Va all’avvocato agrigentino Giuseppe Picone il merito dell’istituzione di un museo ad Agrigento.
Questo lungimirante cultore di storia patria fu primo sostenitore della necessità che si istituisse un museo nella sua città natale.
Una delibera del Consiglio comunale già nel 1860 avviava l’istituzione del Museo di Girgenti ma, dalla delibera all’attuazione passarono diversi anni: basti pensare che ancora nel 1863 un Real Decreto stabiliva che gli oggetti d’arte rinvenuti ad Agrigento dovessero essere consegnati al Museo Archeologico di Palermo.
Picone si preoccupò di riunire ciò che rimaneva della raccolta di Raffaello Politi, poliedrica figura artistica di origini siracusane ma operante nella Girgenti del XIX secolo, insieme ad altri materiali archeologici portati alla luce durante i lavori per la realizzazione della ferrovia per Porto Empedocle.
Nel 1876 la sede, dalla sua iniziale collocazione presso l’antico convento di San Francesco, venne trasferita al piano terra del Palazzo Comunale.
L’attenzione per il museo è sancita dall’accordo del 1900 tra il Comune di Agrigento, la Camera di Commercio e la Provincia, enti che riescono ad individuare ed utilizzare una sede più adatta ed indipendente in piazza San Sebastiano, oggi piazza Giuseppe Sinatra.
Considerata l’importanza delle sue collezioni, si chiese il riconoscimento del Museo Civico a Museo Nazionale, ma, nonostante l’interessamento persino del ministro agrigentino Nicolò Gallo, la proposta naufrago’ miseramente. Un forte impulso per l’attività del Museo Civico di Girgenti arrivò solo nel 1926 con la nomina del prof. Francesco Sinatra a Ispettore onorario degli scavi e dei monumenti di Agrigento.
Fu merito di Sinatra nominare Conservatore del Museo il prof. Giovanni Zirretta, insegnante di storia dell’arte nel locale Liceo Ginnasio “Empedocle”, intuendone subito le grandi capacità organizzative.
Quelli furono gli anni del massimo sviluppo per il Museo Civico, complice, fra l’altro, l’amore che l’antica Agrigento seppe suscitare nel capitano inglese Alexander Hardcastle.
Il capitano non solo stabilì la sua residenza ad Agrigento, ma a spese proprie diede impulso a importanti campagne di scavo archeologico, sotto la direzione scientifica del giovane – ma assai promettente – archeologo Pirro Marconi.
Il capitano si impegnò, inoltre, in opere di valorizzazione della valle e di risanamento dello stesso Museo Civico.
Proprio il rinnovato interesse per il Museo e per l’antica storia di Akrágas favorì la raccolta di consensi e successi, tanto che numerosi mecenati iniziarono a far dono delle loro collezioni al Museo.
Gian Battista Giuliana donò una raccolta di vasi preistorici provenienti da Naro, mentre Antonio Giuffrida, oltre a partecipare al recupero di un prezioso cratere a fondo bianco, capolavoro oggi esposto al Museo, donò una ricca collezione di reperti provenienti da terreni di sua proprietà.
Nel frattempo, l’amministrazione dello Stato si stava evolvendo: nel 1939 fu istituita la Soprintendenza alle Antichità di Agrigento, con giurisdizione pure sulla provincia di Caltanissetta, cui in seguito si sarebbe aggiunta anche Enna.
Era necessaria l’istituzione ad Agrigento della Soprintendenza alle antichità, avvenuta nel 1939, per dare impulso al riconoscimento del giovane Museo Civico in Museo Nazionale. Il primo atto si ha nel 1946, quando il Ministero, rappresentato dalla Soprintendenza, stipula una convenzione con il Comune per la fusione delle sole biblioteche. Qualche anno dopo, nel 1954 i due enti si impegnano a trasferire le collezioni del Civico in un Museo Nazionale, quando questo si fosse finalmente realizzato in Agrigento.
Poco più di un decennio dopo, grazie ad un finanziamento del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Assessorato Regionale per il Turismo, ad un secolo di distanza dalla prima proposta, si inaugura il Museo Archeologico Nazionale di Agrigento: è il 24 giugno 1967.
Nell’Archivio Storico Comunale di Agrigento si conserva una Nota al Prefetto della città, datata 15 maggio 1868, in cui si descrivono brevemente le prime raccolte del Museo Civico: ‹‹…considerevoli vasi greco-siculi,… nonchè l’inscrizioni in Marmo e in creta cotta di frammenti di statue fra le quali una piccola venere mutilata di forma bellissima, oltre agli avanzi del piccolo ninfeo e del celebratissimo monetario lucchesiano… La pinacoteca, poi, si compone dei quadri del famoso canonico agrigentino Vincenzo Magro, discepolo del Monrealese, e delle pitture dei due cappuccini frà Felice e frà Fedele…››
Il passo testimonia la costituzione, accanto a quella archeologica, di una raccolta di dipinti che, assieme al materiale ceramico, lapideo e ligneo, pervenuto nel corso degli anni da chiese, conventi e palazzi nobiliari, formò la sezione medievale e moderna del Museo.
Così come accadeva alla collezione archeologica, che si andava arricchendo con la donazione di raccolte private di ricchi mecenati, anche la Pinacoteca, nel primo ventennio del ‘900, vide allargarsi il suo patrimonio con tutti gli “oggetti d’arte” del Monastero di Santo Spirito e altre opere provenienti da donazioni di privati – il Senatore Cognata, il Dottor Buzzanca e l’Avvocato Biondi – e dal Museo Nazionale di Palermo, che diede in deposito permanente ben 15 dipinti, quasi tutti di autori siciliani, datati tra XV e XVIII secolo, in cambio di due tavole dipinte medievali provenienti dal Monastero di Santo Spirito.
Si deve nuovamente alla generosità del capitano inglese Alexander Hardcastle, negli anni 1928-1930, il restauro e l’adeguamento a sede museale del convento dei Padri Agostiniani: fu allora che si diede finalmente adeguata collocazione a tutte le collezioni.
La Pinacoteca continuò ad arricchirsi ancora sotto la direzione del prof. Giovanni Zirretta, nominato nel 1927, con le donazioni di opere dalle collezioni private dei professori Bonfiglio e Giuliana, dei Cavalieri Alajmo e del Sacerdote Vajana.
Merita particolare menzione la donazione del 1933 di Giuseppe Sinatra, costituita da ben 84 dipinti di rilevante valore, opere di Francesco Lojacono e di 16 suoi allievi ed epigoni, come il Mirabella, il Bergler, il Camarda e molti altri.
La storia della Pinacoteca è più complicata di quella della collezione archeologica.
Nel 1955, infatti, il Comune cedette in uso sine tempore tutte le collezioni d’arte (archeologiche, medievali e moderne) allo Stato.
Nel 1969 i materiali archeologici vennero trasferiti dall’allora Soprintendente e Direttore del Museo Nazionale, Pietro Griffo, nella nuova sede museale realizzata nel 1967 dall’architetto Franco Minissi.
Nel 1970 si procedette alla consegna al Museo-Soprintendenza anche delle collezioni d’arte medievali e moderne: in realtà, si trattò solo di una consegna formale perché le opere rimasero al Comune – in un deposito che si era detto temporaneo – in attesa del completamento delle pratiche relative alla nazionalizzazione anche della sede storica in Piazza Pirandello (di fronte al Municipio).
Da allora, per vari motivi, l’iter della cessione dei locali non si è mai concluso, né è stato completato il restauro degli ambienti.
Ecco spiegato per quale motivo oggi, in questo Museo, tranne qualche dipinto esposto all’interno della sala III, vedrete soltanto la collezione archeologica e non invece, in maniera unitaria, anche le pur ricche raccolte medievali e moderne.
La Pinacoteca conserva alcune opere molto interessanti.
Un dipinto raffigurante una Madonna col Bambino, opera di un ignoto pittore siciliano del XV secolo, caratterizzato da un linguaggio stilistico locale che coniuga la tradizione bizantina con quella italica (esposto al Museo).
Due croci: una dipinta solo sul recto e datata al XV secolo, di cultura tardo gotica, ed un’altra, in marmo, datata anch’essa al XV secolo, con lo stemma dei Montaperto, nobile famiglia dell’agrigentino, che rimanda già a forme rinascimentali (entrambe le croci sono oggi esposte presso il Museo di Santo Spirito).
Un dipinto, intitolato La Vergine medita la passione del Bambino dormiente, della seconda metà del XVIII secolo, opera di frà Felice da Sambuca, un frate cappuccino che fu grande e stimato pittore e decoratore, in cui si può apprezzare il richiamo alla cultura figurata barocca.
L’ultima cena di Raffaello Politi, copia del 1800 della celebre opera di Leonardo Da Vinci, qui rivisitata in chiave neoclassica, pregevole sia per l’impianto compositivo che per i toni cromatici.
fonte
https://izi.travel/it/b395-nasce-il-museo-civico-di-agrigento/it