella